AL DI LA’ DI QUELLA PORTA

Gli immigrati extracomunitari che arrivano nel nostro paese alla ricerca di una vita migliore fuggono da guerre, da disoccupazione, povertà, dalla mancanza di mezzi di sussistenza e da un’esistenza senza prospettive. In Italia trovano un’accoglienza ben poco congrua con il livello di sviluppo sociale che gli stessi malcapitati si aspetterebbero, un’”accoglienza” che si accanisce ferocemente su di loro. Per i nostri industriali e imprenditori agricoli gli stranieri immigrati sono una risorsa preziosa: manodopera a basso costo, estremamente flessibile e china ad ogni esigenza del capitale, facilmente ricattabile. In più è forza lavoro in concorrenza con i lavoratori italiani meno qualificati da usare per spingere al ribasso anche il valore di questi ultimi.

Pestare il suolo italiano senza permesso di soggiorno è un “reato amministrativo”; eppure chi lo fa è sottoposto ad un trattamento più bestiale di quanto sia riservato ad un detenuto in un carcere, per una serie di misure e condizioni degradanti, violente, arbitrarie che fiaccano qualsivoglia anelito di dignità e di ribellione.

Ma spesso non ci riescono: rivolte, fughe, atti di autolesionismo e suicidi sono il prodotto di un sistema di controllo e privazione della libertà personale che è visibilmente fallito nel suo scopo ufficiale di ridurre e combattere l’immigrazione clandestina ma è funzionale a terrorizzare le centinaia di migliaia di immigrati irregolari, per costringerli ad accettare le peggiori condizioni di sfruttamento, perché se alzano la testa e chiedono i loro diritti di persone e lavoratori possono essere rinchiusi in un CPR. Eppure i numeri in costante aumento di sbarchi e attraversamenti alle frontiere, pur minimi rispetto alla gridata ‘invasione’ e i ridotti rimpatri (il 70% sono tunisini) avrebbero dovuto far chiudere ben presto questo strumento di politica migratoria per tentare altre strade.

La prima tipologia di Centri di trattenimento per immigrati ‘irregolari’ viene istituita nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano e vengono denominati Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). Sotto responsabilità del prefetto e sorveglianza esterna delle Forze dell’Ordine, la gestione dei centri viene affidata con trattativa privata a cooperative, enti privati e financo multinazionali (ad es. la francese GEPSA), che con appalti al massimo ribasso hanno trovato un’enorme fonte di guadagno a fronte di un’offerta di servizi minima, insufficiente e lacunosa, di cui la relazione del NAGA (associazione milanese di sostegno legale e sanitario agli immigrati irregolari) che presentiamo qui dà vivida testimonianza.

Nel corso degli anni queste strutture assumono nomi diversi, godono di finanziamenti sempre più consistenti e inaspriscono le regole e le condizioni di vita al loro interno, a cominciare dal periodo massimo di trattenimento, che con la Turco-Napolitano è di 30 giorni (e si chiamano Centri di Permanenza Temporanea), con la Bossi-Fini (2002) raddoppia, con il governo Berlusconi arriva a 6 mesi e nel 2011 ad un anno e mezzo.

Dopo un breve periodo di minor accanimento sugli immigrati irregolari che aveva ridotto il numero dei centri sul territorio nazionale, e i tempi di detenzione, con la legge Minniti-Orlando si riaprono i centri chiusi e se ne istituiscono di nuovi. I CPT assomigliano sempre più a carceri di massima sicurezza. Il Decreto Sicurezza del ministro dell’Interno Salvini raddoppia a sei mesi il tempo di permanenza e nel 2020 il Decreto Lamorgese lo riporta a 90 giorni, estensibili di altri 30 giorni nel caso sussistano accordi sui rimpatri con paesi terzi (attualmente Tunisia, Nigeria e Costa d’Avorio).

Il Decreto Cutro e i successivi promulgati nel 2023 dal Governo Meloni portano il tempo di permanenza a 18 mesi, prevedendo un aumento del numero dei centri ad uno per regione (oggi sono 10 in tutto il territorio italiano). Nascono i CPRI per i richiedenti asilo provenienti da paesi ‘sicuri’. Il governo Meloni si distingue per l’estorsione di Stato che chiede ai migranti trattenuti nei centri 4938 euro come pegno per ottenere la libertà.

