ZANELLA, Giuditta Maria

(Barzola, 1885 – Torino, 1964), operaia tessile

 

Nacque nel piccolissimo borgo di Barzola, allora in provincia di Como (passerà sotto Varese nel 1927); la polizia impiegò parecchio tempo per spiegarne la nascita in quella località popolata da qualche decina di persone, e alla fine ci riuscì: il padre (Liberale di nome) era casellante nella vicina linea ferroviaria Novara-Luino, soggetto a continui cambi di residenza. Giuditta arrivò poi a Torino con la famiglia dopo l’ennesimo trasferimento.

Socialista, abbracciò presto l’ideale anarchico; venne segnalata per la sua propaganda efficace tra le operaie; prese parte a manifestazioni “sovversive”: nel 1914 alle agitazioni della Settimana Rossa, nel 1917 ai moti torinesi contro la guerra, nel 1920 all’occupazione delle fabbriche. Collaborò con Galleani e il Gruppo torinese di «Cronaca Sovversiva». Schedata come anarchica pericolosa, nel gennaio 1922 venne denunciata per favoreggiamento di tentato omicidio: trattasi  di un investigatore privato, secondo le carte di polizia, ma i fatti sono riconducibili alla sparatoria del 7 gennaio 1922 a Torino tra anarchici e poliziotti, dove rimase ucciso l’anarchico valsusino Raffaele Milesi, mentre un poliziotto fu ferito gravemente. La Zanella nascose i due anarchici superstiti aiutandoli a fuggire, e fuggendo anch’essa.

Dal marzo 1924 abbandonò Torino per raggiungere il suo compagno Ilario Margherita in giro per il mondo: Francia, Belgio, Cuba, Stati Uniti.
Entrambi furono arrestati a Barcellona nel luglio 1932 ed espulsi verso la Francia, ma rientrarono subito  il 20 settembre per “riunioni anarchiche clandestine”. Un documento della polizia politica italiana, datato 11 marzo 1935, indicava che Giuditta risiedeva sotto falso nome a Barcellona  con Ilario e Francisco Ferrer (nipote dell’omonimo martire pedagogo) e sua moglie.“ Ilario Margherita: “sempre clandestinamente ritornammo a Barcellona, prendendo parte all’insurrezione del 19 luglio 1936 contro Franco ; quindi arruolatisi volontariamente dai primi giorni della guerra antifascista io nella 2° colonna Hortis (sic) di fronte a Belchite e la mia compagna nella colonna Durruti di fronte a Saragozza”.

 

Da: Guerra di classe , N° 22, anno II. 19 luglio 1937

“Chi ci parla è un’anarchica italiana. Appartiene ai primi volontari che seguirono Durruti in Aragona. Ha combattuto per diversi mesi contro l’esercito franchista, in trincea, fucile alla mano. Durante un certo episodio della guerra, fu tra le uniche tre sopravvissute del suo battaglione. Non diamo il suo nome. È una donna anarchica! Indicheremo il suo pseudonimo: “Yudith”. 

[..]

Vorremmo ora sapere dalla tua bocca come è finito Francisco, nipote di Francisco Ferrer y Guardia. Sappiamo che lo conoscevi.
“In effetti, sono stata come una madre per lui per molto tempo. Ho 52 anni. Partimmo insieme a Durruti, nel luglio del 1936. Era, come il nonno, buono e generoso. Francisco nacque a Parigi nel 1909. Quando cadde la monarchia borbonica si precipitò in Spagna. Vide gli albori della rivoluzione sociale… Avrebbe potuto restare a Barcellona quando avvenne il tradimento militar-fascista. Soffriva di un disturbo cardiaco, ed era anche in possesso di un certificato di totale inidoneità al servizio militare, a causa di un infortunio sul lavoro. Anzi, partì con Durruti e chiese di essere ammesso al Gruppo d’Assalto Internazionale, una delle formazioni più eroiche.
Perché era a Barcellona durante gli eventi di maggio?
“Ecco: l’8 aprile ha preso parte alla cosiddetta azione dell’Eremo di Santa Quiteria. È stato ricoverato a Barcellona. Verso la fine di aprile le sue condizioni fisiche erano migliorate, ma doveva recarsi quasi quotidianamente in ospedale per seguire le cure. Il 5 maggio siamo usciti insieme. Nella “calle” Paris ci siamo imbattuti in un gruppo di soldati, che ho pensato fossero comunisti. Francisco indossò l’uniforme della milizia e portava il revolver alla cintura. Aveva con sé un documento che lo autorizzava, in quanto membro dell’International Assault Group, a muoversi armato ovunque. Gli sconosciuti, puntando i moschettoni, gli ordinarono di consegnare la rivoltella. Ha rifiutato. Protestò energicamente, affermando che non poteva lasciarsi disarmare, poiché l’arma gli era necessaria per combattere il fascismo. Fu oggetto della brutalità degli aggressori che, con minacce e insulti di ogni tipo, lo costrinsero a presentare le sue carte. Quando Francisco mostrò loro la carta CNT, una voce gridò: “Uccidetelo! … Non gli fu dato il tempo di difendersi. Fu scaraventato contro un muro ei banditi, a pochi passi di distanza, gli spararono contemporaneamente. »
La nostra compagna si prende una pausa… Si passa una mano sulla fronte. Ha negli occhi la visione spaventosa:
“La sua agonia è durata 24 ore. Era terribile. Sono stata leggermente ferita a un braccio.
Sapevano che stavano uccidendo il nipote di Ferrer y Guardia e che stavano commettendo lo stesso crimine che aveva colpito d’infamia la monarchia?
” Non lo so. Sapevano che era un militante della CNT, un volontario di Durruti. Questo è bastato per assassinarlo!”

[..]

Si legge nella “Fragua Social” di Valencia, 6 luglio, una lettera orgogliosa di Trinidad Ferrer, figlia del martire della Scuola Moderna. E un’altra accusa contro il ministro della Pubblica Istruzione del governo del “Fronte popolare”, che sta cercando di rifiutarle una pensione che le viene legalmente concessa in quanto discendente di un insegnante…
“La tragedia di questa donna – osserva il nostro interlocutore – è commovente. La monarchia borbonica ha sparato a suo padre. E i ladri rossi della controrivoluzione hanno sparato a suo figlio”.

 

 

FONTI: ricerca di Tobia Imperato; http://gimenologues.org/

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