I nuovi partner ad Ankara (I/II)

Germania, Turchia, islamismo
 
Gfp     101021/22
I nuovi partner ad Ankara (I/II)

●    La Germania finora si era opposta all’ingresso di Ankara per timore che la Ue dovesse erogare aiuti finanziari per le sue ampie aree rurali, ma anche nel timore di non poter mantenere la propria supremazia nel numero di voti a causa della numerosa popolazione turca.

●    Durante la recente visita in Turchia, il nuovo presidente tedesco (CDU) ha dichiarato dal presidente tedesco durante la visita in Turchia, la posizione geografica della Turchia ne fa un importante “ponte” per gli affari in MO, Caucaso ed Asia Centrale; «un affare per l’Europa» e per il rafforzamento delle imprese tedesche sul Bosforo e in Anatolia. La Germania ha «un particolare interesse a legare la Turchia alla UE».

●    Fanno da sfondo alla disputa in corso sull’ingresso o meno della Turchia nella UE importanti cambiamenti da tempo in corso nella società turca, che nel 2002 hanno portato al governo nuove forze espressione politica delle “tigri anatoliche”,

o   i nuovi centri industriali (ad es. la città di Kayseri, città natale del presidente turco) creati negli anni 1990 in centro Anatolia, area precedentemente agricola, che da anni si sviluppano fortemente.

–   L’orientamento filo-UE di queste nuove elite turche – politicamente rappresentate dal partito "Adalet ve Kalkınma Partisi" (AKP) del primo ministro Recep Tayyip Erdoğan e del presidente Abdullah Gül – si integra con le nuove ipotesi di politica estera in discussione a Berlino.

o   Queste nuove forze cercano appoggio anche presso la UE, e trovano consenso a Berlino, nella loro lotta contro il tradizionale establishment urbano kemalista, per lo più contrario ai negoziati per l’ingresso della Turchia,  pur con diverse contraddizioni verso l’Islam emergenti sia tra i pubblicisti che nel governo tedeschi.

o   Gül è considerato un democratico, anche se quando era ministro Esteri aveva chiesto ai rappresentanti diplomatici di sostenere un’organizzazione islamista, Millî Görüş, che in Germania è sotto la sorveglianza dei servizi segreti tedeschi.

o   La Merkel denuncia gli immigrati turchi che non rifiuterebbero di integrarsi, i rappresentanti politici provenienti dal loro stesso ambiente vengono invece osannati pubblicamente.

o   Nello scontro interno della Turchia Berlino e Bruxelles stanno appoggiando il tradizionalista ed agrario AKP, ad es. con iniziative di Public Relation anche a favore della riforma costituzionale imposta a settembre da Erdoğan e Gül contro l’establishment kemalista.

●    Il presidente turco (in occasione della visita in Turchia del presidente tedesco Christian Wulff, CDU) ha chiesto alla Germania di abbandonare la richiesta di una non meglio definita “alleanza privilegiata” con la Turchia e di appoggiarne l’ingresso a pieno titolo nella UE,

●    dato che i gruppi tedeschi, i maggiori investitori e partner commerciali della Turchia, sono quelli che più traggono profitto dai negoziati per l’ingresso (avviati nel 1999 sotto la presidenza tedesca della UE), negoziati che impongono l’adeguamento della Turchia agli standard politici, economici e giuridici della UE.

o   Berlino spera con l’AKP di poter far passare nella UE, più facilmente che con i kemalisti al governo, l’integrazione istituzionale permanente della Turchia secondo il principio della “collaborazione senza diritto alla co-decisione”.

o   L’ammontare degli investimenti diretti tedeschi dal putsch militare del 1980è di circa $7,6MD; in Turchia sono registrate oltre 4000 imprese di proprietà o a partecipazione tedesca;

o   2009, esportazioni tedesche per €11,5MD, importazioni per €8,3MD.

o   Dagli anni 1990 il governo tedesco utilizza la UE per promuovere l’attività delle imprese tedesche in Turchia:

o   nel 1996 è entrata in vigore l’unione doganale con la UE;

o   Oggi la Turchia attrae per i bassi salari, ma dato i 73 milioni di abitanti si prospetta come mercato redditizio per il futuro;

●    Mentre continua la cooperazione con la UE, il governo turco AKP, seguendo la strategia della cosiddetta “Profondità strategica” o “Neo-ottomanesimo”,[1]  persegue il rafforzamento dell’influenza politica, economica e culturale turca nelle aree che facevano parte dell’impero ottomano, rompendo con la politica estera kemalista.

