Germania contro Cina (I/II)

Cina, Germania
Gfp     100902/22
Germania contro Cina (I/II)

– In Germania è in corso un dibattito sull’approccio verso la Cina, sempre più importante per la crescita dell’economia tedesca,

o   1. non solo come mercato per le merci tedesche,

o   2. ma anche per gli investimenti, che i gruppi tedeschi sono spinti a fare in Cina per combattere la crisi,

o   3. grazie ai quali gruppi concorrenti cinesi possono così accedere alla tecnologia tedesca.

o   4. La sua forte crescita economica conferisce a Pechino un forte peso politico.

●    Le differenti strategie in rapporto alla Cina non sono separabili dalla definizione delle relazioni transatlantiche (filo-cinesi versus filoamericani).

o   Gli Usa vedono minacciata la propria posizione in Asia Orientale dall’ascesa della Cina;

o   nel Congresso Usa di è creata un’alleanza anti-cinese trasversale ai due partiti (gli strateghi per contenere la Cina; gli attivisti per i diritti umani, trasformarla in democrazia; i sindacalisti difendere i posti di lavoro americani contro l’inondazione di merci cinesi … Giornali, saggi, libri annunciano il prossimo conflitto con la Cina.

– Seitz, ex ambasciatore tedesco a Pechino: La Germania potrebbe avvantaggiarsi se si tiene fuori dal conflitto tra Pechino e Washington; l’Europa che non ha ambizioni politiche in Asia, potrebbe dare un importante aiuto nella risoluzione del conflitto, accrescendo il proprio peso politico internazionale.

●    A fronte della continua forte crescita delle relazioni economiche tedesche con la Cina, autorevoli circoli economici e politici tedeschi sono per una relazione di cooperazione con Pechino.

– Tra i più autorevoli promotori di una strategia soft verso la Cina, gli ex cancellieri Helmut Schmidt e Gerhard Schröder: riserbo politico e “non ingerenza”;

o   Schmidt, sulla questione delle provocazioni sui diritti umani: come se potesse cambiare qualcosa e come se i cinesi temessero le dichiarazioni di Merkel, Blair, Chirac … da temere invece che ogni inasprimento nelle relazioni potrebbe suscitare in Cina pericolose reazioni nazionalistiche. Meglio essere comprensivi sulla questione tibetana, 3 milioni su 1,3 MD di cinesi; la maggioranza dei cinesi appoggia il governo sulla questione tibetana e riconosce l’enorme ascesa economica. Lasciamo alla concorrenza americana la parte anti-cinese; non essere arroganti …

– Importante per la Cina le buone relazioni in Germania con le future elite della Cina, gli studenti cinesi.

– Il Servizio Tedesco Scambi Accademici (DAAD) (creato durante il nazismo, nel 1935) assegna borse di studio a studenti cinesi, ed è direttamente attivo in Cina; ha trovato oltre 800 studenti in un giro di conferenze sugli studi in Germania in 10 istituti superiori rinomati della Cina; ha creato reti tra i cinesi in contatto con la Germania, organizzato altri 8 incontri tra studenti in diversi luoghi, il maggiore nel maggio 2009 a Urumqi, il centro della regione dello Xinjiang, dove è presente un movimento secessionista osservato dall’Occidente.

●    Per molti gruppi soprattutto dell’industria pesante, macchinari e auto, la Cina è un mercato, ma anche un sito di produzione da cui non si può prescindere:

o   nel 2010 saranno prodotte 1 milione di vetture dalla joint venture di Vw con il governo della città di Shanghai, ¼ più che a Wolfsburg;

o   fra 3 anni entreranno in produzione in Cina altre 4 nuove fabbriche Vw; sono stati investiti più di €6MD per lo sviluppo di 20 nuovi modelli per il mercato cinese;

o   la Cina il maggiore e più importante mercato del mondo, per il presidente CdA VW; entro il 2013 le fabbriche Vw cinesi produrranno 3 mn. di auto l’anno; già nel 2011 si prevede saranno vendute 2 mn. di auto VW, attestandosi come leader di mercato in Cina.

o   La Cina apre nuove possibilità di export a VW: nel 2010 oltre 60 000 auto di classe superiore;

o   Vw prevede l’aumento della domanda cinese: le fabbriche in Cina lavorano a pieno ritmo, oltre 300 giorni l’anno, anche la domenica;

o   In Europa, per non essere in svantaggio, VW ha imposto il divieto di esportazioni dei modelli cinesi, prodotti a costi molto minori.  

