”A Kabul obbligati a restare lo deve capire tutta l´Unione”

MASSIMO GIANNINI

Il ministro degli Esteri "comprende" i dubbi di
chi votò contro. "Troveremo il compromesso"

D´Alema: ma oltre ai soldati manderemo più aiuti

posizioni europee Su Guantanamo ho espresso
negli Usa la posizione della Ue. Così come sugli omicidi mirati di Israele, che
l´Europa non può accettare
macché gelo con la rice Gelo con la Rice? La solita lettura provinciale.
Mi ha chiesto: dopo il ritiro cosa farete? E io ho promesso sostegni finanziari
e umanitari
fine del rodeo Spero che i cittadini vadano a votare No per evitare che
entri in vigore una riforma disastrosa e chiudere il lungo rodeo della Cdl
autosufficienti È evidente che in politica estera dobbiamo essere
autosufficienti, non possiamo reggerci sulla stampella dell´opposizione


D’ALEMA: Il governo PRODI sta modificando l’orientamento
italiano in politica estera: amici degli USA ma in modo diverso da BERLUSCONI,
più integrazione europea, più presenti nella crisi iraniana. In questo stiamo
facendo “qualcosa di sinistra”.


ROMA – Ministro D´Alema, sembrava che con la decisione
del ritiro delle truppe dall´Iraq tutti i guai interni al centrosinistra
fossero finiti. E invece sul decreto di rifinanziamento delle missioni
all´estero Rifondazione ha posto di nuovo il suo veto
. Com´è possibile?

«Non c´è stato nessun veto. Franco Giordano ha solo
chiesto che prima di approvare il provvedimento in consiglio dei ministri possa
esserci una discussione tra i partiti
. È anche comprensibile che
Rifondazione, che fino ad oggi ha sempre votato contro la missione in
Afghanistan, viva questo passaggio con qualche difficoltà. Ma la politica è
anche la capacità di raggiungere compromessi, e di accettare le logiche di
coalizione».

Lei sdrammatizza. Ma se già siamo ai veti sarà dura.

«I problemi saranno superati quando si toccherà con mano
la natura di questo provvedimento sulle missioni, che sarà approvato nei
prossimi giorni
. È vero che il meccanismo del voto sul rifinanziamento è
anomalo, perché ogni sei mesi ci precipita in una sorta di psicodramma
collettivo: con la prossima Legge Finanziaria proporrò di cambiarlo. Ma voglio
sottolineare che questa volta il decreto è radicalmente innovativo rispetto
al passato. Contiene la disposizione del rientro in autunno delle nostre forze
armate dall´Iraq, ridimensiona la spesa militare complessiva, introduce una
quota di risorse destinate alla cooperazione civile e umanitaria, prevede una
posta per il Darfur
. Insomma, il segnale politico che vogliamo lanciare è
chiaro: non c´è solo una reiterazione burocratica del provvedimento semestrale,
ma c´è delineata una nuova idea della politica estera. Anche per questo,
penso che oltre al decreto legge "a perdere", necessario per pagare
gli stipendi dei militari, ci sarà anche un disegno di legge su cui siamo
pronti a discutere, e ad accogliere mozione e ordini del giorno»
.

Ancora discussioni? Ma non bastano quelle che già ci sono
all´interno del centrosinistra, che rischiano solo di logorare i rapporti tra
forze politiche e forze armate?

«Questo governo è orgoglioso delle Forze Armate, che si
sono conquistate sul campo il riconoscimento unanime di tutti
. Questo
voglio sottolinearlo, perché non ci siano mai più equivoci: noi siamo per la
pace, ma il rispetto per i nostri militari è e deve essere qualcosa che unisce
il Paese»
.

Peccato che Pdci e Rifondazione ora chiedano anche il
ritiro delle truppe dall´Afghanistan.

«Siamo persone molto pazienti, ma è venuto il momento che
tutti si convincano di una verità inconfutabile: c´è una profonda diversità
tra la vicenda irachena e quella afgana. In Iraq la presenza militare italiana
è stata una scelta politica, compiuta dal governo Berlusconi: aderire alla
Coalition of the willings, per essere solidali con l´iniziativa militare degli
Stati Uniti. Non è vero che siamo andati a Nassiriya sotto l´egida dell´Onu
:
i nostri militari sono stati inviati prima della risoluzione 1483, che non a
caso definiva "occupanti" le forze anglo-americane. Noi quella
scelta non l´abbiamo condivisa, e per questo oggi ci ritiriamo. In Afghanistan,
invece, lo scenario è completamente diverso. Noi siamo a Kabul insieme alla
Nato, con l´Unione europea e sotto mandato delle Nazioni Unite
. Tanto è
vero che con i nostri soldati ci sono tutti gli altri, dagli spagnoli ai
tedeschi. Cioè le truppe di quei Paesi che non hanno mandato o hanno ritirato
le loro missioni dall´Iraq».

