La nuova dottrina militare della Cina – “Combattere una battaglia e vincerla”

Cina, politica estera, Usa
Faz      130304
 
La nuova dottrina militare della Cina – “Combattere una battaglia e vincerla”
Petra Kolonko, Pechino

–       Xi Jinping, nuovo presidente cinese, capo del PCC, e comandante in capo delle forze armate, ha dato una nuova definizione ai compiti delle forze armate (Esercito Popolare):

o   Se fino al predecessore Hu Jintao, l’esercito doveva saper combattere una guerra limitata,

 

o   Xi Jinping vuole migliorare le capacità tecnologiche delle forze armate, una maggiore prontezza al combattimento; la capacità di combattere e vincere una battaglia;

o   secondo osservatori, la prontezza all’azione e la forza di combattimento dell’esercito sono messe a rischio dalla corruzione dilagante dei militari, che si regalano ville lussuose, limousine etc.; il generale Liu Yuan, commissario politico delle forze armate, ha dichiarato l’anno scorso che nessuno è in grado di vincere l’Esercito Popolare cinese, se non esso stesso.

–       Nella contesa territoriale con il Giappone sulle isole Diaoyu/Sensaku, a dimostrazione di forza Xi Jinping ha inviato navi pattuglia e aerei caccia nell’area marittima interessata.

o   Il Congresso del PCC di fine 2012 ha stabilito che la Cina deve divenire una potenza marittima; tra i maggiori successi cinesi Hu Jintao ha ricordato la messa in funzione della prima portaerei.

–       Osservatori militari si attendevano da Xi Jinping un aumento del bilancio per le forze armate maggiore dello scorso anno,

o   invece l’aumento annunciato è stato del 10,7%, poco superiore alla crescita complessiva del bilancio statale, +10%, e inferiore a quello miliare dello scorso anno, +11,2%; un aumento commisurato alla forte crescita economica come pure all’inflazione.

–       Sarebbe questo un segnale lanciato da Xi Jinping al Giappone, ma anche agli USA: la Cina non intende ricorre a misure straordinarie a causa del conflitto con il Giappone,

o   sta inoltre a dimostrare la non sottomissione di Xi alla pressione dei militari per maggiori stanziamenti, giustificato con il rischio di escalation del conflitto con il Giappone.

o   L’ammontare complessivo del bilancio militare è di circa $87MD, che è il secondo maggiore del mondo, e che dovrebbe servire a migliorare le condizioni di vita dei soldati, meccanizzare ulteriormente e convertire alla tecnologia dell’informazione le forze armate;

o   inoltre servirà a sicurezza interna, anti-terrorismo, e alle missioni contro le catastrofi naturali.

–       Se è vera la notizia degli importanti attacchi di hackeraggio lanciati da una unità militare in America ed Europa, l’Esercito popolare cinese ha fatto importanti progressi nella guerra cibernetica.

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Cina, politica interna
Faz      130212

Il Politbüro legge Tocqueville – La Cina di fronte ad una rivoluzione?

Mark Siemons, Pechino

–       Dal cambio di leadership nel novembre scorso, assieme alla moda della lettura di Tocqueville, cambio di retorica del partito, prima delle riforme, la lotta alla corruzione:

o   Xi Jinping ha più volte dichiarato che se non si risolve il problema della corruzione, essa sarà la fine del partito e dello Stato,

o   ma difficile pensare che questi appelli giungano ad un risultato, dato che il potere reale del PCC come è strettamente legato agli interessi economici dei suoi funzionari uscire dal pantano.

o   Media statali e consiglieri governativi segnalano una più acuta consapevolezza della crisi:

o   l’1% delle famiglie possiede il 41,4% della ricchezza privata, e il 91% della popolazione pensa che i ricchi approfittano delle loro relazioni con il Partito (da una indagine del giornale di partito Renmin Ribao).

o   Molti funzionari di partito sono insicuri e mandano all’estero mogli e averi, e si rifugiano in Buddha.

o   Già nel 2012 la Cina ha speso più per la sicurezza interna che esterna.

o   Ma mentre i media statali continuano a denunciare nuovi casi di corruzione, vengono fatti tacere giornali e intellettuali che cercano di sfruttare la situazione per richiamare al rispetto della Costituzione (diritto di libertà di parola di riunione compresi).