o   Nei paesi musulmani del Sud Europa, Bosnia-Herzegovina, Serbia) questo rischia di scatenare conflitti tra Germania e Turchia.

o   Un’area fondamentale sono i paesi arabi del Nord Africa e del MO; dal 2005 Ankara ha osservatori permanenti presso l’Unione Africana; dal 2006 il primo ministro turco viene invitato ai vertici della Lega Araba.

o   Il governo AKP cerca di utilizzare il pan-turchismo per ampliare la propria influenza verso Caucaso ed Asia Centrale; a metà settembre, assieme ai governi di Azerbaijan, Turkmenistan, Kazakistan e Kirghizistan, ha fondato un “Consiglio di cooperazione dei paesi turcofoni”.

–   Interessano in modo particolare a Berlino le iniziative di Ankara verso Caucaso e Centro Asia, per utilizzarle come tramite per il proprio commercio; petrolio e gas del Caspio potrebbero essere forniti in misura crescente tramite l’Anatolia, per diminuire la dipendenza dagli oleodotti russi.

–   Interessa pure il tentativo di Ankara di trovare un accordo con l’Armenia, perché questo permetterebbe a Berlino e UE di collegare più strettamente il Sud Caucaso all’Occidente, indebolendovi a lungo termine al posizione russa.

–   Una linea politica fondata sul pan-turchismo, e sotto alcuni aspetti anche islamica, sarebbe utile per fomentare il secessionismo islamico nella Cina Occidentale (“Turkestan Orientale).

–   Si discute a Berlino quanto la Germania possa sfruttare a proprio vantaggio la crescente cooperazone di Ankara con i paesi arabi e con l’Iran. Possono esemplificare la questione gli sforzi del governo turco per la risoluzione del conflitto sul nucleare iraniano e per i contatti con Hamas.

–   Le forze filo-atlantiche respingono queste iniziative turche, e consigliano ad Ankara di riprendere i legami con Israele.

–   Le forze che vogliono a dare più peso alla posizione della Germania in MO rispetto agli USA chiedono di accordarsi più strettamente con la Turchia per migliorare le relazioni con i paesi islamici. (Ad es. Volker Perthes, direttore della Fondazione SWP (Stiftung Wissenschaft und Politik).

SWP: attenzione che il consenso che la nuova politica turca trova a Berlino non si trasformi presto in rifiuto e attacchi aperti. Questa nuova politica, assieme all’avanzata di posizione religioso-conservatrici nelle questioni interne e socio-politiche, ha fortemente aumentato gli umori anti-occidentali latenti nell’opinione pubblica turca, che può portare a seri conflitti se la politica del governo turco non si adeguerà completamente, come già nei Balcani, agli interessi tedesco-europei.

[1] Secondo la dottrina elaborata a fine anni 1990 dal professore Ahmet Davutoğlu, originario dalla città di Konya in Centro Anatolia e appartenente alla nuova elite islamico-tradizionalista, divenuto consigliere per la politica estera di Erdoğan, e dal 2009 ministro Esteri. Queta dottrina è chiamata “Profondità strategica”, ed è entrata nel dibattito delle think tank occidentali. Ankara utilizza allo scopo trasmissioni radio-TV in turco; costruisce scuole e centri culturali turchi; apre nuove filiali di banche turche, o costruisce autostrade verso la Turchia. Ad ottobre 2009 il ministro Esteri Davutoğlu ha aperto una conferenza con tema “L’eredità ottomana e le comunità musulmane di oggi nei Balcani”. Tesi: I secoli dell’impero ottomano sono l’unica epoca storica in cui ai Balcani sono stati risparmiati i sacrifici.

Gfp      101021
Die neuen Partner in Ankara (I)
21.10.2010
ANKARA/KAYSERI/BERLIN
(Eigener Bericht) –

–   Berlin soll seine Weigerung, die Türkei in die EU aufzunehmen, fallenlassen. Dies verlangt der türkische Staatspräsident anlässlich des Besuches seines deutschen Amtskollegen. Die Bundesregierung müsse das Beharren auf einer "privilegierten Partnerschaft" mit Ankara preisgeben und in Brüssel für die türkische EU-Mitgliedschaft plädieren.

