Demografia e paura del cambiamento determinano la vittoria del NO in Scozia

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Negli anni ’90 abbiamo assistito al secessionismo di varie aree dell’est Europa in Cecoslovacchia, nella ex Juguslavia. Quasi sempre aree le cui borghesie ritengono, una volta indipendenti, di diventare più ricche; aree quindi che godono di qualche primato (più materie prime, più industria ecc) rispetto al resto del paese dal quale vogliono separarsi. E’ il caso oggi della Scozia il cui National Scottish Party mirava alla autonoma gestione del paese ma soprattutto delle risorse in idrocarburi del Mare del Nord.
Il tutto condito con la sottolineatura da un lato delle tradizioni culturali e religiose differenti, che indubbiamente ci sono, dall’altro inalberando la tesi che si trattava di una battaglia dei “poveri” derubati dal resto del paese più ricco. In realtà con lo scopo di creare più spazio di manovra per la classe politica e la burocrazia “locale”. Il risultato del referendum del 18 settembre (sul quesito secco “Volete che la Scozia diventi una nazione indipendente”) non era scontato e ha profondamente coinvolto gli scozzesi.

Lo dimostra l’alto tasso di registrazione al voto (97%, pari a 4,2 milioni) e il gran numero di votanti (84,59% pari a 3,6 milioni di voti). Un record storico come da record è stato il bassissimo numero delle nulle: 3429 schede. L’analisi disaggregata del voto dimostra che chi era propenso al NO è andato massicciamente a votare, al contrario dei favorevoli alla secessione: dove il NO ha superato il 60% la partecipazione al voto ha superato il 90-91%, dove ha prevalso il SI, come a Glasgow, la partecipazione al voto è stata del 75%. Inoltre il 20% di elettori che nel 2010 avevano optato per lo Scottish National Party, primo promotore dell’indipendenza, e il 14% di quelli che lo avevano votato nel 2011, hanno votato NO al referendum. Quindi molti scozzesi hanno dato fiducia al SNP per governare la Scozia, sono favorevoli a un proprio parlamento, a una certa autonomia, ma non alla separazione.

Quindi, nonostante i pronostici della vigilia, ha vinto di buona misura il NO all’indipendenza col 55,3% dei voti (2 milioni di elettori), mentre al SI sono andati 1,62 milioni, pari al 44,7%.
Il Si è prevalso solo in 4 circoscrizioni elettorali, di cui tre non molto estese (il Dundee col 57,35%, lo West Dunbartonshire col 54% e il North Lanarkshire col 51% ) , una sola importante, Glasgow, che rappresenta l’11% dell’elettorato e dove il Si ha prevalso col 53,5%.

Il risultato è dipeso da molti fattori. Il 60% al NO arriva dalle aree rurali, mentre le aree urbane non superano il 53%. Il NO ottiene il 60% o più nelle aree in cui manager e professionisti sono almeno il 30% della popolazione. Ma pare determinante per la vittoria del NO la percentuale di anziani: dove il 25% della popolazione ha più di 65 anni il No ha raccolto più del 60% dei voti, mentre dove gli over 65 sono il 21% il No ha preso il 51%. In Scozia gli ultra 65enni sono il 17,4% della popolazione, contro il 15,8 nel Regno Unito.

Al contrario i giovani, dai 16 ai 25 anni hanno votato Si al 71%. Sicuramente su questo orientamento ha pesato la promessa del SNP di creare posti di lavoro per i giovani, ma anche il voto contrario alla guerra del SNP, e la sua propaganda per l’energia pulita e l’ambiente. Il Guardian aggiunge che hanno votato Si soprattutto i giovani operai e descrive le notti passate in piazza da questi giovani, ad es. a Glasgow, per discutere, cantare e ballare e fare propaganda per il SI, in aperto contrasto con le scelte della direzione del Labour Party, tradizionalmente votato dagli strati operai. Il Guardian cerca di analizzare questa generazione nata dopo il crollo del comunismo, per cui il sistema neoliberista è pratica quotidiana, che vivono la distruzione del sistema industriale e un destino di bassi salari. Gli fa eco il Financial Times irritato perché il Labour Party non ha saputo evitare che la classe operaia scozzese fosse conquistata dalle sirene “nazionaliste”. La separazione di questi giovani dalle generazioni precedenti è data dal fatto che tra loro non c’erano bandiere rosse, ma grandi logo con Yes, bandiere di tartan dai colori psichedelici, quindi non i veri tartan, ma tartan di fantasia, con al centro Robert the Bruce, l’eroe della battaglia di Bannockburn che diede nel 1314 l’indipendenza alla Scozia (nota 1), e infine la estelada, la bandiera rosso gialla dei separatisti catalani (nota 2).