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–       Il nuovo politburo del PCC della Cina ha riesumato il libro di Alexis de Tocqueville “L’antico regime e la rivoluzione” (1856) che sembra descrivere esattamente la attuale situazione del paese e prefigura a breve una rivoluzione.

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o   Per Tocqueville la società nello stato assolutista ante rivoluzione si sarebbe distinta per dinamica, trasparenza e modernità.

o   Ma centralizzazione, razionalizzazione e economia del dispotismo avrebbero svuotato le vecchie forme e istituzioni della cooperazione, cosicché rimangono solo caste tra loro isolate. Tocqueville parla di un “individualismo collettivo”, una società atomizzata, il cui unico legame è dato solo dal desiderio di arricchirsi a qualsiasi prezzo.

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–       Il Politburo del PCC cinese, non sembra con ciò ritenere possa funzionare la ricetta propugnata soprattutto dai liberali all’interno del partito comunista cinese (PCC): con le opportune riforme si può evitare una rivoluzione.

–       Dal 1989, il governo cinese ha seguito il principio per cui si può assicurare la stabilità di questo sistema con la continua crescita del PIL, la progressiva razionalizzazione e sistematizzazione del potere, per mezzo di riforme: il che significa capacità di risolvere problemi, flessibilità nelle cose concrete, contemporaneamente alla rigidità nel mantenimento del potere del partito unico, il tutto doveva far evitare alla Cina la sorte dell’Urss.

 

Nella Cina odierna il desiderio di arricchimento è legittimato dal sistema e anzi quasi imposto in sostituzione delle ambizioni politiche. Il partito assume da un lato il ruolo del potere centrale del sistema di Tocqueville, dall’altro è l’equivalente della nobiltà svuotata del suo significato sociale, e nella prassi economica funge da distributore di privilegi nel quadro di una crescente ineguaglianza.

Faz      130304
Chinas neue Militärdoktrin „Eine Schlacht schlagen und gewinnen“

05.03.2013 · Chinas Armee, so will es der neue Parteichef Xi Jinping, soll in Zukunft deutlich kampfbereiter sein als bislang. Dafür erhöht Peking die Militärausgaben – aber nicht so viel wie erwartet und befürchtet.

Von Petra Kolonko, Peking

–          Unmittelbar nach seinem Amtsantritt hat Xi Jinping, Chinas neuer Parteichef und Oberbefehlshaber der Streitkräfte, die Mission der Volksbefreiungsarmee neu definiert.

–          Während es unter seinem Vorgänger noch geheißen hatte, die Volksbefreiungsarmee müsse einen begrenzten Krieg gewinnen können und ihre technologischen Fähigkeiten ausbauen,

–          verlangte Xi Jinping von seinen Generälen, sie müssten die Kampfbereitschaft verbessern und in der Lage sein, eine Schlacht zu schlagen und zu gewinnen.

–          Xi Jinping reagierte damit auf den Konflikt mit Japan über die Diaoyu/Senkaku-Inseln, in dem China mit der Entsendung von Patrouillenschiffen und Kampfjets in das umstrittene Seegebiet Stärke demonstriert.

–          Angesichts von Xi Jinpings neuer Doktrin hatten Militärbeobachter erwartet, dass Xi Jinping in diesem Jahr den Streitkräften eine größere Budgeterhöhung zuweisen würde als im letzten Jahr.

