CAMILLÒ, Giovanni “John”

(Maropati – 1897 – Somerville, 1944), ciabattino

 

Figlio di una famiglia di modestissime condizioni, frequentò i primi tre anni di elementari. Nel 1915 partì volontario nella Prima guerra, combatté sul fronte italiano (Gorizia, Caporetto) e sulle Argonne dove vide cose “da far rabbrividire anche i cuori più duri delle rupi”. Congedato nel 1920 era ormai un antimilitarista convinto. A cambiare la sua vita un incontro ad Ancona con Errico Malatesta nel giugno 1920: “Carissimo compagno e fratello, non puoi credere quale consolazione provai nel sentirti alquanto bene. Ma fossi di molto più grato se ti potessi vedere di presenza come ti vidi una volta ad Ancona al tuo ritorno da London. In questi tempi con grande dolore del mio cuore indossavo la nefanda divisa di soldatuccio del re. Insieme con me vi era un altro soldato, tale Cegna Augusto, da Macerata che standomi assieme sul fronte mi aveva dato il tuo opuscolo Fra contadini che io ho letto e riletto accuratamente”, gli scriverà in un precario italiano nel 1931.

Emigrato a Buenos Aires, si spostò negli Stati Uniti, a Somerville (NJ). Contattò il gruppo de «Il Martello» di Carlo Tresca e gli IWW, per poi abbracciare l’anarchismo antiorganizzatore; iniziò a collaborare con «L’Adunata dei Refrattari»; suoi principali riferimenti politici e umani furono Costantino Zonchello (Borore, 1883 – Los Angeles, 1967) e Vittorio Blotto. Attivo senza sosta nella campagna per la liberazione di Sacco e Vanzetti, quando scoppiò la crisi del 1929, anche per Camillò sbarcare il lunario diventò sempre più complicato: “Si va avanti a pane e cipolle, si risparmia sulle fette di salame e sugli spaghetti. Sia maledetto il capitale infame, giovani forti e robusti ci ha ridotti nella più abbruttita miseria” scrive agli amici, senza però mai smarrire un incrollabile ottimismo: “Ma i giorni della vile borghesia restano contati e la nostra utopia di oggi sarà la realtà del domani e dal putridume di questa corrotta e bastarda società morente s’innalzerà la società livellatrice”. Nell’estate del 1933 fame e miseria gli portarono via un figlio piccolo: “Sarebbe meglio che noi lavoratori si facesse il possibile a non mettere dei maschi in questo mondo pieno di ingiustizia, di vergogna e d’infamia. Ci hanno tolto tutto ma non arriveranno giammai a levarci quell’ideale che ci illumina come un gran faro” scrisse a Salvatore Vellucci confinato a Ponza. Negli Stati Uniti si avvicinò prima al gruppo de «Il Martello» di Carlo Tresca, poi a «L’Adunata dei Refrattari». Redasse una fitta corrispondenza con Malatesta informandolo delle cose americane, sui disoccupati cacciati dai soldati con i gas asfissianti; sulla fucilazione di Severino Di Giovanni avvenuta a Buenos Aires il 1° febbraio 1931; sulle condizioni di salute di Virgilia D’Andrea operata del brutto male che da lì a poco l’avrebbe uccisa; sulle tante conferenze appena avvenute o appena programmate. Anche a lui a volte sarebbe piaciuto parlare, ma non se la sentiva per la sua scarsa cultura. “Te lo dico proprio in verità che nel vedere ogni giorno tutte queste ingiustizie ed infamie sempre a danno dei lavoratori non posso fare a meno di divenire sempre più nervoso”. Ma sempre riaffiorò in fondo alle sue lettere l’ottimismo: “Abbiamo fede in un avvenire meno triste per la generazione futura. Verso l’anarchia va la scienza diceva Pietro Gori” scrive il 4 maggio 1932.
Quando il 22 luglio del 1932 Errico Malatesta morì, John capì di avere perduto la persona più importante della sua vita: “Abbiamo perduto il compagno, l’amico, il padre, il maestro. Non noi personalmente soltanto, ma un’infinità di fedeli all’idea che egli così nobilmente personificava. Quanto ci sentiamo soli oggi senza di lui. Restano ad eternarlo nella storia del proletariato l’esempio mirabile della sua vita cristallina. Restano le opere e noi le studieremo ancora maggiormente con intelletto d’amore, lo faremo conoscere con più intensa fede e ci sforzeremo in tutti i modi per far si che sebbene morto esso vive ancora e più di prima nel gran cuore di tutti gli oppressi e di tutti gli assetati di giustizia” scrisse a Elena Melli qualche mese dopo. Continuò la corrispondenza con la Melli. Negli anni della Guerra civile spagnola soffrì particolarmente per l’uccisione da parte degli stalinisti di Berneri e di Ciccio Barbieri, anch’esso calabrese: “Mi auguro che questa infamia non rimarrà invendicata. I comunisti autoritari farebbero bene se in cambio di assassinare i compagni nostri assassinassero i veri nemici”.
Nel 1938 la Prefettura di Reggio Calabria scriveva che “si vuole che egli viva in concubinato con un’italiana, non identificata, con la quale ha procreato alcuni figli”. L’italiana si chiamava Maria Pascale e aveva un solo figlio (Anthony nato nel 1928, che diverrà un famoso produttore musicale).

L’ultima traccia di Camillò si ferma al 30 aprile 1938. C’è la sua firma in fondo ad un articolo uscito sul periodico anarchico «Il Proletario» che il Consolato di New York, inviandolo al Ministero di Roma, definisce ignobile. È un articolo intitolato “Buffoni!” di commento all’onorificenza che papa XI ha appena concesso a Mussolini: “Il duce delle fetentissime camice nere potrà ora portarsi in vaticano per genuflettersi , ma le moltitudini seguiranno a disertare le chiese dove oggi si prega un dio bugiardo. Il libero pensiero cammina, non lo arrestò l’inquisizione romana, non lo arresterà il lercio duce delle lerce camice nere anche se avrà gli speroni d’oro. Il popolo attende. Di vederli penzolare uniti dal lampione più alto di piazza san Pietro, in nome di quella libertà che non è morta, in nome di quell’ideale che non è ucciso, ma alimentato, rigenerato, vivificato dalle ultime agonie, dagli ultimi spasmi. Al lampione buffoni goffi!, al lampione! Che importa se sarà oggi o domani? Sarà”.

Secondo Ferdinando Crudo (Sant’Onofrio, 1902 – West Bloomfield, 2000), falegname anarchico redattore de «L’Adunata», Camillò morì a Somerville nel 1942. In realtà è mancato il 23 novembre 1944, come da informazione che abbiamo ricevuto dalla nipote.

 

FONTI: A. Orlando, www.icsaicstoria.it; M. Lunardelli, Ma chi erano Ciocchini e Camillò, «A», estate 2011

FONTE IMMAGINE: «A», estate 2011

 

 

 

 

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