–   Deutschland, das sich bislang gegen den EU-Beitritt der Türkei sperrt, um den Abfluss von Mitteln aus dem Brüsseler Etat und die Machtteilhabe Ankaras zu verhindern, gehört zu den bedeutendsten Profiteuren der Beitrittsgespräche:

o    Die Anpassung der Türkei an Wirtschaftsstandards der EU nutzt vor allem deutschen Unternehmen, die wichtigster Investor und größter Handelspartner des Landes sind. Im Hintergrund des aktuellen Streits um den EU-Beitritt stehen zudem langfristig wirksame Umwälzungen in der türkischen Gesellschaft, die in Ankara neue Kräfte an die Regierung gebracht haben.

o    Diese stützen sich in ihrem Kampf gegen das traditionelle kemalistische Establishment auch auf die EU – und finden damit Anklang in Berlin.

o    Dies führt in der deutschen Medienlandschaft zu verwirrenden Volten (Mosse/giochi di prestigio sconcertanti): Die von der Bundesregierung umworbenen neuen türkischen Eliten wurzeln im vom Westen ansonsten bekämpften politischen Islam.

Wirtschaftsmacht Nummer eins

–   Eine wichtige Rolle in den Auseinandersetzungen um den EU-Beitritt der Türkei spielen massive Interessen der deutschen Wirtschaft. Deutschland ist der größte ausländische Investor in der Türkei – mit einem Volumen von gut 7,6 Milliarden US-Dollar seit dem Militärputsch im Jahr 1980.

–   Über 4.000 Unternehmen in deutschem Besitz oder mit deutscher Kapitalbeteiligung sind in dem Land registriert.

–   Beim Außenhandel nimmt Deutschland ebenfalls eine herausragende Rolle ein – es ist mit Exporten in Höhe von 11,5 Milliarden Euro und Importen in Höhe von 8,3 Milliarden Euro im Jahr 2009 der wichtigste Handelspartner der Türkei. Dabei wird den Wirtschaftsbeziehungen hohe Bedeutung beigemessen: Die Türkei gehört zu den 20 größten Volkswirtschaften der Welt; sie gilt deswegen sowie auch wegen ihrer wachsenden Bevölkerung von heute 73 Millionen nicht nur als attraktiver Billiglohnstandort, sondern auch als lukrativer Zukunftsmarkt. Außerdem bietet sie sich als Standort für Geschäfte im Nahen Osten, im Kaukasus und in Zentralasien an. Auf die Stärkung ihrer Stellung am Bosporus und in Anatolien legen deutsche Unternehmen daher großen Wert.[1]

Besseres Investitionsklima

–   Seit den 1990er Jahren nutzt die Bundesregierung in zunehmendem Maße die EU, um die Türkei-Aktivitäten deutscher Unternehmen voranzutreiben. So trug die Zollunion mit der EU, die im Jahr 1996 in Kraft trat, wesentlich zum Ausbau des beiderseitigen Warenaustauschs bei. Eine wichtige Rolle spielen auch die sogenannten Beitrittsverhandlungen mit Brüssel, für die 1999 die Weichen gestellt wurden – "unter deutscher EU-Präsidentschaft", wie das Auswärtige Amt erwähnt.[2] Bei den "Beitrittsverhandlungen" geht es nicht um ergebnisoffene Gespräche, sondern ausschließlich um die Übernahme von EU-Regelwerken durch die Türkei. "Die fortschreitende Harmonisierung der politischen, wirtschaftlichen und rechtlichen Rahmenbedingungen mit den EU-Richtlinien", heißt es in Wirtschaftskreisen, erhöhe "in der Geschäftswelt das Vertrauen in die Stabilität und Berechenbarkeit der türkischen Wirtschaft" und habe deshalb "positive Auswirkungen auf das Investitionsklima".[3] Mit der "zunehmenden Integration der türkischen Wirtschaft in die EU" verbesserten sich außerdem "die langfristigen Kooperationsperspektiven für europäische und deutsche Unternehmen in der Türkei".

Mitwirkung ohne Mitentscheidung

–   In Ankara ruft es seit Jahren Proteste hervor, dass die Bundesrepublik erheblichen Nutzen aus den sogenannten Beitrittsverhandlungen zieht, einen tatsächlichen EU-Beitritt der Türkei jedoch nicht ernsthaft erwägt.