– Capofila dei media favorevoli ad un approccio più aggressivo il giornale Der Spiegel di recente ha titolato “I Rivali – Cina contro Germania”; è ora di imparare a dire di no, «porre fine all’abitudine di ingraziarsi i leader cinesi per fare affari, se l’economia tedesca non vuole essere estromessa e respinta   a un paio di mercati di nicchia nel nord Europa».

– Der Spiegel: il commercio con la Cina è il più importante propellente del miracolo congiunturale in corso per l’economia tedesca, che cresce con ritmi quasi asiatici;

o   in particolare i gruppi tedeschi approfittano del programma congiunturale dello Stato cinese (€400 MD);

– Ma, al contempo, aumenta la dipendenza dall’Estremo Oriente; l’industria cinese sta diventando un rivale pericoloso.  

o   L’industria cinese sta recuperando terreno, soprattutto nei settori della produzione di utensili, macchinari e impianti, settori  strategici per l’economia tedesca che le hanno finora garantito lo sbocco del grande mercato cinese.

– Inoltre: i gruppi tedeschi sono costretti a entrare in joint venture con gruppi cinesi, diversamente dagli altri paesi in cui possono operare come vogliono;

o   ad es., settore auto: VW, Daimler e BMW stanno costruendo nuove fabbriche in Cina, dove intendono almeno raddoppiare la loro produzione, ma devono farlo in joint venture con gruppi cinesi.

– La Cina è sempre più in grado di sviluppare alta tecnologia e di produrre, entrando in competizione anche nei settori di punta della Germania;

o   Der Spiegel parla di spionaggio industriale, peraltro non dimostrato, tramite un intero esercito di cinesi, sarebbero 800 000 spioni, la più grande rete informale di spie del mondo, operanti all’estero nel campo delle scienze e dell’economia, a volte in posti di dirigenza, hacker informatici etc.,

o   ogni studente cinese (in Germania sarebbero 27 000) che può andare all’estero è in debito verso il PCC.

o   «pesante delusione per Berlino, tanto più grave a fronte dei miliardi di investimenti tedeschi in Cina».

– es.: il Transrapido, il treno a sospensione magnetica, a lungo per la Germania modello di sviluppo costoso e senza significato, fino a che nel 2002 venne costruita una ferrovia di collegamento di 31km tra Shanghai e l’aeroporto di Pudong:

o   Il gruppo tedesco ThyssenKrupp sperò allora di rifornire la Cina della tecnica di sospensione magnetica, ma le commesse non sono ancora arrivate,

– anzi: tre anni fa’ imprese cinesi hanno presentato un loro treno a sospensione magnetica, al quale sono seguiti modelli potenziati, alcuni dei quali viaggiano a oltre 500 km/h (quello tedesco raggiunge solo i 400 km/h),

– e ad un costo inferiore del 30% rispetto alla tecnica tedesca.

Gfp      100902

Deutschland gegen China (I)

02.09.2010
BERLIN/BEIJING

–   (Eigener Bericht) – Mit Blick auf die zunehmende Bedeutung Chinas für das Wachstum der deutschen Wirtschaft debattieren die deutschen Eliten über den künftigen Umgang mit Beijing. Die weiterhin erstarkende chinesische Wirtschaft sei nicht nur ein reiner Wachstumsmarkt, an dem deutsche Unternehmen mit Gewinn partizipieren könnten, heißt es.

–   Zu beachten sei auch, dass deutsche Konzerne in ihrem Kampf gegen die Krise immer stärker unter Druck gerieten, in China zu investieren; dabei erhalte die chinesische Konkurrenz neuen Zugang zu deutschen Technologien.

