Interessi fondamentali/ Attese di sovvertimento

Gfp     090617
Interessi fondamentali

●    Di fronte alle evidenti divergenze nei circoli del potere in Iran Berlino alza i toni per indebolire Ahmadinejad esprimendo con forza e pubblicamente critiche e richieste;

o   ampi strati della borghesia urbana si oppongono ad Ahmadinejad e alla sua rielezione, probabilmente ottenuta con brogli; starebbe comparendo anche l’opposizione di alti prelati di Qom (centro teologico dell’Iran), che non vogliono altri 4 anni di governo di Ahmadinejad.

o   Durante la presidenza Ahmadinejad le guardie della rivoluzione (Pasdaran) hanno ottenuto numerosi posti di potere nella politica e nell’economia, e rappresentano in prospettiva una minaccia alle vecchie elite (ad es. l’imprenditore e miliardario Ali Akbar Rafsanjani).

●    Al di là degli scontri in corso a Tehran, nei quali Berlino cerca di rafforzare le forze filo occidentali, i consiglieri del governo tedesco spingono per una più stretta cooperazione con l’Iran.

●    Fondazione SWP: Per far valere gli interessi fondamentali della Germania nei confronti dell’Iran – commercio, investimenti ed accesso a petrolio e gas – occorre approfittare della disponibilità al dialogo dell’Amministrazione USA di Obama per trovare una comune soluzione alla questione del nucleare iraniano.

●    A questo scopo Ahmadinejad sarebbe in “posizione di vantaggio” rispetto ai suoi avversari:

o   Ahmadinejad ha dietro di sé il campo conservatore, che è in grado di tenere a bada in caso di un accordo con gli USA o anche di una possibile sospensione dell’arricchimento dell’uranio.

o   I suo avversari filo-occidentali (riformisti o studenti) non protesterebbero se migliorassero le relazioni con gli USA. Come Washington, anche Belrino può per ora convivere con Ahamdinejad.

●    Permane una contraddizione di obiettivi tra il primato delle relazioni transatlantiche e l’interesse di base della Germania alla cooperazione con l’Iran, data la politica di sanzioni USA contro Tehran. Berlino sta però avanzando la proposta di un approccio promettente per una politica mediorientale autonoma.

[cfr.: http://swp-berlin.org/common/get_document.php?asset_id=5977]/(cfr. su mio PC: Rassegne, Germania/politica estera/MO)

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o   Il ministro Esteri (SPD) Steinmeier: “preoccupanti” i “rapporti su irregolarità”; la Cancelliera Merkel: “inaccettabile”   “l’intervento violento delle forze di sicurezza contro i dimostranti”; chiede “verifiche trasparenti” sui risultati elettorali.

– SWP: prima della rivoluzione del 1979, le buone relazioni Germania-Iran erano soprattutto di tipo economico e si svolgevano sulla scia delle strette relazioni politiche Iran-Usa.

– Finita la guerra Iran-Irak nel 1988, Germania ed Europa cominciarono a cercare di capire quale relazione politica fosse possibile  con l’Iran, dato l’isolamento imposto all’Iran dagli Usa.

– 1992-1997, l’allora ministro tedesco degli Esteri, FDP, Kinkel affermò il “principio del non isolamento dell’Iran” (“dialogo critico”) in opposizione agli Usa.

Nel 2002 la UE avviò con Tehran negoziati per un accordo commerciale e di cooperazione, negoziati falliti temporaneamente a causa della questione del nucleare, con cui gli USA per diversi anni hanno imposto l’isolamento di Tehran, contro gli interessi tedeschi.
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Gfp     090622
Attese di sovvertimento

●    L’appoggio attuale delle potenze straniere all’opposizione iraniana è determinato dai loro interessi di politica estera:

o   finché era al potere il regime filo-occidentale dello scià, il movimento democratico iraniano è stato represso con l’appoggio dell’Occidente.

o   Il clan Palhavi riuscì solo grazie agli aiuti occidentali a reprimere il primo regime democratico iraniano; anche allora come oggi erano in gioco materie prime e ambizioni territoriali delle ex potenze coloniali.

o   La liquidazione del governo Mossadeq, attuata grazie all’intervento britannico ed americano, impedì per decenni uno sviluppo autonomo del paese, rafforzando invece le forze islamiste che presero il potere nel 1979.