L’SNP ha profuso grandi energie organizzative e propagandistiche, utilizzando fra l’altro le tematiche sociali un tempo agitate dal Labour, ma sul NO si è invece concentrato tutto il peso delle grandi banche e le assicurazioni , tutti e tre i grandi partiti e …. i produttori di whisky.
Le grandi banche d’affari sono state categoriche nel prevedere, dopo un eventuale si, il calo del PIL inglese, una svalutazione della sterlina e dei titoli di stato. britannici. Lloyds banking e Royal Bank of Scotland hanno minacciato di trasferirsi da Edimburgo a Londra. La Goldman Sachs invece ha fatto foasche previsioni sul futuro economico di una Scozia indipendente, che non sarebbe in grado di rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana. Credit Suisse ha agitato il rischio di una fuga di capitali (quelli depositati nelle banche scozzesi equivalgono a 12 volte il PIL del paese, a dimostrazione che la Scozia non è un paese di oppressi, ma che la sua borghesia ha condiviso la corsa al profitto della sorella borghesia inglese.) Le banche scozzesi sono state le principali beneficiarie dei salvataggi operati dal governo Brown nel 2008, a spese ovviamente dei lavoratori che pagano le tasse.
Quanto al whisky è il secondo prodotto per importanza sull’export, dopo il petrolio, e i produttori temono che una interruzione anche temporanea dell’appartenenza alla UE li danneggerebbe molto perché l’appartenenza alla Ue e la presenza capillare di ambasciate britanniche agguerritissime hanno non solo aperto nuovi mercati al whisky scozzese, ma lo hanno anche tutelato da dazi punitivi e protetto dalle imitazioni a basso costo. La Scozia indipendente non avrebbe lo stesso peso nelle dispute commerciali (come è successo all’Irlanda per il suo whisky). A schierarsi contro l’indipendenza della Scozia sono stati quindi sia i grandi gruppi Diageo e Pernod Ricard, che controllano brand come Johnnie Walker, Glenlivet e Lagavulin, che i produttori locali di whisky come Macallan e Glenfiddich (nota 3). Il resto degli imprenditori era spaccato in pratica a metà fra il Si e il No.
Il massiccio in termini economici schieramento unionista è stato in grado di mobilitare (e pagare) un ampio ventaglio propagandistico a favore del NO, anche utilizzando toni piuttosto terroristici. E il No ha prevalso in 28 su 32 circoscrizioni, a partire da Edimburgo.

Negli elettori, in particolare anziani, ha prevalso la paura dell’incertezza e del cambiamento, sia a livello economico che politico.
Le analisi di voto dicono che, in ordine di importanza, hanno pesato:

1) la paura di non poter conservare la sterlina e dover creare una moneta propria.
Infatti gli indipendentisti ritenevano di poter continuare ad agganciare la propria moneta alla sterlina, mentre non volevano in alcun modo ancorarsi all’euro. Ma gli unionisti hanno sostenuto che per ragioni di sovranità, ci sarebbe stato una totale separazione delle due monete. (Nota 4)

2) il timore per il proprio futuro pensionistico.
Attualmente gli scozzesi usufruiscono delle pensioni di stato (dopo i 65 anni il pensionato riceve 113 £ alla settimana). Gli scozzesi hanno una quota di popolazione anziana più alta rispetto alla quota di popolazione in età lavorativa, perché la presenza degli immigrati è molto inferiore al resto dell’UK. In più questo squilibrio aumenterà nei prossimi anni. Quindi se il sistema pensionistico fosse separato, quello scozzese andrebbe velocemente in deficit.
Gli indipendentisti hanno negato questa eventualità, appellandosi anche al fatto che la speranza di vita degli scozzesi è più bassa di due anni rispetto al Regno Unito. Hanno anche tentato di collegare la minor speranza di vita con redditi inferiori e condizioni di vita peggiori. Il Telegraph ha ribattuto con i dati sul reddito: il salario settimanale medio scozzese è di 498 £ contro quello inglese di 506 £.
Inoltre uno studio recente analizza i consumi delle famiglie e afferma che gli scozzesi spendono in media meno del resto del paese in cibo, affitto, trasporti e cultura, ma molto di più in tabacco e alcool. Anche il tasso di disoccupazione in Scozia è del 7,5% contro una media dell’UK pari al 7,8%, nelle altre aree il tasso è più alto. Infine la spesa pubblica pro capite è più alta in Scozia che non nel UK (nel 2013 12.300£ contro quella inglese di 11 mila £) proprio a causa di pensioni e spesa sanitaria. Il dibattito ha allarmato gli elettori in età, già in pensione o prossimi ad andarci che hanno ritenuto di essere più tutelati dentro il Regno Unito che separati.