–   Schließlich verschaffe der Wirtschaftsboom dem Rivalen Beijing auch ein erhebliches politisches Gewicht. Zu den Sprachrohren, die die Öffentlichkeit deswegen auf eine härtere Gangart gegenüber der Volksrepublik einstimmen, gehört das Nachrichtenmagazin "Der Spiegel", das schon vor Jahren mit dem Kampfbegriff "gelbe Spione" gegen in Deutschland lebende Chinesen agitierte. Letzte Woche plädierte die Zeitschrift per Aufmacher ("Die Rivalen – China gegen Deutschland") erneut für ein aggressiveres Vorgehen gegen Beijing. Über die unterschiedlichen Ansätze im deutschen Establishment, Strategien gegenüber China zu entwickeln, berichtet german-foreign-policy.com ab heute in loser Folge.

Kampf um die Weltmärkte

–   Zu den Sprachrohren, die die Öffentlichkeit schon seit Jahren auf eine härtere Gangart gegen China einstimmen, gehört das Hamburger Nachrichtenmagazin "Der Spiegel". Erst vergangene Woche widmete das Blatt der Agitation gegen die Volksrepublik erneut eine Titelstory ("Die Rivalen – China gegen Deutschland").

–   Wie die Zeitschrift schreibt, sei der Handel mit China zwar "der wichtigste Treibsatz für das aktuelle deutsche Konjunkturwunder"; zudem trügen "chinesische Unternehmen und Konsumenten dazu bei, dass Deutschlands Wirtschaft aktuell in nahezu fernöstlichen Dimensionen" wachse.

–   Auch vom staatlichen Konjunkturprogramm der Regierung in Beijing (Umfang: 400 Milliarden Euro) "profitierten deutsche Unternehmen besonders", räumt "Der Spiegel" ein.[1] Allerdings wachse gleichzeitig "die Abhängigkeit vom Fernostgeschäft"; außerdem entwickle sich "Pekings gelenkte Industrie (…) zum gefährlichen Rivalen". "Könnte es sein", fragt das Magazin, "dass sich die vermeintlich so lukrative China-Connection in ein paar Jahren als Pakt mit dem Teufel entpuppt?"

"Konkubinenwirtschaft"

–   Wie "Der Spiegel" berichtet, holt die chinesische Industrie vor allem in den für die deutsche Wirtschaft strategisch wichtigen Bereichen des Werkzeug-, Maschinen- und Anlagenbaus auf, die bislang deutschen Unternehmen auch in China große Absätze bescherten.

–   Zudem verweist das Blatt auf die in China unumgänglichen gemischt-nationalen Joint-Ventures, die seit je der deutschen Wirtschaft ein Dorn im Auge sind: Während deutsche Firmen in anderen Staaten in ihren Fabriken ganz nach Belieben operieren können, sind sie in der Volksrepublik strikt zur Zusammenarbeit mit chinesischen Partnern verpflichtet.

–   "VW, Daimler und BMW bauen neue Fabriken, wollen ihre Produktion in China mindestens verdoppeln" [2], schreibt "Der Spiegel"; doch es entstünden dabei in der Praxis "Fabriken von Gemeinschaftsunternehmen, an denen neben den deutschen Herstellern stets ein chinesisches Unternehmen Anteile hält." Das Blatt diffamiert die chinesische Beteiligung als "Konkubinenwirtschaft".

