Proteste in Turchia

Proteste in Turchia            130602
Scheda Turchia

Da alcuni giorni piazza Taksim a Istanbul è teatro delle più importanti manifestazioni di massa mai tenute contro il governo turco. La polizia ha ferocemente represso il movimento con largo uso di elicotteri, cannoni d’acqua e gas irritanti (più di 1000 i feriti), ha arrestato 939 persone, ma alla fine ha lasciato la piazza ai manifestanti. (CNN 2 giugno)

Secondo tutti i commentatori il parallelo con piazza Tahrir è fuorviante.

E’ indubbio, tuttavia, che la protesta, iniziata da un pugno di attivisti “verdi” della Istanbul europea, con al centro la pacifica polemica contro un mega progetto edilizio (nota 1) che avrebbe comportato la distruzione di uno dei pochi spazi verdi rimasti in città, ha coagulato una serie di cause di malcontento che covavano da tempo ed è dilagata nei quartieri poveri e nella Istanbul islamica, anche fra persone che hanno dichiarato di aver votato per Erdogan..

 

E’ l’egiziano Al-Arham a spiegarci il substrato sociale della protesta (A warning from Erdogan’s Turkey 2 giugno 2013):

Se è vero che nel periodo di governo del AKP di Erdogan (2002-12) il PIL è aumentato del 4,9% all’anno, è anche vero che il regime ha esercitato una pesante repressione di Stato contro sindacalisti, giornalisti, studenti, curdi e alevi. Ma soprattutto la differenza fra ricchi e poveri è aumentata in modo esponenziale.

o   Il 40% dei turchi vive con meno di 432 $ al mese + un 6,4% che vive addirittura con meno di 240 $.

o   Un altro 23,1% ha un reddito che oscilla fra i 455 e i 670 dollari al mese. Questa è la condizione del 61,6% dei turchi (dati forniti da una ricerca del Ministero della famiglia e dei diritti sociali)

La “classe media” è rappresentata da quel 37,3% che vive con un reddito fra i 670 e i 3072 dollari al mese. Solo l’1,2% ha redditi più alti.

Se si considerano i depositi bancari si scopre che lo 0,5% dei possessori di un conto possiede il 63% di tutti i depositi, il restante 99,5% ha in media 280 $ di deposito.(dati BDDK).

La crescita turca ha peggiorato le differenze sociali ma ha permesso l’inserimento della borghesia islamica dell’Anatolia ai piani sociali alti.

La crescita turca è stata alimentata dall’afflusso di capitali stranieri: 484 miliardi di $ fra 2002-12, di cui solo il 20% di investimenti diretti; il resto ha prodotto un debito e un conseguente interesse sul debito di 93 miliardi di $ (dati Banca Centrale turca)

 

Nello stesso decennio il tasso ufficiale di disoccupazione non è mai sceso sotto il 9,5% (ma i sindacati parlano di 15% e 23% per i giovani). La forma di rapporto di lavoro prevalente è quella dell’appalto. Su circa 10 milioni di operai solo lo 0,7% è sindacalizzato. Le lotte per motivi di lavoro sono trattate come lotte eversive e represse di conseguenza. Molti settori di fatto non possono scioperare (es. lavoratori degli aeroporti, delle scuole, degli ospedali). Sono 125 i sindacalisti arrestati per “terrorismo” e 850 gli studenti. Ancora più dura la repressione anticurda (8 mila prigionieri).

 

o   In Turchia ci sono 10 mila prigionieri politici (socialisti, curdi, islamici, ultranazionalisti).

Nessuna speranza di un “processo giusto”; lo dimostra lo scontro ingaggiato contro i vertici militari

o   A partire dal 2007: la maggior parte dei processi ai circa 400 ufficiali arrestati e tuttora prigionieri è stata condotta utilizzando prove chiaramente false e “costruite”: se nemmeno la più forte istituzione di potere in Turchina riesce a difendere i suoi membri dalla violenza di Stato, cosa può sperare il singolo lavoratore o l’attivista politico? (cfr Between a Rock and a Hard Place: Turkey’s Internal Power Struggle 18 feb 13 da John’s Hopkins Institut).

 

La Turchia è il paese al primo posto per numero di giornalisti arrestati secondo Reporters Senza frontiere.