–   Bereits vor Jahren hieß es in Berlin, man brauche Beitrittsverhandlungen, um es zu erreichen, dass die Türkei auch als Nichtmitglied der EU "durch die stärksten möglichen Bande voll in den europäischen Strukturen verankert" sei.[4] Dabei war von "ständige(r) institutionelle(r) Einbindung nach dem Grundsatz ‘Mitwirkung ohne Mitentscheidung’" die Rede. Für Berlin kommt die türkische EU-Mitgliedschaft bis heute nicht in Frage; die aktuelle Bundesregierung plädiert für eine nicht näher definierte "privilegierte Partnerschaft". Über die Behauptung vorheriger deutscher Regierungen, man sei offen für eine türkische EU-Mitgliedschaft, urteilte damals ein französischer Europapolitiker: "Wir müssen aufhören, die Türkei anzulügen. [un politico francese della UE: dobbiamo smetterla di mentire alal Turchia] Einerseits verhandeln alle mit der Türkei über einen Beitritt, andererseits hoffen alle, dass es nie dazu kommt."[5]

–   Ursache für die deutsche Ablehnung des türkischen Beitritts ist nicht nur die Befürchtung, die weiten ländlichen Gebiete der Türkei könnten umfangreiche EU-Fördermittel abziehen. Weil die Bevölkerungszahl künftig für das Stimmgewicht in der EU eine wichtige Rolle spielt, könnte Deutschland gegenüber der bevölkerungsstärkeren Türkei seine Stimmvormacht nicht behaupten – ein Umstand, für den in Berliner Thinktanks bislang keine machtpolitisch überzeugende Lösung gefunden worden ist.[6]

Anatolische Tiger

Dass Ankara die sogenannten Beitrittsverhandlungen bislang dennoch weiterführt, hat nicht zuletzt innenpolitische Gründe.

–   In der Türkei sind schon seit einigen Jahren tiefgreifende gesellschaftliche Umwälzungen im Gange, die letztlich auf wirtschaftlichen Entwicklungen im Zentrum Anatoliens basieren.

–   In den vorwiegend ländlich strukturierten Gebieten dort entwickelten sich seit den 1990er Jahren neue Industriezentren, die seit Jahren gewaltig boomen und in der Publizistik inzwischen als "anatolische Tiger" bezeichnet werden.

–   Zentralanatolische Städte, zum Beispiel Kayseri, haben auf dieser Grundlage neue wirtschaftliche und dann auch neue politische Eliten hervorgebracht, die vor allem seit den 1990er Jahren gegen die alten, städtisch geprägten kemalistischen Eliten rebellieren.

–   Sie selbst wurzeln in traditionalistisch-ländlichen Milieus und im politischen Islam. Parteipolitisch werden sie heute von der "Adalet ve Kalkınma Partisi" (AKP) von Ministerpräsident Recep Tayyip Erdoğan und Staatspräsident Abdullah Gül vertreten. Am gestrigen Mittwoch begleitete Gül seinen deutschen Amtskollegen Christian Wulff durch seine Heimatstadt Kayseri, wo Wulff gemeinsam mit einer Unternehmerdelegation ein "deutsch-türkisches Wirtschaftsforum" besuchte.

Abhängiger Partner

–   Während die in Ankara regierende AKP und die von ihr vertretenen "anatolischen Tiger" mit aller Kraft auf den EU-Beitritt der Türkei setzen, regt sich Widerstand gegen die Beitrittsgespräche und gegen die damit verbundene Anpassung an das Brüsseler Normensystem vor allem unter den alten kemalistischen Eliten.

–   Im innertürkischen Machtkampf unterstützen Berlin und Brüssel deswegen die ländlich-traditionalistisch geprägte AKP – zuletzt durch umfangreiche PR-Maßnahmen für die Verfassungsreform, die Erdoğan und Gül im September gegen das kemalistische Establishment in Ankara durchsetzten.

–   Mit der AKP, die im erbittert geführten Kampf um die Festigung ihrer Macht Hilfe aus dem Ausland gut gebrauchen kann, glaubt Berlin die besondere Anbindung der Türkei an die EU ("Mitwirkung ohne Mitentscheidung") eher durchsetzen zu können als mit den Kemalisten.

Widersprüche

–   Dass die neuen, in der AKP organisierten Eliten, mit denen Berlin eng kooperiert, dem politischen Islam entstammen, führt in der deutschen Publizistik zu teils skurrilen Volten. So feiern Zeitungen, in denen zuvor ein Kopftuchverbot in Deutschland gefordert wurde, einen Auftritt der Ehefrau des türkischen Staatspräsidenten; diese hatte im Beisein von Bundespräsident Wulff eine militärische Ehrenformation abgeschritten – mit Kopftuch, was das kemalistische Establishment stets untersagt hatte.