Der Fall Transrapid

–   Schließlich verweist das Nachrichtenmagazin auf die deutlich verbesserte Fähigkeit Chinas, selbst Hochtechnologie zu entwickeln und herzustellen – und damit in Konkurrenz auch zu deutschen Vorzeigebranchen zu treten.

o    Als Beispiel nennt das Blatt den Transrapid. Die deutsche Magnetschwebebahn galt lange als Paradebeispiel einer ebenso teuren wie sinnlosen Fehlentwicklung, bis sie in der Volksrepublik im Jahr 2002 auf einer 31 Kilometer langen Verbindungsstrecke zwischen Shanghai und dem vorgelagerten Flughafen Pudong errichtet wurde.

o    Schnell stiegen die Erwartungen des ThyssenKrupp-Konzerns, ganz China mit der Magnetschwebetechnik beliefern zu können. Weitergehende Verträge kamen allerdings bis heute nicht zustande. Wie "Der Spiegel" berichtet, präsentierten chinesische Firmen schon vor drei Jahren einen eigenen Magnetschwebezug, dem inzwischen weitere verbesserte Modelle folgten: "Einige sollen über 500 Stundenkilometer schnell sein (das deutsche Modell erreicht nur 400, d. Red.) und um mehr als 30 Prozent billiger sein als die deutsche Technik."[3] "Der Spiegel" spekuliert über angeblichen "Technologieklau", muss aber einräumen, über keinerlei Beweise dafür zu verfügen.

"Gelbe Spione"

–   Den gezielt gestreuten Verdacht, China betreibe "Technologieklau", nutzte "Der Spiegel" bereits 2007, um in Deutschland lebende Chinesen unter Generalverdacht zu stellen. "Die Gelben Spione – wie China deutsche Technologie ausspäht" hieß es damals auf dem Titelblatt.[4] Demnach sei ein "Spitzel-Heer" der Geheimdienste Chinas auf der Jagd nach deutschem Know-how, um die eigene Wirtschaft – nach einem angeblichen "Masterplan 863", "der die Aufholjagd befiehlt" [5] – bis zum Jahr 2020 auf den ersten Platz in der Weltwirtschaft zu hieven. Wie die Zeitschrift damals behauptete, seien angebliche Hackerangriffe chinesischer Geheimdienste auf die Bundesregierung "eine schwere Enttäuschung" für Berlin und träfen gerade angesichts deutscher Milliardeninvestitionen in China "umso härter". Beijing ziele darauf ab, behauptete "Der Spiegel", deutsche Fertigungstechniken komplett zu übernehmen.

Studenten als "Waffe"

–   Dabei verfüge China, hieß es weiter, über eine besondere "Waffe", die sich von der üblichen "traditionellen Wirtschaftsspionage, wie Russen und Amerikaner sie betreiben", unterscheide: "Das Heer der Chinesen im Ausland, die in Wissenschaft und Wirtschaft arbeiten, zum Teil in leitender Stellung". Dem Nachrichtenmagazin zufolge könnten "Chinas Dienste (…) auf das größte informelle Spionagenetz der Welt zurückgreifen: 800.000 Spitzel."[6]

–   Der angebliche Grund: "Jeder Student, der ins Ausland gehen darf, steht in der Schuld der Partei". Die "gelbe Gefahr" – "Der Spiegel" verwies insbesondere auf die rund 27.000 chinesischen Studenten in Deutschland – komme ganz harmlos daher: "Neugierig, eifrig, vielseitig interessiert auch in deutschen Hochschulen und Forschungsinstituten arbeiten Tausende Chinesen, die mit diesen Eigenschaften perfekte Forscher oder perfekte Spione sein könnten – vielleicht auch beides."

Am Wendepunkt

–   Aktuell fordert "Der Spiegel", der 2007 mit seinem rassistisch begründeten Generalverdacht den Boden für künftige antichinesische Kampagnen bereitete, ein Umdenken in den deutschen Wirtschaftsetagen: "30 Jahre nach Beginn der chinesischen Reformpolitik" stehe "das deutsche China-Engagement an einem Wendepunkt".[7]

–   Die Praxis, sich der Führung in Beijing um guter Geschäfte willen anzubiedern ("Panda-Schmuser"), müsse ein Ende finden, wenn die deutsche Wirtschaft nicht ausgebootet und "auf ein paar Nischenmärkte in Nordeuropa" zurückgedrängt werden wolle.