–          Am Dienstag wurde dem Volkskongress dann aber bekanntgegeben, dass die Zuwendungen an das Militär in diesem Jahr um 10,7 Prozent steigen würden. Das liegt nur knapp über der allgemeinen Zuwachsrate der Staatsausgaben von 10 Prozent. Der Zuwachs ist sogar etwas niedriger als im vergangenen Jahr, als die Militärausgaben um 11,2 Prozent gestiegen waren. Insgesamt wird die Volksbefreiungsarmee eine ansehnliche Zuweisung von etwa 87 Milliarden Euro bekommen.

Zweithöchste Militärausgaben der Welt

–          China hat damit die zweithöchsten Militärausgaben der Welt. Laut Regierungsvorlage sollen damit die Lebensbedingungen der Soldaten verbessert, die Streitkräfte weiter mechanisiert und auf Informationstechnologie umgestellt werden. Außerdem soll das Geld für den Kampf gegen Terrorismus, für innere Sicherheit und für Katastropheneinsätze verwendet werden.

–          Xi Jinping hat aber darauf verzichtet, ein Signal forcierter Aufrüstung unter seinem Oberbefehl zu geben. Dass er es bei einer leicht geringeren Zuwachsrate als im Vorjahr belässt, ist nach Ansicht von Beobachtern ein Zeichen an Japan, aber auch an die Vereinigten Staaten, dass China wegen des Konfliktes mit Japan nicht zu ungewöhnlichen Maßnahmen greift.

–          Xi Jinping hat damit nicht dem Druck des Militärs nachgegeben, dass angesichts des Konfliktes mit Japan, der schnell zu einer kriegerischen Auseinandersetzung eskalieren könnte, auf mehr Mittel gedrängt hatte. Die Volksrepublik China erhöht seit Jahren sein Militärbudget in zweistelligen Raten und verursacht damit Unruhe bei Nachbarn und Partnern.

–          Außer mit Japan liegt China auch im Streit mit südostasiatischen Nachbarn wie den Philippinen und Vietnam um Gebietsansprüche im Südchinesischen Meer.

–          Beim Parteikongress Ende vergangenen Jahres hatte die Führung beschlossen, dass China zu einer Seemacht werden sollte. Auch in der Aufzählung der großen Errungenschaften Chinas vor dem Volkskongress erwähnte Ministerpräsident Wen Jiabao die Inbetriebnahme von Chinas erstem Flugzeugträger an prominenter Stelle.

Die Volksarmee im „Cyberwar“?

–          Die Steigerung der Militärausgaben ist immer damit begründet worden, dass China Aufholbedarf habe und die Bezahlung und Ausstattung der Soldaten verbessert werden sollen. Auch dieses Jahr heißt es, die Steigerung des Militärausgaben sei angesichts hohen Wirtschaftswachstums und Inflation angemessen. Außerdem werde in Informationstechnologie investiert.

–          Wenn es stimmt, wie in jüngsten Berichten vermeldet wurde, dass eine chinesische Militäreinheit für großangelegte Hackerangriffe in Amerika und Europa verantwortlich ist, dann scheint die Volksbefreiungsarmee tatsächlich schon große Fortschritte im „Cyberwar“ zu machen. Während viele außerhalb Chinas eine wachsende Bedrohung aus China sehen, verweisen chinesische Militärbeobachter darauf, dass die grassierende Korruption im Militär die Einsatzbereitschaft und Kampfkraft der Volksbefreiungsarmee bedroht.

–          Im vergangenen Jahr hatte General Liu Yuan, einer der Politkommissare der Streitkräfte, in einer internen Rede davor gewarnt, dass niemand die Volksbefreiungsarmee besiegen könnte, nur sie sich selbst.

–          Einige Offiziere versorgten sich mit Luxusvillen und Limousinen und geben Geld für Image-Projekte auf, was zu großer Unzufriedenheit führte, schrieb am Dienstag ein Kommentator der Pekinger „Global Times“ und verwies auf weitreichende Unzufriedenheit in der Bevölkerung mit dem Lebensstil vieler Offiziere. Eine Gier nach Ausländischem und Luxusgütern könnte die Kampfkraft der Armee aufbrauchen.