–   Die Vereinigung "Millî Görüş", die einem ähnlichen Milieu entstammt wie die AKP, wird in Deutschland vom Inlandsgeheimdienst überwacht; Abdullah Gül, der während seiner Amtszeit als Außenminister die diplomatischen Vertretungen der Türkei aufgerufen hatte, Millî Görüş tatkräftig zu unterstützen, wird in den deutschen Medien als guter Demokrat gewürdigt.

–   Während Migranten, die vor Jahren aus ländlichen Gebieten der Türkei nach Deutschland einwanderten, öffentlich als "Integrationsverweigerer" denunziert werden, werden politische Vertreter ihrer Herkunftsmilieus in der deutschen Öffentlichkeit gegenwärtig hofiert: Sie entsprechen mit ihrer Anpassung an die EU zentralen deutschen Interessen. Die eklatanten Widersprüche, die bei staatstreuer Berichterstattung nicht zu vermeiden sind, lassen sich angesichts einer weitgehend unkritischen Öffentlichkeit in Deutschland jedoch problemlos verschmerzen.

–   Die EU-Orientierung der neuen Eliten in Ankara verbindet sich mit neuen außenpolitischen Konzeptionen, die in Berlin ausführlich analysiert werden und auch Gegenstand der Gespräche des Bundespräsidenten bei seiner aktuellen Türkei-Reise sind. german-foreign-policy.com berichtet am morgigen Freitag.

[1] Wirtschaftsstruktur und Chancen – Türkei; www.gtai.de 06.05.2010

[2] Türkei: Beziehungen zu Deutschland; www.auswaertiges-amt.de

[3] Wirtschaftsstruktur und Chancen – Türkei; www.gtai.de 06.05.2010

[4] EU-Türkei: Vor schwierigen Beitrittsverhandlungen; SWP-Studie Mai 2005

[5] EU warnt Sarkozy vor Türkei-Blockade; Financial Times Deutschland 08.05.2007. S. dazu Anatolische Werte

[6] Vor Jahren schlug eine Berliner Politikberaterin vor, das türkische Stimmgewicht durch kerneuropäische Bündnisse mit Frankreich zu neutralisieren. Dies setzte aber voraus, dass die immer wieder durchdringenden Pariser Widerstände gegen die deutsche Hegemonie endgültig eingedämmt seien. S. dazu Imperiale Position

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Gfp      101022
Die neuen Partner in Ankara (II)
22.10.2010
ANKARA/BERLIN

–   (Eigener Bericht) – Berlin will die Türkei auch in Zukunft als "Brücke" nach Zentralasien und in den Mittleren Osten nutzen. Dies bekräftigte Bundespräsident Christian Wulff auf seiner heute zu Ende gehenden Reise in das Land. Als "Brücke zwischen Okzident und Orient" sei sie "ein Gewinn für Europa"; Deutschland habe deswegen weiterhin "ein besonderes Interesse an einer Anbindung der Türkei an die Europäische Union". Wulffs Äußerung reflektiert Bedenken, die seit einiger Zeit im Westen laut werden und an der in zunehmendem Maß auf Eigenständigkeit bedachten Außenpolitik Ankaras Anstoß nehmen.

–   Die dort 2002 ins Amt gelangte Regierung führt zwar ihre enge Kooperation mit der EU fort, folgt jedoch zugleich einer neuen Doktrin, die darauf abzielt, den türkischen Einfluss in den Gebieten des früheren Osmanischen Reichs zu stärken. Der Westen könne dies nutzen, um seine eigene Stellung im Mittleren Osten zu stärken, müsse jedoch darauf achten, die Kontrolle nicht zu verlieren, heißt es in Berlin. Deutsch-türkische Konflikte im Bereich der Außenpolitik drohen in Südosteuropa, wo Ankara seinen Einfluss auf muslimische Bevölkerungssegmente verstärkt.