o   Non potendo riportare il regime iraniano ad un feudalesimo semicoloniale, gli Usa incoraggiarono la guerra Iran-Irak (1980-88) che doveva indebolire i due contendenti

●    Ingerenza prima indiretta e poi  diretta di organizzazioni ed istituzioni tedesche nelle questioni interne iraniane:

– Assieme a Twitter, CNN, BBC, la tedesca Deutsche Welle (DW), emittente TV di Stato, esprime appoggio agli avversari del governo iraniano con i notiziari del programma in lingua farsi sulle reazioni occidentali; dopo le elezioni iraniane il sito di DW ha visto moltiplicarsi notevolmente gli accessi quotidiani, giunti a circa 120 000; 3000 le e-mail alla sua redazione.

o   Nel 2007 (?) il direttore dell’emittente: tra i temi centrali di DW doveva esserci il “dialogo con l’Iran”, regione importante dal punto di vista geo-politico; DW intendeva fornire informazioni sugli eventi interni iraniani secondo una prospettiva europea. Quasi contemporaneamente a tali dichiarazioni, l’Amministrazione USA di Bush mise a disposizione migliaia di milioni di $ per finanziare il movimento iraniano clandestino.

– La fondazione Friedrich-Naumann, vicina ai liberali della FPD, ha avviato un progetto per l’Iran poco dopo le recenti contestate elezioni; sabato scorso si è tenuta la conferenza su “Questioni delle nazionalità e democrazia in Iran”; ha cooperato con Naumann l’associazione GfbV (Società per le popolazioni minacciate), legata ad organizzazioni naziste; la conferenza ha trattato della repressione contro le minoranze religiose e linguistiche; è da tempo nota la strumentalizzazione da parte tedesca delle forze autonomiste e separatisti in Iran.

– Un esponente dell’accademia militare di Monaco (2007) ebbe a dichiarare che i movimenti secessionisti iraniani devono essere utilizzati come leva destabilizzante.

– La fondazione Friedrich-Ebert, vicina alla SPD, ha da anni avviato progetti riguardanti l’Iran, con l’obiettivo di creare istituzioni della società civile e appoggiare in Iran l’opinione filo-occidentale.

Dopo un iniziale riserbo, sia il ministero Esteri che la cancelleria hanno iniziato a intromettersi nelle questioni interne iraniane con la pretesa di dare lezioni di democrazia al regime.

Gfp      090617

Prinzipielle Interessen

17.06.2009
TEHERAN/BERLIN

–   (Eigener Bericht) – Mit öffentlichem Druck auf Teheran sucht Berlin die Position des gegenwärtigen iranischen Staatspräsidenten Ahmadinejad zu schwächen. Die Bundesregierung erwarte eine "transparente Überprüfung" des Ergebnisses der Präsidentenwahlen, erklärt Bundeskanzlerin Merkel.

–   Mit dem hohen Sieg Ahmadinejads, den Kritiker für das Ergebnis einer Fälschung halten, seien außer seinen prowestlichen Gegnern auch viele der klerikalen Machthaber nicht einverstanden, heißt es in Berichten. Interne Machtkämpfe könnten demnach zur Revision des Wahlergebnisses führen und kooperationswilligeren Kräften den Weg bahnen.

–   Jenseits der aktuellen Auseinandersetzungen in Teheran, in denen Berlin seine Parteigänger zu stärken sucht, plädieren deutsche Regierungsberater für eine engere Zusammenarbeit mit dem Iran. Die Gesprächsbereitschaft der gegenwärtigen US-Administration müsse genutzt werden, um eine einvernehmliche Lösung des Atomkonflikts zu finden, fordern Experten aus der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP). Dies sei nötig, um die prinzipiellen deutschen Interessen im Umgang mit dem Iran zur Geltung zu bringen: Handel, Investitionen sowie den Zugriff auf die iranischen Erdöl- und Erdgasressourcen.

