GERMANETTO, Giovanni “Barbadirame”

(Torino, 18 gennaio 1885 – Mosca, 7 ottobre 1959), barbiere

 

Figlio di un metallurgico, sin da bambino lavorò come barbiere. Nel 1902 s’iscrisse alla FIGS e all’Alleanza antimilitarista internazionale. Nel 1904 a Torino costituì la Lega dei barbieri. Nel 1912 venne eletto segretario della federazione socialista di Cuneo e prese parte alle lotte antimilitariste dall’aggressione alla Tripolitania fino all’entrata in guerra dell’Italia. Claudicante (viene riformato), nel 1917 conobbe Bordiga e Gramsci e aderì alla frazione intransigente rivoluzionaria del PSI. Nel 1920 assunse la direzione del settimanale socialista di Saluzzo «La Riscossa» e partecipò al convegno della frazione comunista di Imola. Nel 1921 partecipò al congresso di Livorno e passò al PCdI. Vittima di aggressioni Squadriste, con Isidoro Azzario e Roberto Riccardo (Alba, 1879 – 1958) tentò di frenare la crisi delle organizzazioni operaie nel Cuneese. Alla fine del 1922 prese parte a Mosca al II congresso del Profintern, firmando il manifesto che chiedeva la fusione con il partito socialista. Arrestato a Torino nel 1923 con Azzario, detenuto fra febbraio e ottobre, venne poi assolto per insufficienza di prove. Nel 1924 tornò a Mosca in rappresentanza della CGdL e partecipa al V Congresso del Comintern. Rientrato clandestinamente in Italia, collaborò a «L’Unità» con lo pseudonimo “Barbadirame”, sfuggì più volte alle retate fasciste fino all’ottobre del ’26 quando venne arrestato e rilasciato per errore. Riparò in Francia e poi in Urss, dove divenne membro attivo del Soccorso Rosso. Delegato al VI Congresso del Comintern, lo fu poi nell’aprile del 1930 al IV congresso clandestino del PCdI a Colonia. Nello stesso anno uscirono a Mosca, in russo, le sue Memorie di un barbiere; tradotto in 23 lingue, il libro ottenne un eccezionale successo (centinaia di migliaia di copie vendute nelle varie edizioni). La narrazione si arresta al 1927 e rappresenta un affresco, vivace e trascinante, delle lotte operaie e della tipica esperienza sociale e politica di un militante del periodo. Una riedizione italiana del ’62, quando Germanetto era già morto, venne emendata di tutti i passi in cui l’autore cita o loda Bordiga. Germanetto era certamente al corrente delle persecuzioni degli esuli politici italiani in Urss, ma non risulta che intercedesse mai in aiuto di nessuno di loro nonostante la sua posizione di giornalista e sindacalista accreditato a Mosca: anzi, come Robotti, il cognato di Togliatti, fornì all’OVRA dati personali che provocarono l’arresto di molti italiani, in particolare anarchici e bordighisti. Germanetto ebbe l’astuzia, secondo alcuni, di conservare la cittadinanza italiana, tanto che nel 1935 ottenne dal regime fascista un passaporto per andare a Nizza a trovare la madre malata; l’OVRA pensava così di metterlo in cattiva luce rispetto al regime staliniano, ma così non fu. Allo scoppio della II guerra mondiale trasmetteva da Mosca su Radio Milano-libertà. Nel 1943 fu responsabile con Paolo Robotti della redazione del giornale «Alba» destinato ai militari italiani prigionieri in URSS. Al termine del conflitto si occupò delle pratiche per il rimpatrio degli emigrati politici italiani in URSS. È noto come sconsigliasse vivamente ai giovani italiani prigionieri di guerra di sposare donne russe, perché non avrebbero mai portare in patria le spose. Egli stesso rientrò in Italia nel 1946 e al VI congresso del PCI (Milano, 4-10 gennaio 1948) fu eletto nella commissione centrale di controllo. Per incarico della direzione del partito, nel 1952 scrisse, insieme a Paolo Robotti, Trent’anni di lotte dei comunisti italiani 1921-1951, un libro “tanto fazioso che ebbe modesta diffusione anche all’interno del PCI” secondo Giorgio Fabre. Nella più benevola delle interpretazioni voleva offrire ai militanti una visione autocelebrativa del partito nel segno della continuità storico-politica del gruppo dirigente da Gramsci a Togliatti, cancellando il ruolo dei “non stalinisti”, a partire da Bordiga e Terracini. Soprattutto il libro tace dei Gulag e dei comunisti italiani perseguitati e uccisi. Raccontò Robotti che Togliatti ordinò di tacere anche dopo la destalinizzazione di Kruscev. E loro obbedirono. Robotti parlò solo dopo la morte di Togliatti, ma allora Germanetto non c’era più. Comunque anche dopo le denunce di Robotti nessuna delle vittime venne “riabilitata” dal PCI. Oggetto di continue attenzioni da parte della polizia di Scelba (deve affrontare sei processi), Germanetto ritornò a Mosca, dove risiedono la moglie russa e la figlia.

 

FONTI: G. Fabre, Roma o Mosca; G. Germanetto, Memorie di un barbiere

 

 

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