Das Konzept der "Strategischen Tiefe"

–   Im Hintergrund der außenpolitischen Gespräche, die Bundespräsident Wulff diese Woche in Ankara führte, steht die außenpolitische Doktrin der im Jahr 2002 ins Amt gelangten Regierung der "Adalet ve Kalkınma Partisi" (AKP) von Ministerpräsident Recep Tayyip Erdoğan sowie Staatspräsident Abdullah Gül. Entwickelt worden ist die Doktrin gegen Ende der 1990er Jahre von dem damaligen Professor für Internationale Beziehungen an der Istanbuler Beykent-Universität, Ahmet Davutoğlu. Davutoğlu, der aus der zentralanatolischen Stadt Konya stammt und den neuen türkischen Eliten traditionalistisch-islamischer Prägung zugerechnet wird (german-foreign-policy.com berichtete [1]), leitete unmittelbar nach Amtsantritt der AKP-Regierung die Umsetzung des Konzepts ein, zunächst als Erdoğans außenpolitischer Chefberater; seit Mai 2009 führt er sie als Außenminister der Türkei fort. Das Konzept, das mit dem Slogan "Strategische Tiefe" bezeichnet wird, wird seit einiger Zeit von Thinktanks in der westlichen Welt eingehend diskutiert. Erhebliche Aufmerksamkeit findet es auch in Berlin.

Neo-Osmanismus

–   Davutoğlus Konzept der "Strategischen Tiefe" [2] bricht insofern mit der Außenpolitik der alten kemalistischen Eliten, als es nicht ausschließlich auf die Einbindung der Türkei in die westlichen Bündnisse orientiert. Zwar verfolgt auch die AKP ungebrochen das Ziel, EU-Mitglied zu werden. Doch kommt die Absicht hinzu, in sämtlichen an die Türkei angrenzenden Ländern neuen Einfluss zu erlangen.

–   Dabei handelt es sich im Wesentlichen um Gebiete, die einst zum Osmanischen Reich gehörten; die AKP-Doktrin wird deshalb auch "Neo-Osmanismus" genannt. In der Tat bemüht sich Ankara, seine politische, wirtschaftliche und kulturelle Einflussnahme in allen Nachbarstaaten auszuweiten.

–   Ein besonderer Schwerpunkt liegt dabei auf den arabischen Ländern Nordafrikas und des Nahen und Mittleren Ostens, für die der Islam als Mittel zur Kontaktvertiefung höchst nützlich ist.

–   Seit 2005 unterhält Ankara einen ständigen Beobachter bei der Afrikanischen Union, seit 2006 wird der türkische Ministerpräsident regelmäßig zu Gipfeltreffen der Arabischen Liga eingeladen.

–   Darüber hinaus bemüht die AKP-Regierung auch den alten Panturkismus, um ihre Einflussgebiete in Richtung Kaukasus und Zentralasien auszuweiten. Mitte September gründete sie zusammen mit den Regierungen Aserbaidschans, Turkmenistans, Kasachstans sowie Kirgisistans einen "Kooperationsrat der turksprachigen Länder", der ihre Stellung im Osten stärkt.

Übereinstimmende Interessen

–   Besonders die Einflussarbeit Ankaras in Richtung Kaukasus und Zentralasien liegt durchaus im Interesse Berlins. Deutschland benötigt die Türkei unter anderem als Landbrücke für den Handel mit den Ländern des Kaukasus und Zentralasiens; vor allem Erdöl- und Erdgaslieferungen aus dem Kaspischen Becken sollen nach den Vorstellungen der Bundesregierung in wachsendem Maße über Anatolien geleitet werden, um die Abhängigkeit von russischen Pipelines zu verringern (german-foreign-policy.com berichtete [3]).

–   Ebenfalls im deutschen Interesse liegen die Bemühungen der AKP-Regierung, einen Ausgleich mit Armenien herbeizuführen: Eine erfolgreiche Annäherung der zwei Staaten ermöglichte es Ber und der EU, den Südkaukasus stärker an den Westen zu binden und die russische Position dort langfristig zu schwächen.[4]

–   Hinzu kommt, dass eine pantürkische, in mancher Hinsicht auch islamisch fundierte Politik geeignet ist, den islamischen Sezessionismus in Westchina ("Ost-Turkestan") zu schüren. Die Bundesrepublik hält entsprechende Optionen seit Jahrzehnten in ihrem eigenen Polit-Arsenal bereit.[5]

Umstritten

–   Umstritten ist in Berlin, inwieweit die Bundesregierung die zunehmende Kooperation Ankaras mit den arabischen Ländern und Iran für deutsche Zwecke nutzen kann. Als exemplarisch können die Bemühungen der AKP-Regierung um eine Lösung des Atomkonflikts mit Iran sowie um Kontakte zur Hamas gelten.

