DISASTRO NATURALE O SOCIALE?

Quanto accaduto nel Sud-est asiatico, la rovinosa scia di morte e distruzione causata dallo tsunami è stato presentato all’opinione pubblica mondiale come un accidente provocato dalla furia cieca della natura, verso la quale l’uomo è rimasto a guardare, vittima impotente di una fatalità verso la quale non può difendersi, alla quale deve soccombere.
Non è così. E’ stato un disastro sociale.
Un disastro determinato dalla natura sociale della società in cui viviamo, il capitalismo.
Non solo perché la grande maggioranza delle vittime sono tra i poveri che non avevano una casa in muratura.
Poteva essere prevenuto e arginato, poteva essere affrontato con più efficacia, lo sviluppo delle forze produttive a cui è arrivato il capitalismo lo avrebbe permesso. Ma la legge del profitto prevale sui bisogni umani. La tecnologia non è usata per salvaguardare la specie umana, ma per distruggerla.
Si calcola che per installare un sistema di monitoraggio lungo la fascia costiera colpita si sarebbero spesi 150 milioni di dollari, pari al costo di quattro giorni di guerra in Iraq. Ma le stesse borghesie locali, indiana, indonesiana, tailandese, ecc. erano troppo occupate a comprare e fabbricare armi…
C’erano stati avvertimenti, lo tsnuami era stato annunciato, ma le barriere nazionali hanno impedito che gli allarmi arrivassero nei paesi che sono stati colpiti (quanti allarmi sarebbero scattati se si fosse avvicinata una nave da guerra o fosse stato avvistato un sottomarino di una potenza straniera?).
Ma ora le grandi potenze fanno a gara nell’offrire aiuti
Col latte in polvere cercano in realtà di combattere la stessa guerra per la quale altrove usano la polvere da sparo. Cinicamente ciascuna cerca di sfruttare il disastro per allargare e consolidare la propria sfera d’influenza nella regione, in una lotta tra imperialismi che passa sopra i corpi delle vittime.
E’ questo il vero contenuto degli “aiuti” degli Stati imperialistici, in un mondo in cui anche le risposte ai disastri naturali si devono adeguare alla fase multipolare dell’imperialismo.
Così grandi quantità di fondi vengono promesse dalle maggiori potenze, in una campagna di palchi e telecamere, con l’intento di far dimenticare i ricorrenti massacri che esse perpetrano sulle popolazioni civili – oggi in Iraq – e le decine di milioni di morti delle guerre imperialiste.
E gli aiuti diventano un veicolo per proiettare forze militari nelle regioni colpite. “La presenza dei militari USA era praticamente impensabile prima della tragedia del 26 dicembre”, esulta il Wall Street Journal.
Il governo rosso-verde di Schroeder dichiara così che la Germania darà 500 milioni di euro (664 milioni di $) in aiuti. Privati e imprese tedesche hanno dato finora 160 milioni di euro.
Tony Blair per la Gran Bretagna ha promesso un aiuto di 100 milioni di sterline (circa 200 milioni di $), alzando l’offerta per stare al passo con gli altri imperialismi, dopo un’iniziale quota di 50 milioni di sterline, subito superata dall’aiuto privato di 70 milioni di sterline.
Gli USA, dopo un’offerta iniziale di 15 milioni $ (inferiore al costo di un F-16) promettono 350 milioni $.
Anche il Giappone ha annunciato un aiuto di 500 milioni di $.
MA queste promesse, dall’evidente contenuto propagandistico, sono da prendere con beneficio d’inventario: non è una novità che le facili promesse degli imperialismi vengano poi disattese.
Per il terremoto del 2003 in Iran la UE promise 1 miliardo di $, ma poi ne dette solo 17 milioni! E per il ciclone Mitch che devastò l’America Centrale nel 1998 erano stati promessi miliardi di dollari poi trasformatisi in miseri 682 milioni.
Anche l’imperialismo italiano partecipa alla campagna di carità imperialista. Dopo le pietanze avariate e i farmaci scaduti della missione arcobaleno, questa volta tutti si auspicano l’integrità alimentare del cibo.
Si potrà parlare di vera solidarietà degli uomini nella comune lotta contro le avversità della natura, solo quando la rivoluzione comunista avrà annullato la divisione della società in classi, e la divisione del proletariato in comparti nazionali nei quali gli egoismi capitalistici, gli interessi imperialistici e la concorrenza soffocano la propensione ad una solidarietà internazionale dei lavoratori, dividendo in categorie di valore anche i morti.
L’ Internazionalismo proletario e comunista è la sola alternativa per salvaguardare la nostra classe e l’intera specie umana dai disastri naturali, ma soprattutto dai ben più ferali disastri sociali.

I Giovani di Pagine Marxiste

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