Nicht akzeptabel

–   Mit öffentlichem Druck reagiert Berlin auf die Fälschungsvorwürfe nach den iranischen Präsidentenwahlen sowie die Repression gegenüber Protestdemonstranten in Teheran. Die "Berichte über Unregelmäßigkeiten" seien "besorgniserregend", hatte Außenminister Steinmeier bereits am Sonntag erklärt: "Ich erwarte von den Verantwortlichen in Teheran, dass sie diesen Vorwürfen genauestens nachgehen". Auch "das gewaltsame Vorgehen der Sicherheitskräfte gegen Demonstranten" sei "nicht akzeptabel".[1] Kanzlerin Merkel schloss sich den Forderungen des Außenministers an und ließ mitteilen, sie sei "sehr besorgt über die Situation im Iran". Um der deutschen Haltung Nachdruck zu verleihen, bestellte das Auswärtige Amt den Botschafter Teherans ein. "Die Bundesregierung", teilte zuletzt das Presse- und Informationsamt der Bundesregierung in ultimativem Tonfall mit, "erwartet genaue Auskunft zu den Umständen der Präsidentenwahl im Iran."[2]

Auf Distanz

–   Hintergrund der lautstarken Berliner Forderungen sind offenkundige Differenzen in den Machtzirkeln des Iran.

o    Große Teile des modernen städtischen Bürgertums lehnen Ahmadinejad ab und revoltieren offen gegen seine – möglicherweise gefälschte – Wiederwahl. Widerstand kommt inzwischen jedoch auch aus dem Klerus.

o    Während Ahmadinejads Amtszeit ist es den Iranischen Revolutionsgarden ("Pasdaran") gelungen, zahlreiche Machtpositionen in Politik und Wirtschaft des Landes zu besetzen. Damit bedrohen sie perspektivisch die alten Eliten.

o    Der Unternehmer und Milliardär Ali Akbar Rafsanjani etwa, derzeit als Vorsitzender des "Expertenrats" einer der obersten Staatsfunktionäre, hat Ahmadinejad schon vor der Wahl "gefährlich für das Land" genannt.[3]

o    Ranghohe Kleriker aus Qom, dem theologischen Zentrum Irans, haben seine Wahl wegen der Fälschungsvorwürfe jetzt als "null und nichtig" bezeichnet.[4]

o    Irans "führende Geistlichkeit" sei "auf Distanz" zu Ahmadinejad gegangen, resümieren Beobachter: An weiteren vier Regierungsjahren des Staatspräsidenten sei "dem Klerus nicht gelegen".[5]

Zielkonflikt

–   Während Berlin angesichts wachsender Differenzen im iranischen Establishment den aktuellen Druck auf Ahmadinejad erhöht, halten Regierungsberater ihr Plädoyer für eine engere Zusammenarbeit mit dem Iran ganz ungeachtet des Wahlergebnisses aufrecht. Eine solche Kooperation habe prinzipielle Bedeutung für die Bundesrepublik, schrieb bereits im Mai die Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) – unter Verweis auf das deutsche Interesse an den iranischen Erdöl- und Erdgasressourcen und an Ausfuhren in das Land.

–   Zwar bestehe durchaus ein "Zielkonflikt zwischen dem Primat der transatlantischen Beziehungen und dem prinzipiellen deutschen Interesse" an Zusammenarbeit mit dem Iran – aufgrund der Sanktionspolitik, mit der Washington gegen Teheran vorgehe. Doch habe Berlin inzwischen erfolgversprechende Ansätze zu einer eigenständigen Mittelost-Politik vorgelegt.[6]

Kompromiss

–   Wie die SWP in Erinnerung ruft [7], waren "die guten Beziehungen zu Iran" vor dem Umsturz 1979 "primär wirtschaftlicher Natur und bewegten sich im Fahrwasser der engen politischen Beziehungen zwischen Iran und den USA".

–   Nach dem Ende des Krieges zwischen Irak und Iran im Jahr 1988 begannen Bonn und Brüssel "intraprese u, was im Verhältnis zu Iran angesichts des Isolationskurses der USA politisch möglich sei".

–   Von 1992 bis 1997 habe der damalige Bundesaußenminister Kinkel (FDP) gegen Washington das "Prinzip der Nicht-Ausgrenzung Irans" durchgesetzt ("Kritischer Dialog"). Nach wechselhafter Entwicklung, berichtet die SWP, nahm die EU im Jahr 2002 schließlich Gespräche über ein Handels- und Kooperationsabkommen mit Teheran auf. Die Verhandlungen scheiterten vorläufig am Atomstreit mit dem Iran, mit dem die USA lange Jahre die Ausgrenzung Teherans betrieben – gegen deutsche Interessen.

Lösung

–   Den Kurswechsel der neuen US-Administration von Kriegsdrohungen zu Gesprächen mit Teheran müsse Berlin entschieden nutzen, fordert die SWP. Vor allem sei eine Lösung des Atomstreits zu befördern.

