Maliki: a giugno la sicurezza in mani irachene

Ennio
Caretto

Vertice ad Amman tra il
presidente e il premier. La Commissione Baker: disimpegno Usa a partire dal
2007


Bush: «No al ritiro, acceleriamo il passaggio di consegne a Bagdad»

AMMAN – Snobbato mercoledì dal premier iracheno Maliki
furioso per le critiche rivoltegli dalla Casa Bianca, spiazzato ieri dal
rapporto Baker, che secondo anticipazioni del New York Times consiglia che il
disimpegno americano inizi l’anno prossimo, il presidente Bush sembra aver
concepito una nuova strategia in Iraq: «Accelero ma resto». Alla conferenza
stampa congiunta con Maliki dopo due ore di colloqui, Bush ha annunciato
«l’accelerazione del trasferimento delle varie capacità difensive e delle
responsabilità delle sicurezza a Bagdad», ossia l’irachizzazione del conflitto.
Ma ha anche ribadito che manterrà le truppe in Iraq fino a missione compiuta e
che non accetterà calendari di ritiro «che trasformerebbero il Paese in un
santuario di Al Qaeda»
. Definendo il premier da lui rivalutato
all’improvviso «un leader forte» e «l’uomo giusto», Bush ha aggiunto di
condividere la sua contrarietà alla spartizione dell’Iraq. E ha insistito di
non voler negoziare con la Siria e con l’Iran, verso cui Maliki si è mostrato
invece disponibile.

Le rivelazioni del New York Times sulle proposte della Commissione
bipartisan guidata da James Baker
(saranno presentate ufficialmente il 6
dicembre) hanno messo i nuovo in difficoltà il presidente. Il gruppo
suggerirebbe per il 2007 il passaggio delle forze Usa da un ruolo di forze
combattenti a un ruolo di forze d’appoggio; il graduale rimpatrio e
ridispiegamento in parte in Iraq in parte nei Paesi vicini di 60 mila uomini o
15 brigate; una diversa composizione dei 70 mila soldati — forza di reazione
rapida, genieri, istruttori — che rimarrebbero più a lungo a Bagdad; una
conferenza di riconciliazione nazionale e una regionale di pace con anche la
Siria e l’Iran. Senza fissare scadenze, il Gruppo ha ammonito all’unanimità di
considerare queste misure necessarie per costringere il governo iracheno a far
fronte alla crisi «con urgenza»
. Avrebbe spiegato uno dei suoi membri al
quotidiano: «Non si può più rimanere, bisogna avviarsi verso l’uscita». La
conferenza stampa congiunta con Maliki è così divenuta per Bush un’occasione
per confutare il rapporto Baker. Il presidente ha detto di puntare al rientro
delle truppe Usa «al più presto», ma di volere prima accertarsi che «la giovane
democrazia irachena riesca a sopravvivere»
. Ha riferito che Maliki si è
impegnato a stroncare la «violenza settaria» — il termine «guerra civile» è
vietato alla Casa Bianca — ma ha ricordato che «è partito da zero ed è
frustrato dalla nostra lentezza nel fornirgli i mezzi di cui ha bisogno». Ha
concluso che «dal successo dell’Iraq dipende il successo del Medio Oriente, al
bivio tra la libertà e la tirannia, la pace e il terrorismo» dando la colpa
dell’instabilità della regione all’Iran. Che il presidente non intenda
cambiare rotta lo ha confermato il portavoce Tony Snow: «Non delegherà le sue
responsabilità ad altri. Il rapporto Baker sarà uno tra tanti, quelli del
Pentagono e della Cia, sulla cui base prenderà le decisioni». Ma i democratici,
che da gennaio saranno in controllo al Congresso, potrebbero forzargli la mano
.
Nel duetto con Bush, Maliki non ha dissipato tutti i dubbi sul suo governo.
Ha smentito seccamente che sia influenzato dall’Iran, e ha ignorato la domanda
se sia condizionato dal leader religioso scita Moqtada al-Sadr, che la Casa
Bianca vorrebbe emarginare totalmente. Non si è esposto contro le milizie («non
saranno un problema»), commentando che la soluzione della crisi «dev’essere
politica ed economica oltre che militare».
Sul passaggio di consegne prospettato da Bush, Maliki ha indicato una
scadenza durante un’intervista mandata in onda ieri sera dalla tv americana Abc:
«Le nostre forze saranno pronte, nella maniera più assoluta, entro il prossimo
giugno»
. La Casa Bianca ha spiegato che il passaggio di consegne prevede:
assegnazione agli iracheni dei comandi per l’esercito, adesso condivisi con gli
americani; formazione di strutture autonome di intelligence e logistiche;
rafforzamento delle autorità provinciali. Un programma che si scontra con la
realtà: gli effettivi iracheni sono 140 mila contro 160 mila americani; i
servizi segreti come la polizia sono preda della corruzione; molte province
risultano incontrollabili
.
Dopo i colloqui di Amman, è probabile che il Pentagono debba mandare altre
truppe a Bagdad nelle prossime settimane, fino a 20 mila uomini. L’incontro
Bush-Maliki, il terzo in sei mesi, non ha risolto la crisi in Iraq.

STRATEGIA DI DISIMPEGNO

1 Iraqi Group Iraqi Study Group, commissione
bi-partisan (5 repubblicani e 5 democratici) guidata da James Baker
2 Rimpatrio Dal 2007 graduale rimpatrio o ridispiegamento di 60 mila
soldati americani su 130 mila (anche in Paesi vicini)
3 Dialogo Nel rapporto (che sarà presentato il 6 dicembre) si consiglia
una conferenza di pace (presenti anche Siria e Iran)

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