–   Transatlantisch orientierte Kräfte weisen solche Aktivitäten der Türkei zurück – und raten Ankara, sich wieder stärker Israel zuzuwenden.

–   Kräfte, die Deutschlands Bedeutung im Nahen und Mittleren Osten gegenüber den USA aufwerten wollen, plädieren hingegen dafür, sich künftig noch enger mit der Türkei abzustimmen, um die eigenen Beziehungen zu den islamischen Ländern zu verbessern. Man müsse "die Gemeinsamkeit der Interessen betonen und die Chancen für eine Zusammenarbeit der EU mit der Türkei in der Region zu erkunden suchen", fordert etwa der Direktor der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP), Volker Perthes.[6]

Goldene Epoche

–   Künftige deutsch-türkische Konflikte lassen sich vor allem in Südosteuropa erkennen. Besonders unter den muslimischen Bevölkerungssegmenten Bosnien-Herzegowinas sowie Serbiens, aber auch in anderen Ländern weitet Ankara seinen Einfluss systematisch aus – mittels türkischer Rundfunk- und Fernsehprogramme, mit dem Bau türkischer Schulen und Kulturzentren, mit der Eröffnung von neuen Filialen türkischer Banken oder auch dem Bau von Schnellstraßen in Richtung Türkei.

–   Dabei entwickele Ankara inzwischen "zunehmend eigenständige politische Initiativen, die nicht lediglich als Ergänzung zu den Bemühungen Brüssels gedacht sind", urteilt die SWP – und verweist auf eine Konferenz mit dem Thema "Ottomanisches Erbe und die heutigen muslimischen Gemeinschaften im Balkan", die der türkische Außenminister Davutoğlu im Oktober 2009 in Sarajevo eröffnete.[7] "Die einzige historische Epoche, in der der Balkan vom Opferdasein verschont geblieben sei", gibt die SWP Davutoğlu wieder, seien die Jahrhunderte des Osmanischen Reiches gewesen – Davutoğlu zufolge "für den Balkan überhaupt ein ‘goldenes Zeitalter’", an das Ankara jetzt wieder anknüpfen wolle. Ernste Konflikte mit der europäischen Hegemonialmacht sind damit vorprogrammiert.

Mögliche Konflikte

–   Alles in allem rät die SWP dazu, die neue türkische Außenpolitik des Neo-Osmanismus trotz aller Kooperationsbereitschaft Ankaras gegenüber der EU "sehr genau zur Kenntnis zu nehmen". Dabei müsse man auch die innere Entwicklung des Landes berücksichtigen, insbesondere Veränderungen in der Haltung der Bevölkerung gegenüber dem Westen. Bisher profitiert Berlin vom Erstarken der AKP und des von ihr verkörperten politischen Islam, der unter anderem Widerstände innerhalb der alten kemalistischen Eliten gegen die Übernahme von EU-Regelwerken ausgehebelt hat und daher in der Bundesrepublik Beifall findet.

–   Dass dieser Beifall sich bei Bedarf blitzschnell in Ablehnung und offene Attacken verwandeln kann, lässt ein Hinweis der SWP erahnen. Demnach hat "die neue Politik (Ankaras, d.Red.) – zusammen mit dem Vordringen religiös-konservativer Positionen bei innen- und gesellschaftspolitischen Fragen – die latenten anti-westlichen Stimmungen in der türkischen Öffentlichkeit deutlich gesteigert".[8] Für den Fall, dass die AKP-Regierung ihre Politik – wie bereits jetzt in Südosteuropa – nicht umfassend an deutsch-europäischen Interessen orientiert, zeichnen sich hier durchaus ernste Konflikte ab.

Bitte lesen Sie auch Die neuen Partner in Ankara (I).

[1] s. dazu Die neuen Partner in Ankara (I)

[2] Heinz Kramer: Die neue Außenpolitik-Konzeption der Türkei. Mögliche Konsequenzen für den EU-Beitrittsprozess, SWP-Aktuell 25, März 2010

[3] s. dazu Nabucco, Südlicher Korridor und Eine Dreiecksbeziehung

[4] s. dazu Revolutionäre Wirkungen und Transitgebiet

[5] s. dazu Schwächungsstrategien (IV) und Die Zukunft Ost-Turkestans

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