PRESUTTI, Smeraldo

(Città Sant’Angelo, 1898 – Pescara, 1984), fotografo

Delegati italiani al IV Congresso IC. Presutti è il secondo da sinistra, in piedi

Figlio di un orefice, secondo di sei fratelli, a 18 anni venne inviato al fronte; segnalato come “disfattista” venne mandato in una Compagnia di Disciplina di Punizione del suo Reggimento. Delegato al XVII Congresso Nazionale del PSI di Livorno (15-21 gennaio 1921), passò al PCdI. Rappresentò la minoranza di destra al IV Congresso IC a Mosca, con Nicolò Bombacci, Graziadei e Tasca, favorevole all’unificazione col PSI chiesta dall’IC e respinta dalla maggioranza del partito italiano.

Arrestato al rientro in Italia nel corso della retata anticomunista del 1923, nell’ottobre venne processato e assolto per insufficienza di prove. Espulso nel luglio 1925 nel corso degli attacchi del centro alle minoranze, un anno dopo si sposò con la 17enne Letizia Natali e aprì uno studio fotografico a Pescara. Durante la guerra sfollò nel paese natale dove nel giugno 1944 il Governo Militare Alleato insediò una giunta provvisoria in cui venne inserito.

Dopo la guerra tornò a Pescara dove riaprì lo studio fotografico e divenne segretario della sezione “Gramsci” del PCI.

“C’è chi vuol farmi passare per santo e chi per diavolo. Ma io non sono né l’ uno né l’ altro. Da oltre trent’ anni c’ è gente che mi dice, tra i miei amici, tra conoscenti e tra parenti più spesso: – Chi te lo fa fare a fare il comunista! – Che cosa ci guadagni! – Come se il comunista si facesse così per gusto o per mestiere, come si fa il chitarrista o il negoziante di porci. In venti (anni) io non mi sono mai prefisso o sentito di fare il comunista per guapperia, come certi figli di certi magnati americani che l’hanno a sbafo tutta quella sbobba di cui rigurgitano e non assaporano più nulla di nessun bene e fanno gli assassini per provare un’ emozione, per sentirsi che sono ancora sensibili a qualche cosa. Io mi trovai ad essere comunista, come ci si trova giù nei vortici d’ un fiume a lottare contro la corrente per trarre in salvo uno sciagurato che si è gettato dal ponte. E poi che s’ è giù, e la lotta si fa dura non solo per trarre in salvo il nostro simile ignoto ma per non affogare noi stessi, ci pare un’ estrema vigliaccheria, una vergogna, cessare la lotta, dare un pugno all’ uomo che stiamo strappando alla voracità dei flutti, e squagliarcela mentre quello affoga. Perché acutamente questa gente che cercando di dimostrarmi il loro affetto con l’ ammonirmi – chi me lo farebbe fare ad essere comunista e a restar tale – riconosce che in fondo un guadagno non c’è proprio, ma un rischio”.

 

FONTI: F. Tripodi, Smeraldo Presutti da Città Sant’Angelo a Mosca

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