Londra, Berlino e Roma contro Guantanamo

Blair: «È una anomalia». La
Farnesina: «Conciliare lotta al terrore e diritti umani»


BERLINO – Anche Germania e Gran Bretagna si uniscono al
coro internazionale che chiede la chiusura di Guantanamo. «E’ un’anomalia che
prima o poi bisognerà affrontare» ha detto il primo ministro britannico Tony
Blair, al termine dei colloqui berlinesi con Angela Merkel. Un’opinione
condivisa anche dalla Farnesina
, che ieri ha ribadito la necessità di
conciliare la lotta al terrorismo con il rispetto dei diritti umani.
La Cancelliera federale non si è pronunciata, ma il suo rifiuto del carcere
speciale americano per i presunti terroristi di Al Qaeda sull’Isola di Cuba, è
noto da tempo
. Poco prima del suo viaggio a Washington, in gennaio, la
Merkel aveva infatti criticato l’Amministrazione americana, dichiarando che,
«alla lunga, un’istituzione come Guantanamo non può e non deve esistere». E
dopo l’incontro con George Bush alla Casa Bianca, la Cancelliera aveva ammesso
in conferenza stampa che su questo punto non c’era intesa tra Germania e Stati
Uniti.
Ancora più espliciti dei capi di governo sono stati, ieri, due esponenti di
primo piano dei governi britannico e tedesco. Parlando alla Bbc, il
ministro per l’Irlanda del Nord, Peter Hain, ha detto che preferirebbe «che il
carcere venisse chiuso» e che questo è anche il parere del governo di Sua
Maestà, come pure del primo ministro
. Hain è il primo membro dell’esecutivo
inglese a chiedere esplicitamente la chiusura del lager, dove una commissione
dell’Onu ha confermato gravi abusi contro i detenuti. A Berlino, nelle
stesse ore, il coordinatore dei rapporti tra Germania e Usa al ministero degli
Esteri, Karsten Voigt, ha dichiarato che «chiudere Guantanamo il più presto
possibile, anzi immediatamente, sarebbe nell’interesse stesso degli Stati
Uniti»
. Secondo Voigt, il carcere «è incompatibile con gli standard delle
norme giuridiche europee».
Su Guantanamo c’è stata, ieri, anche la presa di posizione italiana. Commentando
il rapporto dell’Onu, nel quale si rinnova la richiesta di chiuderlo, la
Farnesina ha definito il centro di detenzione americano «un caso anomalo» che
va superato
, rilevando «come la necessità di conciliare misure efficaci di
lotta al terrorismo con la doverosa salvaguardia dei diritti e della dignità
dell’uomo sia stata in varie occasioni ribadita alle autorità americane».
La ritrovata armonia tra Londra e Berlino passa anche dai metodi di lotta al
terrorismo islamico
, dopo che il no di Gerhard Schröder alla guerra in Iraq
aveva segnato il punto di massimo attrito tra i due principali Paesi
dell’Unione Europea. Il terreno d’intesa mappato, ieri, da Merkel e Blair al
Kanzleramt è in realtà molto più vasto. Sul programma nucleare iraniano
entrambi i leader si sono detti d’accodo che il tema vada affrontato in modo
«forte, deciso, ma attraverso gli strumenti della diplomazia»
. La
Cancelliera ha spiegato che sono state prese in esame le possibili iniziative
che la comunità internazionale dovrà lanciare per convincere Teheran a
cooperare. Ma ha anche ricordato ai dirigenti iraniani che, con la ripresa del
processo di arricchimento dell’uranio e la fine della collaborazione con
l’Aiea, «è stato passato il segno».
Blair da parte sua ha respinto l’invito a ritirare le truppe inglesi da
Bassora, in Iraq, rivoltogli, ieri, dal ministro degli Esteri iraniano,
Manoucher Mottaki
. «Le forze britanniche – ha detto – sono in Iraq su
mandato delle Nazioni Unite e con il consenso del governo iracheno. Rimarranno
lì fino a quando dura il mandato e Bagdad lo desidera». Riferendosi
implicitamente al contenzioso nucleare, Blair ha aggiunto: «Vorrei dire ai
dirigenti iraniani che non ha senso provare a spostare l’attenzione dai temi
che si trovano di fronte».
Anche gli sviluppi della situazione in Medio Oriente, dopo la vittoria di
Hamas alle elezioni palestinesi, sono stati oggetto dei colloqui
anglo-tedeschi. Entrambi i leader si sono trovati in pieno accordo sul fatto
che il movimento estremista debba rinunciare alla violenza e riconoscere
formalmente il diritto all’esistenza dello Stato di Israele, prima di essere
accettato come partner nei futuri negoziati di pace. A queste due condizioni è
subordinata anche la continuazione degli aiuti economici europei all’Autorità
palestinese.

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