Erdogan, la diga e la rabbia dei curdi «Salviamo l'antica città di Hasankeyf»

Cecilia Zecchinelli

Il premier turco inaugura lo
sbarramento di Ilisu: «Nel 2013 qui ci sarà un mare»
Il fronte del no: «Distruggerà un sito storico e molti villaggi. L’Europa
intervenga»
La città sul Tigri che rischia di venir sommersa risale alla Mesopotamia
Nei secoli successivi fu conquistata da otto civiltà

L’acqua che sommerge quasi senza rumore le case, le scuole e
le moschee, i campi coltivati, le strade. Villaggi dagli strani nomi che
scompaiono per sempre, decine di migliaia di sfollati. E tesori archeologici,
perfino un’antica città sopravvissuta a nove civiltà, inghiottiti dal fiume che
si trasforma in mare. Un incubo, un’immagine apparentemente surreale con cui si
chiudeva, anni fa, il bellissimo film Viaggio verso il sole. In realtà quello
che è già successo e rischia di ripetersi con maggior gravità in Anatolia, nel
Kurdistan turco.
«Abbiamo perso abbastanza tempo, non possiamo più aspettare», ha dichiarato
sabato il premier Tayyip Erdogan, inaugurando a Dargecit, 45 chilometri dal
confine siriano, i lavori della diga di Ilisu, la più controversa dell’immenso
progetto Gap. Una sigla che in turco significa appunto il Grande Progetto del
Sudest Anatolico. Ventidue sbarramenti sul Tigri e l’Eufrate (12 già
realizzati), 19 centrali idroelettriche, 32 miliardi di dollari d’investimenti,
un obiettivo sognato già dal «padre della patria» Atatürk, poi sostenuto
concretamente, dagli anni Settanta, da tutti i governi di Ankara
:
imbrigliare i due fiumi per trasformare quell’inquieta e remota regione in
distese coltivate e grandi laghi («mari» li chiama Erdogan), alimentando così
la grande sete di energia e di acqua dell’intero Paese.

Ma un progetto, come hanno protestato sabato notte 4 mila manifestanti a
Dargecit, che devasterà ancor più una terra già devastata da anni di guerra con
Ankara, dall’uccisione da parte dell’esercito turco di 37 mila curdi legati, o
così erano ritenuti, alla lotta per l’indipendenza del loro popolo. Sospeso nei
primi anni Novanta, quando la resistenza del Pkk era più dura, minacciato da
Siria e Iraq che già vedevano calare sul loro territorio le acque dei due
grandi fiumi, il Gap è poi andato avanti, in sordina. La fine sostanziale del
Pkk
(con l’arresto di Ocalan nel 1998) e il compromesso raggiunto nello
stesso periodo con Damasco e Bagdad hanno infatti sbloccato l’impasse
. E
perfino la diga di Ilisu, che sembrava dimenticata, è tornata realtà. Se
intanto si erano ritirati dal consorzio per la costruzione gruppi
internazionali come l’italiana Impregilo e la britannica Balfour Beatty,
finanziatori come la svizzera Ubs, un nuovo pool si è poi formato con imprese
europee e il finanziamento di alcune banche austriache garantite dallo Stato
turco
.
A rendere questa opera più controversa di quelle già realizzate (tra cui
il grande sbarramento Atatürk, inaugurato nel 1992 dall’allora premier Demirei)
è la presenza sulla terra destinata a diventare mare della piccola città di
Hasankeyf. Un gioiello per gli archeologi di tutto il mondo, che si sono uniti
agli abitanti nel difenderla
. Già prospera nell’antica Mesopotamia grazie
alla sua posizione strategica sul Tigri, fu conquistata nei secoli successivi
da romani, arabi, mongoli, persiani, ottomani le cui tracce restano visibili
nonostante lo stato di mezzo abbandono del sito. Per i curdi, Hasankeyf è
diventata un simbolo, qualcosa di prezioso di cui andare fieri e per cui
lottare
: «Dodicimila anni di storia verranno distrutti in un attimo. Se la
città verrà inondata ce ne andremo tutti nelle grandi metropoli e nessuno metterà
piede nel nuovo insediamento», ha dichiarato sabato il sindaco Abdul Kusen,
riferendosi alla promessa di Erdogan di creare una «New Hasankeyf» al di sopra
delle acque e di smontare e ricostruire altrove i monumenti, un po’ come Nasser
fece con Abu Simbel.
Contro la Diga, il fronte degli oppositori che si allarga anche a gruppi
ambientalisti ha presentato una denuncia alla Corte europea dei diritti
dell’uomo di Strasburgo, ha fatto appello al nuovo consorzio di costruzione
perché si ritiri, sta cercando di far lobbying a Bruxelles dove la Turchia
resta sorvegliata speciale in attesa del suo ingresso nell’Unione. Ma Erdogan
sabato è sembrato molto deciso: «Nel 2013 sarà tutto finito — ha detto —. Qui
ci sarà un mare».

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