I giornali sono imbavagliati, idem la televisione.

Nei giorni dei disordini di piazza Taksim, la tv di Stato e i giornali non hanno dato informazioni.

Questo non ha impedito l’estendersi della protesta ad altre città: Ankara, Izmir, Bursa, Eskişehir, Adana ecc.

Il protagonista della comunicazione, che ha consentito il collegamento e l’informazione in tempo reale è stato Twitter. Ci informa Al Jazeera che riporta una inchiesta condotta dal Politics Department dell’Università di New York (A breakout role for Twitter in the Taksim Square protests? 1 giugno 2013) che “le proteste hanno dato forma al viscerale diffuso generale malcontento contro le politiche del governo”. Nel giorno della repressione si sono avuti 2 milioni di tweets (cioè di messaggi, invio di immagini, ecc), circa 3 mila al minuto. Di questi il 90% provenienti dall’interno della Turchia e il 50% dalla capitale. Per un paragone durante i giorni caldi di piazza Tahrir solo il 30% dei tweets venivano dall’interno dell’Egitto. Lo smart-phone è diventato il principale strumento di comunicazione e ascolto in Turchia dentro il movimento.

 (ndr questa è una forza per aggirare la repressione, ma diventa una debolezza se è l’unico strumento di organizzazione). Per ora comunque il premier Erdogan non sembra preoccupato e ha arrogantemente commentato: “se voi siete in piazza in 200 mila, io ne posso convocare facilmente un milione”. (Financial Time 2 giugno). E in effetti non sembra ci siano le condizioni per una opposizione robusta e coerente (NYT 1 giugno Police Retreat as Protests Expand Through Turkey)

 

La protesta è stata “cavalcata” dal maggior partito di opposizione, il CHP (Republican People’s Party) che ha invitato i propri aderenti a partecipare in massa alle proteste.

Secondo il Financial Time la sinistra turca è tradizionalmente contraria ai grandi progetti che stravolgono il paesaggio e che generano profitto, mentre i partiti di centro destra sono sempre stati favorevoli allo sviluppo delle infrastrutture (ad es. il primo ponte sul Bosforo è opera di Demirel, il secondo di Ozal). Ma altri giornali sottolineano che la Turchia è già minacciata da una bolla speculativa legata all’edilizia e che il megaprogetto di Erdogan potrebbe aumentare in modo pericoloso il debito sovrano turco, mettendo la Turchia a rischio di trovarsi come la Grecia (da Crescent – Institute of Contemporary Islamic Thought – agosto 2012)

 

Fra le ragioni che hanno alimentato la protesta, oltre al disagio sociale, che è una costante (anche le manifestazioni del 1° maggio hanno dato luogo a pesanti scontri con la polizia), i media occidentali elencano:

1)      la volontà espressa da Erdogan di correre per la Presidenza del paese l’anno prossimo alla scadenza del mandato di Abdullah Gull

2)      le scelte in politica estera, in particolare riguardo alla Siria (vedi scheda sulla Siria)

3)      di aver favorito eccessivamente il proprio “clan anatolico” di imprenditori

4)      una conduzione brutale e autoritaria del paese in cui viene tacitato anche il dibattito interno al suo schieramento politico (cfr Le Monde 1 giugno M. Erdogan ou l’ivresse du pouvoir)

5)      la megalomania delle costruzioni urbane che hanno stravolto Istanbul e Ankara (Daily News turco)

 

o   Per quanto si sia presentato come il campione dell’Islam Erdogan ha anche una opposizione interna al partito, una frangia lo accusa di eccessivo accentramento delle decisioni, di aver allontanato tutte le personalità che potevano dargli ombra dall’AKP. Lo stesso presidente Gull, di ritorno dal Turkmenistan, ha chiesto di evitare ulteriori scontri coi dimostranti. Un giudice amministrativo ha sospeso il progetto di ricostruire la antica caserma dei giannizzeri di ottomana memoria sul suolo del parco per farne un mega supermercato.

 

Nota1: il progetto multimiliardario prevede la costruzione di un terzo ponte sul Bosforo, un canale che renda il passaggio verso il mar Nero più agevole per navi di grande stazza, una moschea gigante, un terzo aeroporto per Istanbul e infine la ricostruzione delle casematte militari del periodo ottomano.

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