–   "Künftig stehen die Deutschen in China vor einer ganz neuen Herausforderung", erklärt "Der Spiegel": "Sie müssen lernen, schon aus Eigeninteresse auch mal Nein zu sagen." Ohne einen näheren Kommentar druckt das Blatt ein Zitat aus der "Hunnenrede" Kaiser Wilhelms des Zweiten ab, mit der dieser im Jahr 1900 ein deutsches Expeditionskorps zum Kolonialkrieg nach China entsandte: "Kein Chinese soll es mehr wagen, einen Deutschen auch nur scheel anzusehen".

Kein Konsens

In Wirtschaftskreisen trifft die Forderung, offensiver gegen China vorzugehen, oft nicht auf Zustimmung. "Wir können auf diesen riesigen Wachstumsmarkt entweder verzichten, oder wir unterwerfen uns den chinesischen Bedingungen", zitiert selbst "Der Spiegel" einen nicht näher bezeichneten deutschen "Autoboss".[8] Über abweichende Vorstellungenin solchen Kreisen von einer deutschen China-Strategie berichtet german-foreign-policy.com in den kommenden Wochen in loser Folge.

[1], [2], [3] Geliebter Feind; Der Spiegel 34/2010

[4] Der Spiegel 35/2007

[5], [6], [7], [8] Prinzip Sandkorn; Der Spiegel 35/2007

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Gfp      100922

Deutschland gegen China (II)

22.09.2010
BERLIN/BEIJING

–   (Eigener Bericht) – Mit Blick auf das anhaltend boomende deutsche Chinageschäft plädieren maßgebliche Kreise aus der deutschen Wirtschaft und Politik für einen kooperativeren Umgang mit Beijing. Angesichts neuer Großprojekte wie etwa des neuen VW-Werkes in Shanghai, das das Wolfsburger Stammwerk als größte Autofabrik der Welt ablöst, müsse man stärkere Rücksicht auf die Belange der Volksrepublik nehmen, heißt es in Berlin.

–   Maßgebliche Befürworter einer sanfteren Chinastrategie sind unter anderem die Altkanzler Helmut Schmidt und Gerhard Schröder, die das Prinzip der "Nichteinmischung" gegenüber Beijing in den Vordergrund stellen, um deutsche Wirtschaftsinteressen nicht zu gefährden.

–   german-foreign-policy.com setzt seine Serie über die deutschen China-Strategien mit einem Beitrag über deren sich kooperativer gebende Variante fort, die zu Konzepten, die stärker auf Konfrontation setzen, in Widerspruch steht – und wegen des teilweise erheblichen Einflusses ihrer Vertreter von den jeweiligen Bundesregierungen berücksichtigt werden muss [che devono esere tenuti presenti dai vari governi di Berlino a causa della loro a volte forte influenza].

●    Die unterschiedlichen China-Strategien sind nicht von der Ausgestaltung der transatlantischen Beziehungen zu lösen.

Die größte Autofabrik der Welt

–   Für viele deutsche Unternehmen insbesondere der Schwer-, Maschinenbau- und Automobilindustrie führt an der Volksrepublik China als Absatzmarkt und auch als Produktionsstandort kein Weg mehr vorbei.

–   So hat Wolfsburg, bislang Standort der größten Automobilfabrik der Welt, diesen Rang unlängst an die chinesische Stadt Shanghai abtreten müssen: Zwar verbleibt der Rekord im Volkswagenkonzern, wird nun aber auf chinesischem Territorium erzielt.

o    Eine Million PKW sollen im Jahr 2010 im Joint-Venture von VW mit der Stadtregierung Shanghai vom Band laufen, ein Viertel mehr als in Wolfsburg. Innerhalb von drei Jahren sollen vier neue VW-Standorte in China in Betrieb gehen; mehr als sechs Milliarden Euro werden in die Entwicklung von 20 neuen Modellen für den chinesischen Markt investiert. Für VW-Vorstandschef Winterkorn ist "China inzwischen der größte und wichtigste Absatzmarkt der Welt", bis 2013 sollen von den chinesischen VW-Dependancen jährlich drei Millionen Autos produziert werden. Bereits für 2011 geht der Konzern davon aus, zwei Millionen Autos abzusetzen und damit die Position als Marktführer in China zu behaupten.[1]