–   Dazu aber befinde sich auf iranischer Seite Ahmadinejad "in einer besseren Position" als seine Wahlkonkurrenten, urteilt SWP-Direktor Volker Perthes: Ahmadinejad "weiß das konservative Lager hinter sich", das es im Falle einer Einigung mit den USA oder bei einem möglichen Urananreicherungsstopp ruhigzustellen gelte.

–   Seine prowestlichen Gegner, "Reformer und Studenten", würden ohnehin "nicht protestieren, wenn sich die Beziehungen zu den USA verbessern", erläutert Perthes.[8] Ähnlich wie Washington kann auch Berlin daher vorläufig mit einem Staatspräsidenten Ahmadinejad durchaus leben. Die aktuellen Interventionen hingegen lassen die langfristigen Präferenzen deutlich erkennen.

Weitere Informationen zur deutschen Iran-Politik finden Sie hier: Faustpfand, Interview mit Dr. Bahman Nirumand, Neuformierung in Mittelost, Ohne Widerstand, Provokationen, Kriegsverbrechen, Waffenbrüderschaft, Achillesferse, Kriegsbeihilfe, Außendruck, Destabilisierungshebel, Nabucco, Die traditionelle Rolle, Eindämmungskurs, Balance statt Exklusion, Die persische Pipeline und Destabilisierungshebel (II).

[1] Bundesminister Steinmeier zur Wahl im Iran; Pressemitteilung des Auswärtigen Amts 15.06.2009

[2] Bundesregierung fordert Aufklärung vom Iran; Presse- und Informationsamt der Bundesregierung 15.06.2009

[3] Eine neue Form der Demokratie; Frankfurter Allgemeine Zeitung 15.06.2009

[4], [5] Der gedemütigte Klerus; Frankfurter Allgemeine Zeitung 16.06.2009

[6], [7] Guido Steinberg (Hg.): Deutsche Nah-, Mittelost- und Nordafrikapolitik. Interessen, Strategien, Handlungsoptionen, SWP-Studie S 15, Mai 2009

[8] "Ausmaß der Gewalt ist überraschend"; Süddeutsche Zeitung 16.06.2009

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Gfp      090622
Umsturzerwartungen
22.06.2009
TEHERAN/BERLIN

–   (Eigener Bericht) – Trotz ausdrücklicher Warnungen heizen deutsche Organisationen die gegenwärtigen inneriranischen Machtkämpfe an. Die staatsfinanzierte Deutsche Welle gehört zu den Auslandssendern, deren Farsi-Programme die iranischen Protestdemonstranten mit ihren Berichten über westliche Reaktionen stündlich befeuern.

–   Auch parteinahe Stiftungen, darunter die FDP-nahe Friedrich-Naumann-Stiftung, bieten sich Gegnern der zentralstaatlichen Strukturen im Iran als Partner an.

–   Nach anfänglicher Zurückhaltung ist das Auswärtige Amt (AA) dazu übergegangen, in die inneren Angelegenheiten des UN-Mitglieds offen einzugreifen und an die Regierung des souveränen Landes "Forderungen" zu stellen. Diese Linie einer herausfordernden Teilhabe an den inneriranischen Machtkämpfen wurde am Wochenende ebenso vom Bundeskanzleramt eingeschlagen. Deutsche Presseorgane ergehen sich in blutslüsternen Erwartungen über "Chaos in Teheran".

–   Jede Einmischung in die aktuellen Machtkämpfe sei "äußerst schädlich", urteilt der Iran-Experte Bahman Nirumand: Sie bewirke, dass die Protestdemonstranten "als westlich gesteuert und ihre Führer als Kollaborateure gebrandmarkt werden". Tatsächlich ist die derzeitige Unterstützung für die iranische Opposition maßgeblich außenpolitisch motiviert: Solange in Teheran das dem Westen treue Schah-Regime die Macht innehatte, wurde die iranische Demokratiebewegung mit westlicher Unterstützung blutig niedergeschlagen.

–   Am Wochenende haben Berliner Regierungsvertreter zahlreiche Stellungnahmen in Umlauf gebracht, die das iranische Regime demokratische Verhaltensweisen lehren sollen. Im Stil kolonialer Hegemonialpolitik wurde der Botschafter Irans ins Auswärtige Amt einbestellt.

