Una nuova strage delle frontiere chiuse

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Quella che si è consumata nei giorni scorsi viene considerata la peggiore strage di migranti. La peggiore fra tante, che si susseguono ininterrotte con ritmo quasi quotidiano. E’ ancora difficile quantificare il numero dei morti, ma è certo che anche questa volta siamo nell’ordine delle centinaia.
Ciò che sono invece ben chiare sono le cause di questa ennesima tragedia: è la chiusura delle frontiere europee all’immigrazione che costringe i migranti a scegliere strade pericolose per percorrere un tragitto che si potrebbe compiere in piena sicurezza con mezzi di trasporto normali; sono le guerre combattute fra le borghesie del Medio Oriente e dell’Africa ma finanziate ed armate dai paesi imperialisti che spingono anche chi aveva una relativa sicurezza economica a fuggire per sopravvivere; sono le norme contro l’immigrazione che permettono ai trafficanti di esseri umani di arricchirsi sulla pelle dei lavoratori stranieri mentre le polizie europee spendono cifre enormi per arginare una migrazione che non può essere arrestata.

Dall’Italia si levano critiche contro l’Unione Europea che starebbe a guardare di fronte alla strage continua, contro i paesi del Nord Europa che non vorrebbero stanziare nuove risorse per i soccorsi in mare. Certamente questa tragedia sottolinea la pochezza di un’Europa che nonostante abbia da decenni frontiere e mercato del lavoro comuni non è ancora riuscita ad elaborare una politica comune sull’immigrazione e sul controllo delle frontiere, lasciando tutto all’iniziativa degli stati membri. Sin dal suo inizio la missione Triton – che non ha lo scopo di salvare i migranti ma di impedire lor di sbarcare – era sottodimensionata rispetto ai compiti da svolgere.
Ma ci si dimentica che l’Italia non è certo il primo paese come accoglienza dei profughi: secondo i dati provvisori UNHCR del 2013, a fronte dei 78mila profughi sul territorio italiano (pari allo 0,13% della popolazione nazionale) la Germania ne ha oltre 187mila (0,23%), la Danimarca 13mila (0,23%), la Francia 232mila (0,35%), fino ai 114mila della Svezia (1,18%).
E nonostante i numeri più limitati, l’Italia non eccelle certo nella gestione del problema: ogni anno si rinnovano i provvedimenti di emergenza mentre manca una politica di ampio respiro.

Mentre gli sciacalli del razzismo istituzionale cavalcano la tragedia per avere ulteriore spazio sui media, fra i governi si discute su come risolvere la crisi libica per frenare i nuovi imbarchi. Ma prima che i governi occidentali distruggessero la Libia come stato, il governo centrale di Tripoli non impediva l’ecatombe dei migranti: semplicemente attuava contro di loro una repressione sistematica fatta di carcerazioni in condizioni disumane, torture ed assassinii di massa. Una repressione per procura in cambio del quale il tiranno Gheddafi avrebbe dovuto ricevere un cospicuo compenso (un’autostrada sulla costa che congiungesse Tripoli e Bengasi). Ora i governi democratici vorrebbero un nuovo governo amico – magari sanguinario, ma amico – che continui il lavoro sporco, magari gestendo in loco lo smistamento dei profughi coi metodi polizieschi del regime precedente. In altre parole, i migranti non morirebbero più nel Mediterraneo, ma sulla terraferma.

Non è quindi nelle politiche dei governi borghesi che possiamo trovare una soluzione a queste tragedie, ma piuttosto contro queste politiche. Se il loro obbiettivo è il mantenimento del sistema sociale che produce guerre e disparità economiche, solo rovesciando questo sistema e le istituzioni che lo tutelano potremo costruire una società senza frontiere né sfruttamento.