Zu billig

–   Zusätzlich eröffnet China dem VW-Konzern neue Ausfuhrchancen. Volkswagen exportiert mit wachsendem Erfolg nach China: "Mehr als 60.000 VW-Premiumfahrzeuge" werden im Jahr 2010 "aus Deutschland nach China importiert", berichtet Winfried Vahrland, Leiter des VW-China-Geschäftes. Insbesondere der in Deutschland gefloppte Oberklassewagen Phaeton soll nun in China reüssieren; die Premierenfeier des überarbeiteten Modells erfolgt direkt in der Volksrepublik.

–   VW spekuliert weiterhin auf wachsende chinesische Nachfrage: Die Fabriken in China laufen unter Volllast, an über 300 Tagen im Jahr – "selbst an Sonntagen wird gearbeitet".[2] Schwierigkeiten gibt es allenfalls mit Europa: Um gegenüber den viel günstiger produzierten chinesischen VW nicht auf dem Heimatmarkt ins Hintertreffen zu geraten, hat die Wolfsburger Konzernzentrale ein Ausfuhrverbot für chinesische Modelle verhängt.

"Einmischung ist von Übel"

–   Um das hochprofitable Chinageschäft nicht zu gefährden, plädieren einflussreiche Kreise für eine kooperative Haltung gegenüber Beijing. Insbesondere die Altkanzler Helmut Schmidt und Gerhard Schröder fordern von Berlin politische Zurückhaltung und "Nichteinmischung" und erklären, Einmischung sei "von Übel".

–   Schmidt etwa urteilt über die provozierende Behandlung der "Menschenrechtsfrage" durch westliche Politiker: "Als ob das irgendetwas ändern würde und als ob die Chinesen ehrfurchtsvoll den Blick senken, weil Frau Merkel, Herr Blair oder Herr Chirac gesagt haben, die Chinesen sollten sich besser an unsere Wertvorstellungen halten."[3] Hintergrund ist die Furcht vor für Deutschland nachteiligen Reaktionen aus Beijing: "Jede weitere Zuspitzung" könnte, warnt Schmidt, "in China einen extremen und gefährlichen Nationalismus hervorbringen".[4]

Standbein in China

–   Die deutsche "Menschenrechtspolitik" gegenüber China, die vor allem in der Förderung separatistischer Milieus einzelner nationaler Minoritäten besteht, ist entsprechend umstritten. Dass China mit seinen "1.300 Millionen Einwohnern" kaum über "die drei Millionen Einwohner Tibets" [5] in den Griff zu bekommen sein werde, mahnen vor allem auf engere Beziehungen setzende Kräfte in Deutschland an. "Die westliche Welt (einschließlich einiger deutscher Provinz-Politiker) muss wissen", erklärt Helmut Schmidt: "Bei aller Kritik, die viele Chinesen an der kommunistischen Führung äußern, die ganz große Mehrheit der Chinesen anerkennt den enormen wirtschaftlichen Aufstieg und steht zugleich in der Tibetfrage eindeutig hinter ihrer Regierung." Anstatt die große Mehrheit der Chinesen, die zuvörderst ihre nationale Unabhängigkeit und Integrität schützen wollen, bewusst durch die Unterstützung des tibetischen Separatismus zu verärgern [6], rät Schmidt dazu, verständnisvoller aufzutreten und den antichinesischen Part der US-Konkurrenz zu überlassen: "Man muss schon Amerikaner sein, um sich einzubilden, alles müsste nach amerikanischem Muster vonstatten gehen." Deutschland hingegen solle mit "Verzicht auf Überheblichkeit und herablassende moralische und politische Belehrungen" ein besseres Beispiel abgeben.[7]