3) il timore che da separati i costi dell’energia aumentino invece che diminuire.
I secessionisti hanno centrato la loro propaganda sull’idea che se la Scozia sfruttasse in proprio il tesoretto di gas e petrolio del Mare del Nord potrebbe ridistribuire più reddito ai soli scozzesi migliorandone nettamente la vita. Il dibattito pre elettorale ha ruotato quindi sulle stime molto diverse che i due fronti presentavano riguardo alle riserve ancora da sfruttare: pari a 120 miliardi di £ secondo fonti inglesi, 1500 miliardi di £ secondo fonti scozzesi. In più oggi il governo inglese versa alla Scozia il 30% dei sussidi per le energie rinnovabili; una scelta fortemente popolare nel paese. Ma in caso di separazione gli inglesi hanno minacciato di interrompere questi sussidi e anche di non comprare più l’elettricità prodotta in Scozia (che copre il 26% dei bisogni di Galles e Inghilterra). Sostenendo che per la Scozia sarebbe complicato piazzarla altrove mentre Galles e Inghilterra potrebbero rivolgersi all’Europa e ottenere anche prezzi migliori. Anche gli investimenti cambierebbero direzione; gli inglesi investirebbero nelle rinnovabili nelle proprie aree e in Galles.

Infine potrebbe esserci una disputa legale sull’appartenenza del petrolio e del gas del Mare del Nord, il che congelerebbe i profitti per entrambi i paesi.

Molto dibattuta è stata anche la questione dei Trident, i sottomarini equipaggiati con i missili nucleari situati nella base di Faslane in Scozia. Lo SNP aveva dichiarato che una Scozia indipendente sarebbe anche stata denuclearizzata, ma spostare la base più a sud sarebbe stato un costo proibitivo e si sarebbero persi migliaia di posti di lavoro (6 mila nella base altre migliaia nell’indotto). A ciò si è aggiunta la minaccia di Bae Systems di togliere ai cantieri di Glasgow la commessa per tre navi da guerra di recente attribuita e spostarla ai cantieri di Portsmouth.
Ancora più difficile, secondo Londra dividere l’esercito: le unità scozzesi (che occupano 12 mila persone) resterebbero escluse dalla rete di supporti tecnici e non sarebbero funzionali.

Il peso politico della propaganda per il No è pesata prevalentemente sul Partito laburista, nella persona di Alistair Darling, anche se tutti danno per decisivo l’intervento dell’ex premier Gordon Brown che ha fatto valere il suo prestigio e i legami organizzativi con la Scozia. Ma pur avendo ottenuto il risultato sperato questo rischia di diventare un autogol. La vittoria del no secondo gli unionisti indebolisce lo Scottish National Party di Alex Salmond non solo perché è stata sconfitta l’ipotesi indipendentistica, ma anche perché toglie credibilità alla sua rappresentanza parlamentare nel UK. Ma in realtà ad essere ulteriormente indeboliti saranno Questo indebolisce anche i laburisti con cui lo SNP era da tempo alleato. Il referendum ha creato inoltre una spaccatura fra il Labour e gli strati operai che hanno prevalentemente votato per il SI e una parte di questi potrebbero optare per lo SNP. (nota 5)

Siamo certi che se il Si avesse prevalso quello della classe operaia scozzese e dei giovani sarebbe stato un brusco risveglio rispetto alla reale natura del NSP e del suo progetto indipendentista (l’unico obiettivo definito proposto da Salmond nella sua piattaforma era la detassazione per le imprese private che volessero investire in Scozia).
Ora c’è solo da sperare che coloro, fra i giovani e i lavoratori, che si sono avvicinati alla politica e all’organizzazione sperimentando per la prima volta l’impegno diretto, utilizzino questa esperienza per difendere i loro interessi di classe, che non sono quelli rappresentati dal Parlamento scozzese o dal Parlamento di Londra.

