Tensioni in Grecia in vista delle elezioni

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Il terzo voto andato a vuoto il 29 dicembre per l’elezione del Presidente della Repubblica, ha comportato inevitabilmente lo scioglimento del Parlamento di Atene e nuove elezioni politiche, che sono state fissate al 25 gennaio. Sconfitta politica, quindi, del premier Antonis Samaras (Nea Dimokratia, centro destra).
Samaras riteneva di poter imporre un proprio candidato in sostituzione di Karolos Papoulias, comunque a fine mandato, presentando eventuali nuove elezioni politiche come un “salto nel buio”; in realtà non è riuscito a trovare alleati per arrivare ai fatidici 180 voti, perché nessun ha voluto condividere la responsabilità della sua impopolare politica di austerity. Nessuno dimentica che il Pasok di Papandreou, oggi al governo con Samaras, nel 2009 aveva il 43% dei voti; avendo accettato le misure chiesta dalla troika di creditori (UE-BCE-FMI) oggi è al 5,5%.

Le nuove elezioni sono un’incognita per tutti, anche per Tsipras il leader di Syriza, data per favorita.
Da un lato l’esasperazione dei greci è al limite per tutte le misure degli ultimi 6 anni: tagli salariali sino al 30%, taglio dei dipendenti pubblici, forte aumento delle imposte, in particolare un’odiata tassa sulla casa, riduzione dei servizi. La disoccupazione è al 26%, i redditi delle famiglie calati del 40% in sei anni. Tanto che lo stesso Samaras ha tentato una blanda resistenza alle pretese della troika, accettando 16 delle 19 riforme imposte per avere l’ultima tranche di aiuti, di 7 miliardi di € (il governo Samaras non ha accettato l’aumento dell’Iva sul turismo, l’aumento dell’età pensionabile e a una maggiore flessibilità nei licenziamenti nel settore privato e pubblico). Nonostante infatti la Grecia quest’anno abbia un bilancio in attivo, la troika ha chiesto di trovare nuove entrate per 2,5 miliardi di euro necessarie per coprire un presunto “buco” di bilancio nel 2015 (calcolato dal FMI in 1,7 miliardi di €). Samaras ha ottenuto solo una proroga tecnica di due mesi del piano di salvataggio, cioè fino a febbraio. Logico quindi che le sperticate lodi del ministro delle Finanze tedesco Schaeuble e del presidente della Commissione UE Juncker a Samaras non gli gioveranno.

E’ stato relativamente facile per Syriza accusare Juncker di «grossolana ingerenza», di agire come un “prefetto” nei confronti della Grecia. La vittoria di Syriza alle elezioni non è garantita.
I sondaggi all’inizio di dicembre parlavano di un 29,5% a Syriza contro un 24,4% di Nea Dimokratia, oggi riducono il vantaggio di Syriza al 2,5-3%. I commentatori ricordano che il 27% di Syriza ottenuto alle politiche del 2012 e alle recenti europee deve essere valutato rispetto a un astensionismo del 41,8% alle europee e del 37,6%. In più un conto è il voto di protesta, un conto è affidare il governo a Tsipras. Se i “poteri forti” ingaggiassero una campagna di stampa feroce potrebbero spostare i pochi punti di voto necessari a garantire il loro controllo sul prossimo governo.
Se Tsipras comunque vincerà significherà che la crisi ha talmente morso nella vita quotidiana di proletariato e piccola borghesia da rompere il controllo ideologico della classe al potere.

Un altro elemento va infatti tenuto presente. E cioè il peso delle quote di risparmio. Samaras &C. presentano Tsipras come colui che vuol portare la Grecia fuori dall’Euro e riportarla a una dracma super svalutata. O anche semplicemente a un euro svalutato. Quanti verrebbero toccati? Il 10% dei greci, cioè si grandi ricchi soltanto, come sostiene la BBC 16/12/14, o anche tutto uno strato di piccoli risparmiatori che possono appartenere anche ad altri strati sociali? Un sintomo interessante è che nel dicembre 2014 sono stati ritirati dalle banche greche 3 miliardi di €, pari all’1,5% del PIL. I risparmi tuttora depositati assommano a 164,3 miliardi (+2% sul dicembre 2013). Nell’aprile – maggio 2012, dopo l’haicut, per cui i risparmiatori privati persero il 50% del valore dei titoli di stato detenuti, vennero ritirati 8,5 miliardi di €, lasciando comunque nelle banche 157,4 miliardi di depositi. Secondo “investire oggi” questi movimenti non riguardano i piccoli risparmiatori, perché i grandi hanno già portato i loro patrimoni all’estero, in Francia e Germania, dove l’euro vale di più.