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Faz      130212
Das Politbüro liest Tocqueville – Steht China vor einer Revolution?

12.02.2013 · Tocqueville als Lektüreempfehlung: Die chinesischen Kommunisten erkennen ihr Land erschreckend exakt in der Beschreibung Frankreichs vor 1789 wieder.

Von Mark Siemons, Peking

–          Das neue Politbüro der Kommunistischen Partei Chinas hat ein Buch aus dem neunzehnten Jahrhundert ausgegraben, das die gegenwärtige Konstellation des Landes verblüffend genau beschreibt und dabei eine kurz bevorstehende Revolution in Aussicht stellt: Alexis de Tocquevilles „Der alte Staat und die Revolution“, erschienen im Jahr 1856.

–          Sowohl Li Keqiang, der zweite Mann in der Partei und künftiger Ministerpräsident, als auch Wang Qishan, das für die Korruptionsbekämpfung zuständige Politbüromitglied, haben das Buch mehrfach öffentlich zur Lektüre empfohlen; Letzterer ausdrücklich in einem Treffen mit Regierungsberatern, die sich damit beschäftigen, wie Partei und Staat so umzugestalten sind, dass ihr Untergang verhindert wird.

–          Seitdem hat sich das Buch, das im Westen tief im Schatten von Tocquevilles anderem Werk, der „Demokratie in Amerika“, steht, unter chinesischen Funktionären und Intellektuellen zu einem Bestseller entwickelt. Zwei Fragen stellen sich: Was bedeutet es, wenn sich die chinesischen Kommunisten heute in Tocquevilles Analyse des vorrevolutionären Frankreich wiedererkennen? Und: Was bedeutet es, wenn sie dieses Wiedererkennen öffentlich machen?

Eine völlig atomisierte Gesellschaft

–          Der Witz des Buchs ist, dass es das Frankreich vor 1789 keineswegs so beschreibt, wie westliche Theoretiker bis vor kurzem realsozialistische Staaten zu beschreiben pflegten: als System, das an seiner Reformunfähigkeit und Erstarrung zugrunde geht.

–          Vielmehr, so Tocqueville, habe sich die Gesellschaft im absolutistischen Staat vor der Revolution gerade durch ihre zunehmende Dynamik, Durchlässigkeit und Modernität ausgezeichnet.

–          Doch die Zentralisierung, Rationalisierung und Ökonomisierung der Despotie habe die alten Institutionen und Formen des Zusammenwirkens entleert, so dass nur gegeneinander abgeschottete Kasten übrig blieben. Diese atomisierte Gesellschaft – Tocqueville schreibt von einem „kollektiven Individualismus“ – habe nichts als die alles beherrschende Begierde verbunden, „um jeden Preis reich zu werden“. Aus Angst vor ihn möglicherweise gefährdenden Zusammenschlüssen fördert der Despotismus noch diese gegenseitige Isolierung und „entzieht den Bürgern jede gemeinsame Begeisterung, jedes gemeinschaftliche Bedürfnis, jede Notwendigkeit, sich miteinander zu verständigen“.

–          In früheren Jahrhunderten hätten Adlige und jene, aus denen später das Bürgertum wurde, noch in der gemeinsamen Ausübung ihrer gesellschaftlichen Funktionen zusammengearbeitet; je mehr diese Funktionen von der Zentralgewalt übernommen wurden, desto größer wurde der Skandal der Ungleichheit, zumal der Befreiung des Adels von einer Steuer, deren Höhe rapide wuchs. „Da in einer derartigen Gesellschaft nichts feststeht, fühlt sich jeder, teils durch die Furcht, herunterzukommen, teils durch den Drang, sich emporzubringen, in ständiger Aufregung.“

Niemals das Schicksal der Sowjetunion teilen

–          Das alles liest sich in der Tat wie eine Beschreibung des heutigen China, in dem der Drang, reich zu werden, vom System nicht nur legitimiert, sondern als Ersatz für jedwede politische Ambitionen geradezu vorgeschrieben ist.