Il numero di detenuti aumenta di anno in anno. Nel 2022 sono transitati dai centri circa 6400 migranti, poco più di uno su 100 “clandestini”, dato che conferma il ruolo intimidatorio e terroristico di questa forma di repressione: gli altri 99 devono lavorare alle condizioni imposte dagli sfruttatori nei campi, nei ristoranti, nei cantieri; se alzano la testa ed emergono dall’oscurità, c’è il CPR.

Ma chi volesse ottenere dati realistici troverà ostacoli su ostacoli per l’ostruzionismo sistematico, il divieto di accesso alle strutture e di contatto con i detenuti. Già nel 2011 alla stampa non è stato più concesso entrare nei centri.

Anche per questo il lavoro del NAGA e di NO CPR, report annuale sul CPR di via Corelli a Milano, è prezioso e metodologicamente lodevole, la denuncia della barbarie razzista dei vari governi succedutisi, dal centro-sinistra alla destra, contro cui deve combattere ogni persona che abbia un senso di umanità prima ancora che di classe. Perché dietro all’oppressione razzista si nasconde sempre quella del capitale.

Invitiamo alla lettura:

“Il dossier AL DI LÀ DI QUELLA PORTA, Un anno di osservazione dal buco della serratura del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Milano, nasce dopo un anno di monitoraggio – a ostacoli – del CPR (Centro di Permanenza per il rimpatrio) di Milano, da parte del Naga e della Rete Mai più Lager – No ai CPR.

E’ stato un lavoro complesso e difficile perché osservare un CPR equivale a guardare un oggetto oscuro e allo stesso tempo invisibile e nascosto da alte mura pressoché impenetrabili dalla società civile e talvolta anche dalle persone addette ai lavori.

Dati, testimonianze, ricerche, cartelle cliniche, accessi agli atti, accessi civici generalizzati, sopralluoghi, verifiche, messaggi al centralino telefonico dedicato (“SOS CPR”) sono le fonti principali dell’indagine; il periodo di osservazione va da maggio 2022 a maggio 2023. Il Dossier descrive l’ostruzionismo opposto a qualsiasi tentativo di accesso sia fisico che virtuale al CPR e tutto quello che abbiamo potuto (intra)vedere: da fuori e da dentro.

Abbiamo indagato diversi ambiti dall’inizio alla fine del calvario delle persone trattenute: la visita di idoneità, l’accesso al CPR, i moduli abitativi, le condizioni di vita interne, l’informazione legale, la deportazione, il diritto alla salute nel CPR, i trattenimenti ripetuti, il tour dei CPR, gli atti di autolesionismo, le violenze, le morti, la gestione economica, il diritto di difesa e garanzie, il rispetto di quanto previsto dal progetto con il quale l’ente gestore ha vinto l’assegnazione del bando. Abbiamo riscontrato violazioni in tutti gli ambiti indagati.

Appena giunte nel CPR, le persone vengono sottoposte a una visita medica, spogliate nude e obbligate a fare flessioni per espellere eventuali oggetti dall’ano, alla presenza del personale medico e di agenti di Polizia. Questo rituale è preceduto dalle cosiddette visite di idoneità svolte da personale medico di ATS, descritte, dalle persone con cui abbiamo parlato, come svolte alla presenza di agenti di Polizia, limitate a un breve colloquio in cui hanno semplicemente dichiarato di stare bene in quel momento, in luoghi senza alcuna possibilità di eseguire eventuali esami diagnostici strumentali. La procedura di ingresso prevede l’attribuzione di un numero progressivo, numero che viene utilizzato nel CPR al posto del nome della persona attuando così un evidente processo di deumanizzazione.”

Continua a leggere:

https://naga.it/wp-content/uploads/2023/10/SINTESI_AL-DI-LA-DI-QUELLA-PORTA_DEF.pdf

Il report completo:

https://naga.it/wp-content/uploads/2023/10/AL-DI-LA-DI-QUELLA-PORTA_Digitale.pdf

Leave a Reply