Questo potrebbe essere lo zoccolo duro su cui Samaras potrebbe ricostruire le sue fortune.
Comunque in caso di vittoria di Syriza, se recuperasse una quota di voti del KKE e ottenesse il premio di maggioranza garantito al primo partito, secondo i più ottimisti non supererebbe il 34%, quindi dovrebbe intavolare trattative per recuperare alleati.
Ma soprattutto come si comporterebbe Tsipras? In una logica parlamentare, infatti, quello che si chiede a gran voce se si ha il 4,5% dei voti (quanti ne aveva Syriza nel 2011) o nessuna prospettiva di andare al governo può non coincidere con un programma di governo se si vincono le elezioni.
Tsipras all’opposizione chiede una ristrutturazione del debito graco al 70-80% il debito pubblico greco, valutato a 330 miliardi di euro, cioè il 175% del Pil (di cui 240 miliardi garantiti dai due mega prestiti europei, cioè 110 miliardi nel maggio 2010 e 140 miliardi nel febbraio 2012). Chiede un dilazionamento decennale degli interessi sul debito che oggi sono valutati 7-9 miliardi all’anno. Inoltre vorrebbe bloccare le privatizzazioni, ripristinare la tredicesima ai pensionati, fornire l’energia elettrica e buoni pasto alle famiglie bisognose, innalzare da 5mila a 12mila euro la soglia dell’esenzione fiscale.
Ma negli ultimi giorni Tsipras non parla più di uscire dall’Euro; propone una “soluzione inevitabilmente negoziata con l’Europa”, senza “decisioni unilaterali”. Promette inoltre «manterremo i conti pubblici a posto» e «spenderemo soltanto quello che riusciremo ad incassare». Un piano più facile da enunciare che da praticare.
Si propone quindi come una alternativa ragionevole, praticabile, dentro il quadro borghese.
Ha attenuato anche le invettive anti Nato e anti Usa. Tanto che il Guardian afferma che Tsipras espone i ritratti di Rosa Luxembourg, ma non è certo uno Spartachista e neanche un bolscevico, anzi somiglia abbastanza al Papandreou della prima ora, Lo WSJ ricorda che la ristrutturazione del debito è già stata fatta per altri paesi, non è niente di rivoluzionario, è una questione di volontà politica. La CNN ricorda che comunque la Grecia pesa per il 2% del PIL dell’eurozona e che non sarebbe un dramma nemmeno la sua uscita dall’euro. Sarebbe naturalmente una iattura per i grandi creditori, per le banche, per i governi europei (che detengono l’80% del debito greco), ma anche per Bruxelles per l’effetto domino che anche solo un governo Tsipras avrebbe su paesi come Spagna e Italia.

D’altronde è pensabile un voltafaccia di Syriza rispetto al suo programma originale (tutti citano il fatto che anche Samaras, quando era all’opposizione non ha dato il voto per le misure di austerity varate da Papandreou, salvo seguire la medesima politica di austerità che prima osteggiava quando ne ha preso il posto)? Ma l’elettorato di Syriza non è quello moderato di Samaras. Sono i giovani della “generazione 700 euro”, i laureati che a migliaia emigrano a cercar lavoro, che Tsipras ha galvanizzato con il suo linguaggio radicale. E gli stessi quadri vanno dai maoisti ai verdi passando per i trotskisti. Se Tsipras facesse un voltafaccia Syriza, che come partito unitario ha poco più di un anno di vita, come minimo si spaccherebbe.

Di qui l’interesse per noi di seguire più da vicino gli avvenimenti greci, di capirne le dinamiche sociali, approfondirne l’effetto al di fuori del paese.