Quindi, se anche lo volessimo, e non lo vogliamo, non
potremmo comunque ritirare un solo uomo dall´Afghanistan?

«Esatto. Mentre sull´Iraq possiamo sfilarci dalla
Coalition of the willings, sull´Afghanistan non possiamo uscire dalle Nazioni
Unite o dalla Ue, con un´iniziativa unilaterale
. Possiamo anche riflettere
sulle difficoltà crescenti in Afghanistan: io stesso, al G8 della prossima
settimana a Mosca, porrò la questione. Ma non possiamo separare le nostre
responsabilità da quelle degli organismi multilaterali ai quali partecipiamo
.
Questo è il punto vero, per noi cogente, che io spero venga compreso in Italia.
In poco più di un mese abbiamo rilanciato il ruolo internazionale dell´Italia. Nel
Consiglio europeo abbiamo riaperto la prospettiva di un´integrazione più forte,
per salvare il nucleo costituzionale insieme ai tedeschi e ai francesi
.
Stiamo lavorando per allargare l´orizzonte della nostra influenza in India,
Cina, America latina, Mediterraneo. Scenari dai quali la politica italiana è
stata completamente assente negli ultimi cinque anni».

Lei non cita il nodo più intricato, anche per la stessa
sinistra: il rapporto con gli Stati Uniti. È un lapsus freudiano? Mi vuole fare
credere che l´annuncio del nostro ritiro dall´Iraq è stato accolto festosamente
dalla Rice?

«Anche agli americani abbiamo presentato un´Italia che
vuole rilanciare il suo ruolo, in Europa e nel mondo, non in chiave
anti-americana, ma in una chiave di piena e leale collaborazione
. La Rice è
donna molto pragmatica e intelligente. Ed è a sua volta impegnata a delineare
un quadro nuovo delle relazioni tra Europa e America. Fortunatamente la fase
in cui ha infuriato l´unilateralismo americano è passata. Si è capito che
bisogna rivitalizzare le alleanze e le istituzioni internazionali. In questo
quadro di rinnovato dialogo, l´America ha compreso che noi italiani saremo
amici, anche se diversamente amici rispetto agli accodamenti del governo
Berlusconi»
.

Eppure le fonti, anche americane, hanno parlato di
«gelo sull´Iraq» tra lei e Condoleezza.

«Il solito provincialismo. Gli americani hanno
rispetto per chi ha rispetto di sé. Vuole sapere cosa mi ha detto la Rice
sull´Iraq? "Abbiamo preso atto delle vostre decisioni, ma poiché avete
detto che volete mantenere una presenza in quell´area, che tipo di impegno
avete in mente?". Questa è stata la domanda. E io le ho risposto: un
sostegno finanziario e umanitario, ma non più militare. Tutto qui
. E vuole
sapere cosa ci siamo detti sull´Afghanistan? Lei non mi ha chiesto
nulla, anche perché di questa questione discuteremo nella Nato, dove Usa e
Italia sono alleati a pari titolo
. Punto e basta. Gli Stati Uniti sono una
grande potenza, che ha rispetto dei Paesi amici: non si sognano nemmeno di
chiedere ciò che noi non vogliamo o non siamo in grado di dare».

Quindi, nonostante l´antiamericanismo di un pezzo di
Unione, lei non vede problemi nelle nostre relazioni transatlantiche?

«Io vedo un´Italia che con il governo Prodi ha già ora e
potrà avere ancora di più in futuro un grande ruolo in Europa, e che in forza
di questo ruolo potrà giocare una funzione importante nei confronti degli Stati
Uniti e del mondo arabo a sostegno della democrazia
, perché noi vogliamo
estendere questo modello e vogliamo diffondere ovunque i diritti civili. Abbiamo
contestato l´idea che questo obiettivo si potesse raggiungere con la guerra
.
L´abbiamo considerata un´idea sbagliata, perché alla fine il mezzo, cioè la
guerra, si è mangiata il fine, cioè la democrazia».

Qual è l´alternativa? Come si può esercitare una
politica di containment rispetto alla crisi iraniana, smarcandosi dagli Usa?

