Tripoli bel suol d’orrore

L’offensiva militare avviata dal “generale Haftar” mette allo scoperto un illuminante spaccato delle relazioni internazionali (e interimperialistiche) che smentisce i luoghi comuni e gli schemi preconfezionati, evidenziando l’assenza di un fronte proletario internazionalista.

Doveva esserci una “conferenza di pace” a Ghadames sotto l’egida ONU per arrivare a un governo di unità nazionale. Ma la parola l’hanno presa, in anticipo di una settimana, le armi con l’armata di Haftar lanciata alla conquista di Tripoli.

Diversamente dai suoi piani non è stata una passeggiata, né come affondare un coltello nel burro. E i morti si contano già a decine, gli sfollati a migliaia. E i migranti vengono arruolati con la forza a far da carne di cannone.

L’intrico delle forze è da manuale:
Haftar ex generale di Gheddafi caduto in disgrazia per avere perso in Ciad nel 1980, poi incubato negli USA dalla CIA per ben vent’anni, che marcia contro il governo Sarraj sostenuto dagli USA, i quali tolgono i loro militari dall’incomodo…

Perfino Francia, Egitto e gli Emirati, protettori del generale, deplorano l’intervento (avevano pronte le mozioni giuste da presentare alla Conferenza…).

Chi sostiene l’azzardo di Haftar? L’Arabia Saudita, con cui egli si era consultato prima di ordinare l’attacco. E poi… la Russia, che gli ha venduto armi pagate coi soldi degli sceicchi, e dopo aver costituito la Libyan Russian Oil & Gas Joint Company ha mandato 300 mercenari del Wagner Group a sostenere Haftar, e all’ONU ha posto il veto a una risoluzione che gli intimava di fermarsi.

Arabia e Russia, Salman e Putin, bella coppia… Ma il regno saudita non era il vassallo degli americani?

Evidentemente in questo mondo multipolare anche la superpotenza USA ha perso il controllo (e in Libia ha deciso di stare a guardare), e le nuove potenze regionali hanno una libertà di manovra un tempo era impensabile.

E chi si oppone all’avanzata di Haftar, chi sostiene Sarraj, questa creatura dell’ONU?

Il Qatar, nemico giurato dell’Arabia, che da un anno e mezzo l’ha messo sotto embargo, la Turchia di Erdogan che protegge l’emiro, e… l’Italia giallo-verde. Proprio un bel ménage a tre!

Tale atteggiamento del governo del “cambiamento” è in perfetta continuità con la linea “storica” dell’imperialismo italiano nella cosiddetta “Quarta Sponda”, fin dai tempi della guerra libica del 1911. Ma anche senza andare troppo lontano tutti dovrebbero ricordare il “patto di sangue” tra Berlusconi e Gheddafi, poi scaricato per non correre rischi, nonché il trait-d’union tra Roma e petrolio libico sancito parimenti da tutti i governi di centro-sinistra: da Prodi in poi (per non parlare di Craxi).

L’ex potenza coloniale, che aveva giocato le sue carte su Sarraj perché gli impianti ENI sono nell’area che era sotto la sua influenza, aveva l’ambizione di fare da mediatrice, ma ancora una volta è stata colta di sorpresa dal generale, che credeva di avere ammansito.

Si dispera difesaonline, che vede un disastro in fieri:
“Quasi 107 anni fa, proprio a Sidi Bilal sconfiggemmo le forze ottomane al prezzo di quasi 600 perdite (contro le nemmeno 100 dei Turchi) e aprimmo la porta di Tripoli. Oggi, la porta ci viene sbattuta in faccia, per l’insipienza tattica con cui è stato gestito il dossier libico tra il 2011 e il 2018, ma soprattutto per i madornali errori strategici dell’attuale governo, che si è schierato apertamente col Qatar in cambio di una ciotola di lenticchie e di qualche foto dei ministri con gli sceicchi. […]

Lo scenario in prospettiva fa rabbrividire: ondate da migliaia di disperati alla vigilia delle elezioni europee, i contratti di ENI messi in discussione, i consiglieri militari italiani e il personale ENI2 messi addirittura in pericolo di vita.

Chissà se il vicepremier Salvini ci aveva pensato, quando giocava con le armi da fuoco proprio a una fiera a Doha lo scorso autunno: senza pensarci troppo, è vero che – con l’intero governo – stava proprio giocando col fuoco…”.

Non vogliamo insegnare il mestiere del governo imperialista agli apprendisti Conte, Salvini e Di Maio. Ma di certo stanno giocando col fuoco, e non ci risulta che Salvini abbia revocato la tesi “Libia porto sicuro” che serve ai respingimenti dei migranti.

Mentre l’ENI ha imbarcato tutto il personale italiano, diversamente dagli americani il governo italiano ha lasciato i 300 bersaglieri “a guardia dell’ospedale da campo” appositamente inventato per piazzare le truppe sul terreno. Ci sono gli impianti ENI da sorvegliare…

Nessuno sa come si evolverà il conflitto libico. Dipende dalle armi e dal denaro che Francia, Russia, Arabia, Emirati da una parte, e Italia, Qatar, Turchia (e USA?) dall’altra daranno ai contendenti, che non sono solo Serraj e Haftar, ma decine di bande armate a base tribale, ognuna delle quali controlla una striscia di questo vasto paese che ha la fortuna/disgrazia di tenere petrolio sotto il deserto.

Di certo per la massa della popolazione, e soprattutto per i migranti in territorio libico le sofferenze non potranno che aumentare. Sofferenze senza lotta, è questo il dramma peggiore.

Di fronte al nuovo sangue che si sparge in Libia, dove l’imperialismo italiano ha avuto e ha un ruolo di preminenza, lavoriamo per costruire una opposizione internazionalista che unisca le lotte sul terreno economico e sociale (con gli immigrati tra i protagonisti) all’opposizione di classe contro questo governo che le reprime mentre gioca col fuoco in Libia sulla pelle dei proletari.