–          Jeder bringt dabei sein eigenes Schäfchen ins Trockene, und die großen Klassen, zumal die Bauern und die städtische Mittelschicht, haben keine gemeinsamen Interessen. Von jeglicher Praxis einer Selbstverwaltung ferngehalten, ist auf keiner Ebene der Gesellschaft auch nur die Möglichkeit vertraut, für ein Gemeinwesen zu denken.

–          Die Partei nimmt dabei auf der einen Seite die Rolle der Zentralgewalt in Tocquevilles System ein; auf der anderen Seite ist sie das Äquivalent zu dem seiner gesellschaftlichen Bedeutung entleerten Adel und fungiert in der ökonomischen Praxis als Privilegienverteiler innerhalb der wachsenden Ungleichheit.

–          Die Regierungsdoktrin seit 1989 war, dass die Stabilität dieses Systems durch ständig wachsendes Bruttoinlandsprodukt, fortschreitende Rationalisierung und Systematisierung der Herrschaft gesichert werden könne, durch Reformen also,

–          die gleichzeitig Problemlösungsfähigkeit und Flexibilität im Konkreten und Rigidität in der Aufrechterhaltung der Einparteienherrschaft im Ganzen auszeichnet, so dass die Volksrepublik niemals das Schicksal der Sowjetunion ereilen könne. Gerade auch die „Liberalen“ innerhalb der Partei haben immer argumentiert, mit rechtzeitigen Reformen werde eine Revolution verhindert.

Das unempfindliche, taube Volk?

–          Das Interesse an Tocqueville deutet nun darauf hin, dass es mit der Zuversicht hinsichtlich der Funktionstüchtigkeit dieses Modells vorbei sein könnte. Noch Mitte des achtzehnten Jahrhunderts, schreibt Tocqueville, sei von einem Freiheitsdrang in der französischen Nation nichts zu spüren gewesen: „Sie wünschte mehr Reformen als Rechte“, und ihre Bürger hätten nichts weiter als „die gleichgestellten Diener des Herrn der Welt werden“ wollen. Dass sich dies innerhalb weniger Jahrzehnte änderte und es über Nacht und zur Überraschung aller Beteiligten zur Revolution kam, lag für Tocqueville zum einen an der Aushöhlung früherer, zwischen Zentralstaat und Einzelnem vermittelnden Institutionen der Selbstverwaltung. Und zum anderen ausgerechnet daran, dass die Modernisierung in den Jahren vor der Revolution mit immer mehr sozialen Reformen einherging, so dass die Erwartungen stiegen.

Da man das der öffentlichen Angelegenheiten seit langem entwöhnte Volk „so unempfindlich sah, hielt man es für taub, so dass, als man sich für sein Los zu interessieren begann, man in seiner Gegenwart von ihm selbst in einer Weise sprach, als ob es nicht zugegen wäre“. So sei die Nation an den Gedanken gewöhnt worden, dass die von der Despotie hergestellte Leere angesichts der sich immer irrationaler entwickelnden Ungleichheit auch mit umgekehrten Vorzeichen versehen werden könne, wofür die auf Abstraktionen und Systeme fixierten Intellektuellen der Zeit dann die Vorlage geliefert hätten.