Nota 1 La Scozia è unita all’Inghilterra dal 1603, quando Giacomo I di Scozia (figlio di Maria Stuart), divenne re di Inghilterra alla morte di Elisabetta I. Si trattava però solo di una unione sotto lo stesso re. L’unione politica vera e propria avviene nel 1707 con l’ “atto di Unione”. Ma gli scozzesi restarono riottosi finché nel 1746, con la battaglia di Culloden, vennero definitivamente sconfitti e la loro cultura messa al bando. Nell’800 l’indipendentismo scozzese fu assai meno vivace di quello irlandese; in quella fase gli scozzesi delle classi alte parteciparono al saccheggio delle terre irlandesi, mentre gli irlandesi poveri andavano a cercare fortuna in Scozia, tanto che metà della popolazione di Glasgow ha antenati irlandesi, che costituirono il grosso del proletariato.
I primi vagiti dell’indipendentismo risalgono al 1970, poi si irrobustì fino a ottenere nel 1997 il primo referendum che portò alla formazione di un Parlamento indipendente (1998). Nel 2011 il partito nazionalista scozzese ha conquistato la maggioranza di questo Parlamento grazie al leader Alex Salmond, il promotore del referendum di oggi. La Scozia attuale oltre a un parlamento autonomo, ha anche un sistema giuridico indipendente, gestisce autonomamente la scuola e la sanità, ma non il sistema pensionistico, ne il sistema fiscale, I suoi cittadini hanno passaporto britannico

Nota 2 il SWP e il voto dei giovani
Anche il Socialist Worker Party, sottolinea questa propensione attiva dei giovani per l’indipendenza, sostenendo che il referendum ha mobilitato per la prima volta migliaia di giovani e questo movimento può cambiare la Scozia; i giovani sono usciti dall’apatia, perché hanno avuto l’impressione di poter cambiare qualcosa e fare la differenza (ecco perché l’alta percentuale di adesione al voto). Secondo il SWP il SI ha vinto dove più alta è la disoccupazione e la deprivazione sociale, dove è più forte la delusione verso i laburisti. Quindi il Labour ha salvato l’unità dello stato borghese, ma ha perso migliaia di sostenitori. Questi giovani hanno dato vita a una mobilitazione che non segue le chimere del nazionalismo scozzese, ma che vede nell’indipendenza la separazione da un imperialismo, dalle sue guerre (il Partito Nazionale Scozzese ha votato contro l’invasione irachena del 2003), dal prevalere dei grandi affaristi, quindi il voto giovanile è stato un voto di classe., contro il razzismo, l’oppressione, per una società migliore.

Nota 3 I secessionisti scozzesi hanno ribadito di voler continuare a fare parte della UE, ma La Commissione Europea custode dell’interpretazione dei Trattati aveva ribadito che qualsiasi regione europea che si proclamasse Stato sovrano dovrebbe ricominciare da capo l’iter di adesione all’Ue. In ogni caso il paese secessionista deve ottenere l’unanimità, basta un voto per non essere ammessi e per la Scozia avrebbero votato NO non tanto la Gran Bretagna, quanto i paesi europei che hanno questioni analoghe irrisolte al loro interno, dalla Spagna (Catalogna, Paese Basco, Canarie), all’Italia (la “Padania”), Cipro, Grecia, Romania, Belgio.

Nota 4 Il referendum scozzese ha avuto grande eco in Europa sia nella sinistra sia nei partiti che rappresentano tendenze separatiste. E’ interessante che su molti blog “di sinistra” italiani che simpatizzavano per il Si in Scozia, c’era poi l’evidente imbarazzo di dover spiegare perché l’indipendentismo scozzese aveva una sua dignità e quello padano no, visto l’entusiasmo dei leghisti per il Si (vedi lo slogan “adesso in Scozia, poi in Veneto”). In Europa hanno tifato per il SNP oltre alla Lega Italiana, anche Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), il Partito nazionalista Basco (PNV), il Bloque Nacionalista Gallego (BNG), la Coaliciòn Canaria (CC), il partito basco Amaiur. Spaccati i democratici Usa con Obama per il NO e i Clinton per il SI

Nota 5 Il voto ha avuto un seguito nei disordini a Glasgow: i sostenitori del SI ( che nella città infatti è prevalso) riuniti a Gorge Square sono stati aggrediti da unionisti armati di razzi, che cantavano “Rule Britannia”. Lo SNP ha ricevuto nel giorno successivo al voto 4000 richieste di adesione da parte di laburisti delusi.