–   Ihrerseits verwahrt sich die Teheraner Regierung gegen die Einmischung und droht Berlin mit dem Abbruch der diplomatischen Beziehungen. Trotzdem halten die Aktivitäten staatsnaher deutscher Organisationen, die die inneriranischen Proteste schüren, unvermindert an. Zu den ersten Adressen der ausländischen Aufstandspropaganda gehören der offizielle deutsche Auslandssender Deutsche Welle sowie mehrere parteinahe Stiftungen.

Geopolitisch wichtig

–   Im Verbund mit Twitter, CNN und BBC leistet die staatsfinanzierte Deutsche Welle Unterstützung für die Regierungsgegner im Iran. Der Bonner Sender, der bereits seit April 1962 ein Radioprogramm in der Landessprache Farsi ausstrahlt, hat dieses im Jahr 2000 um ein Farsi-Online-Angebot ergänzt. 2007 wurde es beträchtlich erweitert.

–   Der "Dialog mit Iran", einer "geopolitisch wichtigen Region", sei "ein Schwerpunkt" der Deutschen Welle, erklärte damals der Intendant des Senders. Man wolle vor allem "auch über Ereignisse und Entwicklungen im Iran selbst" berichten, und zwar "aus europäischer Perspektive".[1] Diese kaum verhohlene Ankündigung informationeller Einmischung in die iranische Innenpolitik erging fast zeitgleich mit der Verabschiedung von Subversionsprogrammen der US-Regierung. Die Bush-Administration stellte eine dreistellige Millionensumme zur Verfügung, um die iranische Untergrundbewegung zu finanzieren.[2]

Explosionsartig gestiegen

–   Die Zunahme der deutschen Auslandspropaganda wurde in Teheran bereits zu Jahresanfang registriert: Im Januar beschuldigte Teheran die Deutsche Welle sowie weitere deutsche Organisationen [3] umstürzlerischer Umtriebe und sperrte eine Zeitlang ihr Internetangebot. Wie aktuelle Angaben des Bonner Staatssenders bestätigen, wird sein Farsi-Programm in diesen Tagen besonders stark genutzt. So hätten sich die täglichen Zugriffszahlen seit den Wahlen "vervielfacht auf rund 120.000 Abrufe". Auch "der direkte Kontakt zur Redaktion in Bonn" ist demnach "explosionsartig gestiegen" – laut Angaben der Deutschen Welle gehen bei der Farsi-Redaktion täglich bis zu 3.000 E-Mails ein.[4] Vor allem Beiträge, "die sich mit Reaktionen in Deutschland auf die Entwicklung im Iran befassen", seien in dem Golfstaat gefragt, berichtet der Auslandssender.

Öffnung nach Westen

–   Unterschiedlich motivierte Proteste gegen Teheran werden auch von den deutschen parteinahen Stiftungen unterstützt. Die SPD-nahe Friedrich-Ebert-Stiftung hat bereits vor Jahren Iran-Projekte initiiert. Ziele seien der Aufbau "zivilgesellschaftlicher Institutionen" und die "Unterstützung der Öffnung des Iran" in Richtung Westen, schreibt die Stiftung über die von ihr gewünschte außenpolitische Neuiorientierung Teherans.[5] In der Vergangenheit hat die Stiftung an Umstürzen und Umsturzversuchen in Europa wie in Afrika führend mitgewirkt.[6]

Vielvölkerstaat

–   Kurz nach den umstrittenen Wahlen startete auch die FDP-nahe Friedrich-Naumann-Stiftung ein Iran-Projekt: Die Konferenz "Nationalitätenfrage und Demokratie im Iran" wurde letzten Samstag in Frankfurt am Main abgehalten. Kooperationspartner der Naumann-Stiftung war die Gesellschaft für bedrohte Völker (GfbV), eine wegen ihrer Verbindungen zu NS-belasteten Organisationen berüchtigte Adresse deutscher Minderheitenpolitik.[7] Bei der Konferenz ging es um Repressionen gegen Religions- und Sprachminoritäten, die nach Ansicht der GfbV und der Naumann-Stiftung eine Schwächung der Teheraner Zentralregierung erforderlich machen. "Bis zu 60% der (iranischen) Bevölkerung" [8] müssten Sonderrechte erhalten, da sie unterdrückten Minoritäten angehörten, erklärt die Organisation – eine Neuauflage völkischer Umsturzstrategien, wie sie zum Beispiel in Jugoslawien erfolgreich waren [9]. Die deutsche Instrumentalisierung autonomistischer und separatistischer Kräfte auf iranischem Gebiet ist seit langem bekannt. Man müsse Sezessionsbewegungen im "Vielvölkerstaat" Iran konsequent nutzen – als "Destabilisierungshebel" "unterhalb des eigenen militärischen Eingreifens", hieß es bereits vor mehreren Jahren an der Münchener Bundeswehr-Universität.[10]