Frauen und Vermögen werden ins Ausland gebracht

–          Die Empfehlung von Tocqueville geht in Peking jetzt mit einer bemerkenswerten Veränderung der Parteirhetorik seit dem Führungswechsel im November einher. Während bis dahin jeder Vergleich mit gestürzten Diktaturen etwa in Arabien entrüstet zurückgewiesen wurde, hat der neue Parteichef Xi Jinping mehrfach erklärt, wenn man das Problem der Korruption nicht löse, werde dies „das Ende der Partei und das Ende des Staats“ sein. Staatsmedien und Regierungsberater liefern in immer kürzeren Abständen Anzeichen eines sich verschärfenden Krisenbewusstseins:

o   Ein Prozent der Familien besitzen 41,4 Prozent der privaten Vermögen, und 91 Prozent der Bevölkerung glauben einer Untersuchung der Parteizeitung „Renmin Ribao“ zufolge, die Reichen profitierten von ihren Beziehungen zur Partei.

o   Viele Parteifunktionäre sind laut Regierungsberater Yu Keping völlig verunsichert, weshalb sie ihre Frauen und ihr Vermögen ins Ausland bringen und im Übrigen vermehrt bei Buddha Zuflucht nehmen. Schon im vergangenen Jahr gab China inzwischen mehr für die innere als für die äußere Sicherheit aus.

–          Was wird aus dem durch Tocqueville geschärften Krisenbewusstsein für die Partei folgen? Anzeichen dafür, dass nunmehr die Zivilgesellschaft stärker gefördert würde, sind nicht zu erkennen. Allerdings auch nicht, dass die bisherige Reformrhetorik nun zugunsten reiner Repression vermindert würde.

–          Das neue Politbüro scheint sich erst mal bloß von der rein technokratischen Mentalität seiner Vorgänger absetzen zu wollen. An eine Liberalisierung im westlichen Sinn ist dabei eindeutig nicht gedacht, wohl aber an eine Wiedergewinnung der zerrütteten moralischen Glaubwürdigkeit der Partei.

Diese besonders subversive Pointe

–          Das ist der gemeinsame Nenner der bisherigen Einlassungen des neuen Parteichefs Xi Jinping: von Hardliner-Positionen wie seiner Polemik gegen den „historischen Nihilismus“ einer Sowjetunion, die nicht „Manns genug“ gewesen sei, sich gegen ihre Widersacher zu behaupten, über symbolische Maßnahmen wie seine Brandreden gegen den entleerten Sprach- und Lebensstil der Funktionäre bis hin zu seinen Kampfansagen an die parteiinterne Korruption, bei denen er sich sogar den Dissidentenbegriff der „verdeckten Interessen“ zu eigen macht, deren Festungen es zu schleifen gelte. Sogar das stillschweigende Einverständnis, dass der Name der Partei nur noch eine äußere Fassade ist, gibt er vor, aufkündigen zu wollen. „Der chinesische Traum ist ein Ideal“, sagte er bei einer Gelegenheit: „Aber als Kommunisten sollten wir natürlich ein noch höheres Ideal haben, und das ist der Kommunismus.“

–          Doch er gibt keinen Hinweis darauf, welchen strukturellen Fluchtpunkt all diese Appelle haben – wie eine Partei, deren reale Herrschaft so eng mit den ökonomischen Interessen ihrer Funktionäre verbunden ist, sich am eigenen Schopf aus dem Sumpf ziehen könnte.

–          Und während die Staatsmedien jetzt fortlaufend über immer neue aufgedeckte Bestechungsfälle schreiben, werden Zeitungen und Intellektuelle, die die Gunst der Stunde zu nutzen versuchten und öffentlich die Respektierung der chinesischen Verfassung (inklusive des dort garantierten Rechts auf Meinungs- und Versammlungsfreiheit) forderten, mundtot gemacht.

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Eine letzte subversive Pointe von Tocquevilles Buch war die Beobachtung, dass. Schon bei Tocqueville war also gar nicht mehr entscheidbar, ob er die Revolution in ihrer zweiten Phase wieder jene Institutionen des Ancien Régime wiederbelebte, mit denen „die Menschen abgesondert und gehorsam“ gehalten werden konnten sich mit den Missständen des alten Staats oder mit denen der Revolution beschäftigte.

Quelle: F.A.Z.

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