Il nuovo governo iracheno: «Fissiamo le date del ritiro»

ITALIA,  IRAQ, USA

CORRIERE Dom. 21/5/2006   Giuliano
Gallo
Sì del Parlamento. Il premier Al Maliki:
un calendario per il disimpegno straniero


NASSIRIYA – Un fisico nucleare torturato ad Abu Ghraib come
ministro del Petrolio, un guerrigliero curdo come ministro degli Esteri, lo
spietato ministro degli Interni dell’ultimo anno trasferito alle Finanze. L’Iraq
ha finalmente un governo, il primo governo vero dopo la caduta di Saddam. E
subito una decisione forte: l’obbligo di un calendario per il passaggio del
controllo della sicurezza dalla forza multinazionale agli iracheni

«Così
che le truppe straniere possano tornare nei loro rispettivi Paesi», ha detto in
Parlamento il premier.
Ci sono voluti cinque tormentati mesi per riuscire a vararlo, ma quasi a
contraddire le dichiarazioni di al Maliki mancano proprio tre tasselli
fondamentali: il ministero della Difesa, quello della Sicurezza e quello degli
Interni non sono stati ancora assegnati
. Il premier Nuri al Maliki ha
promesso che le caselle verranno riempite entro una settimana, e nel frattempo
gli Interni vengono ricoperti ad interim dal primo ministro, mentre di
Sicurezza e Difesa si occuperanno per il momento i due vice premier, il curdo
Barham Salih e il sunnita Salam Zigum al Zoubaie.
Per alzata di mano i 275 deputati del Parlamento hanno votato il nuovo governo,
poi i 37 ministri hanno giurato uno ad uno sul Corano. Solo alcuni sunniti del
Fronte della Concordia hanno abbandonato l’aula in segno di protesta per le
mancate nomine dei tre ministri-chiave.
«Dovranno servire il popolo», ha promesso severo al Maliki dopo aver ricevuto
l’incarico di formare il governo. E lo stesso giorno aveva abbandonato per
sempre il suo nome di battaglia, Jawad, adottato negli anni dell’esilio della
resistenza contro Saddam Hussein.
Com’era scontato, nella distribuzione dei ministeri sono gli sciiti ad aver
fatto la parte del leone, anche se la nomina di un presidente della Repubblica
e di un ministro degli Esteri curdi possono aver pienamente soddisfatto la
minoranza del nord-est. Mentre ai sunniti sono toccati, oltre a una vice
presidenza, anche il ministero della Giustizia e quello – fondamentale visto lo
stato in cui versa il Paese – della Cooperazione allo Sviluppo
.
La poltrona più importante, quella del ministero del Petrolio, è invece
stata assegnata allo sciita Hussein Shahristani, limpida figura di scienziato e
politico
: laureato prima a Mosca, poi all’Imperial College di Londra,
Shahristani, che ha 64 anni, ha lavorato in Iraq fino all’avvento al potere di
Saddam Hussein. Poi dalla commissione per l’energia atomica era passato
quasi subito nelle segrete di Abu Ghraib, per essersi rifiutato di lavorare
alla produzione delle armi nucleari
che Saddam sognava di costruire.
Fuggito nel ’91 prima in Iran poi in Inghilterra, è tornato in Iraq due giorni
prima della caduta del dittatore. Era stato il primo a cui l’inviato dell’Onu
Lakhdar Brahimi aveva offerto l’incarico di primo ministro. Ma aveva rifiutato.

Ministro degli Esteri rimane Hoshyar Zebari, curdo, che aveva ricoperto
l’incarico anche nel governo provvisorio di Iyad Allawi
. Guerrigliero sulle
sue montagne, ma anche instancabile propagandista in Europa della causa curda
negli anni terribili della repressione di Saddam, Zebari è oggi un politico
duttile, un diplomatico vero cresciuto alla grande scuola inglese.
Molto «iracheno» nel senso deteriore del termine sembra essere invece Bayan
Jabr Sulagh
, nonostante la sua passione per gli abiti occidentali e il suo
inglese perfetto: è stato il contestatissimo ministro degli Interni
dell’ultimo anno, e a lui i sunniti imputano i massacri delle milizie sciite e
degli squadroni della morte che hanno insanguinato il Paese negli ultimi tempi
.
Accuse che naturalmente Sulagh ha sempre respinto con decisione. Nel governo
c’è posto anche per tre donne, tutte comunque in posti di seconda fila. Una,
il ministro per i Diritti Umani Wijdan Mikaeil, è cristiana
.
Ora un compito immane attende il nuovo governo. L’Iraq è un Paese in guerra,
contro se stesso e contro le truppe che lo occupano da tre anni. Anche ieri
una lunga scia di sangue ha lordato il Paese, come ormai tutti i giorni: 19
morti e 58 feriti nel ghetto di Sadr City
, alla periferia di Bagdad, 5
poliziotti uccisi e 10 feriti a Qaim, vicino al confine con la Siria. E 15
cadaveri giustiziati con un colpo alla nuca dopo essere stati torturati a
Musayeb, un villaggio a sud della capitale
.

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