«Dobbiamo rinverdire il nostro ruolo di cerniera,
diplomatica ed economica, in quell´area. In questi ultimi cinque anni ci siamo
autoesclusi dalla vicenda iraniana. Una scelta assurda, visto che con un
interscambio di 5,7 miliardi di euro all´anno con quel paese siamo il
principale partner commerciale europeo dell´Iran
. Quando l´ho spiegato alla
Rice, e gli ho annunciato che avrei incontrato il ministro degli esteri
iraniano, e che avrei cercato di spingerlo ad accettare il piano di Solana, lei
non ha battuto ciglio e mi ha risposto "benissimo, facci sapere poi com´è
andata"».

La Rice non ha avuto nulla da ridire neanche sulle
richieste di chiudere Guantanamo?

«Io su Guantanamo ho espresso alla Rice la posizione
europea. Come ho fatto sul Medioriente: l´Europa dissente dalla politica degli
omicidi mirati del governo israeliano
. Come dissente dalla pena di morte in
assoluto, così l´Europa non può accettare l´idea della pena di morte
extragiudiziale. Questa è la posizione unanime del consiglio dei ministri della
Ue, non è la posizione balzana di D´Alema che è il solito "anti-semita e
filo-palestinese"».

Insomma, lei non crede che il governo Prodi cadrà sulla
politica estera?

«Senta, io credo che nel giro di un mese l´Italia è
riuscita ad avviare una ricollocazione strategica della sua politica estera
.
Senza strappi, in modo percepibile e, me lo lasci dire, anche autorevole. Prodi
ha dato contributo decisivo. Con i suoi viaggi e i suoi incontri con i leader
europei e poi con Putin ha dato un impulso molto forte. Abbiamo fatto veramente
squadra».

Allora perché la sinistra radicale è così scontenta, e vi
espone al pericolo di dover chiedere aiuto al centrodestra?

«È evidente che il governo deve essere autosufficiente
sulla politica estera, e non si può reggere sulla stampella dell´opposizione.
Ma questo può avvenire solo se la sinistra è in grado di collocare i singoli
episodi dentro una strategia complessiva. La ricollocazione della nostra
politica estera è un segno tangibile dei valori in cui crediamo. La mia
percezione è che, anche in politica estera, stiamo facendo davvero
"qualcosa di sinistra". Certo, una sinistra ragionevole e riformista
,
che nel quadro delle relazioni internazionali esistenti cerca di incidere sui
processi reali. Nella prevenzione dei conflitti, nella difesa delle democrazie,
nella lotta contro le ingiustizie».

Sulla politica estera avrete pure «fatto squadra», come
dice lei. Ma sulla Rai la «squadra» non si è proprio vista. Come mai?

«La nomina del direttore generale della Rai ha bisogno del
concerto tra il governo e il voto del Cda. Non conosco Cappon, mi dicono che
sia una persona di qualità. Il problema non è lo scontro sui nomi, quanto il
terreno normativo e i rapporti di forza definiti dalla legge Gasparri. Con
questi paletti era difficile trovare una soluzione non condivisa. Il problema
semmai è come rimuovere quei paletti, e come rilanciare un´apertura vera del
mercato radiotelevisivo».

Domenica si vota, e la vittoria del no alla
riforma costituzionale del Polo non pare così scontata. Lei come la vede?

«Se dovesse essere approvata, questa riforma sarebbe un
disastro. Bloccherebbe ogni confronto sul futuro costituzionale del Paese.
Avrebbe costi giganteschi per la pubblica amministrazione le imprese i
cittadini
. Berlusconi ci ha messo di nuovo il carico da undici di una
rivincita politica, con l´ulteriore tentativo di destabilizzare il governo. È
l´ultima cosa di cui il Paese ha bisogno. Spero che i cittadini si rendano
conto che devono andare a votare, e che devono votare no per chiudere questo
lungo e rovinoso rodeo».

Al «rodeo» ha contribuito anche la vostra falsa partenza.

«Più che falsa, è stata una partenza faticosa. Figlia di una
legge elettorale sbagliata. Adesso dobbiamo ritrovare slancio. Dobbiamo evitare
che si riproduca un vecchio dualismo: di qua Prodi, di là i partiti che lo
assediano. È uno schema fasullo e rischioso, che eccita il malcontento e il
qualunquismo dell´opinione pubblica e rischia di indebolire rapidamente il
governo. Io vedo bene Prodi come leader di una sola, grande forza politica:
il partito democratico. È l´obiettivo più importante, e anche il più urgente»
.

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