Äußerst schädlich

–   Experten halten auswärtige Interventionen im Iran, wie sie auch deutsche Organisationen durchführen, für kontraproduktiv. "Eine Einmischung des Westens wäre äußerst schädlich für die Bewegung", warnt der Iran-Kenner Bahman Nirumand: "Sie würde sofort als westlich gesteuert und ihre Führer als Kollaborateure gebrandmarkt werden."[11] Nirumand bezieht sich auf einschlägige Erfahrungen mit westlichen Interventen:

–   Als die persische Demokratiebewegung nach dem Zweiten Weltkrieg gegen das prowestliche Schah-Regime kämpfte, sah sie sich ebenfalls mit Belehrungen konfrontiert – zugunsten der Schah-Diktatur.

–   Dem Feudal-Clan Pahlavi gelang es 1954 nur dank westlicher Hilfe, die erste demokratische Regierung Irans niederzuwerfen. Damals wie heute ging es um Rohstoff- und Territorialambitionen der früheren Kolonialmächte.

–   Die von Großbritannien und den USA gesteuerte Liquidation der Regierung Mossadegh verhinderte über Jahrzehnte eine eigenständige Entwicklung des Landes. Im Ergebnis erstarkten islamistische Kräfte, die 1979 schließlich die Macht eroberten.

–   Weil ihr auf Eigenständigkeit bedachtes Regime keine Rückkehr zu den halbkolonialen Feudalzuständen zuließ, ermunterten die USA Bagdad zu einem Krieg (1980 bis 1988), der beide Seiten schwächen sollte. Der durchschlagende Erfolg in Teheran blieb aus. Seitdem setzt Berlin auf die zuvor noch bekämpfte Demokratiebewegung.

Nicht tatenlos

–   Hatten deutsche Boulevardblätter bereits bei Beginn der Proteste dem "Chaos in Teheran" [12] breiten Raum eingeräumt, so folgen jetzt die Auslandsabteilungen der großbürgerlichen Presse mit martialischen Umsturzerwartungen. In einer außenpolitischen Selbstentblößung räumt die Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) ihrem Teheran-Korrespondenten Platz für "Vier Szenarien" des ersehnten Machtwechsels ein.[13] FAZ-Perspektive Nr. 3 ist "ein Blutbad (…), dem die Welt nicht tatenlos zusehen würde", droht das Blatt.

[1] Deutsche Welle startet neues Internet-Angebot für Iran; Pressemitteilung der Deutschen Welle 04.04.2007

[2] s. dazu Außendruck

[3] Genannt wurden neben der Deutschen Welle parteinahe Stiftungen und der DAAD. Iran beschuldigt deutsche Stiftungen; Kölner Stadt-Anzeiger 21.01.2009

[4] Die Deutsche Welle im Iran; www.dw-world.de 18.06.2009

[5] Die Friedrich-Ebert-Stiftung im Iran; www.fes.de

[6] s. dazu Tod eines "Deutschen", Sozialdemokratische Drohungen und Westlich-liberal

[7] zur GfbV s. auch Hintergrundbericht: Gesellschaft für bedrohte Völker

[8] Mullah-Regime hat längst die Unterstützung der Bevölkerungsmehrheit verloren; www.gfbv.de 16.06.2009

[9] s. dazu Im dritten Anlauf (I), Im dritten Anlauf (II) und Ohne Eigenständigkeit

[10] Die Zerrissenheit des Iran; Die Welt 07.03.2007. S. dazu Destabilisierungshebel und Destabilisierungshebel (II)

[11] "Endlich Freiheit"; www.boell.de 18.06.2009

[12] Iranischer Rundfunk meldet sieben Tote bei Protesten; Bild.de 16.06.2009

[13] Vier Szenarien vor einer historischen Freitagspredigt; FAZ 19.06.2009

 

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