Wandel durch Austausch

–   Von besonderer Bedeutung ist für die China gegenüber kooperativeren Segmente in Berlin die Herstellung guter Beziehungen zur künftigen Elite Chinas – zu chinesischen Studenten. Der Deutsche Akademische Austausch Dienst (DAAD), der seine China-Tätigkeit in die Tradition des ersten Austauschprogramms zwischen der damaligen Republik China und NS-Deutschland aus dem Jahr 1935 stellt [8], vergibt nicht nur Stipendien an chinesische Studenten in Deutschland, sondern entfaltet auch in China selbst rege Aktivitäten.

o    Als Teil der Kampagne "Studieren in Deutschland – Land der Ideen" konnte der DAAD beispielsweise "an zehn renommierten Hochschulen (…) über 800 Studierende in einer Vortragsreihe zum Studienstandort Deutschland erreichen".[9] Auch über das Studium hinaus versucht der DAAD (Motto: "Wandel durch Austausch"), unter Chinesen mit Deutschland-Kontakt Netzwerke zu bilden: "Die Außenstelle (Beijing) veranstaltete 2009 zur Verdichtung des Alumni-Netzwerks weitere acht Alumni-Treffen in unterschiedlichen Orten Chinas. Das größte dieser Treffen fand im Mai 2009 in Urumqi statt, bei dem 120 Alumni zusammenkamen und die Gelegenheit nutzten, um eine lokale Alumni-Gruppe zu gründen." Urumqi ist die Zentrale der westchinesischen Region Xinjiang, in der vom Westen mit großer Aufmerksamkeit beobachtete Sezessionisten aktiv sind.[10]

Deutsche Widersprüche

–   Für die Arbeit des DAAD ist rassistische Hetze gegen China, wie sie etwa die Zeitschrift "Der Spiegel" immer wieder befeuert (german-foreign-policy.com berichtete [11], von Nachteil. So vermerkt die DAAD-Außenstelle Beijing, "immer wieder" stünden "die deutschen Medien und deren angeblich einseitig negative Berichterstattung über China im Mittelpunkt der chinesischen Kritik": "Nach wie vor fühlt sich China in den deutschen (und auch anderen westlichen) Medien zu Unrecht an den Pranger gestellt". In der Tat gebe es in Deutschland "viele unsachliche und tatsächlich einseitige" Berichte über die Volksrepublik.[12] "Dadurch wird eine nationalistische Stimmung erzeugt,die mit zum Teil scharfer Kritik an Deutschland und anderen westlichen Ländern versucht, kritische Stimmen von außen und westliche Medien in China zu diskreditieren." Der DAAD konstatierte jüngst mit Bedauern einen Rückgang chinesischer Bewerbungen um ein deutsches Stipendium.

(K)ein neuer China-Kurs

–   Im Berliner Establishment stehen diejenigen Kräfte, die auf ökonomische Kooperation plus politische Rücksichtnahme setzen, auf absehbare Zeit aggressiveren Spektren gegenüber, die auf größeren politischen Druck gegenüber der Volksrepublik setzen. Letztere sind dabei, wie der ehemalige deutsche Botschafter in Beijing Konrad Seitz erkennen lässt, gewöhnlich mit transatlantischen Milieus verbunden: "Amerika sieht sich von dem aufsteigenden China in seiner Stellung in Ostasien bedroht. In der Tat verlangt China dort freie Hand für sich. (…)

–   Im US-Kongress hat sich eine antichinesische Allianz quer über beide Parteien hin geformt: Die Strategen wollen China eindämmen, die Menschenrechtler wollen es in eine Demokratie verwandeln, die Gewerkschafter wollen amerikanische Arbeitsplätze gegen die chinesische Importflut verteidigen. Zeitungsartikel, Aufsätze und Bücher verkünden den kommenden Konflikt mit China".[13]

–   Wie Seitz, selbst einem kooperativen Umgang zugeneigt, erklärt, könne Deutschland am meisten profitieren, wenn es sich aus dem Konflikt zwischen Beijing und Washington heraushalte: "Europa, das selber keine politischen Ambitionen in Asien" habe, könne bei der Lösung des Konfliktes "wichtige Hilfestellung leisten" – und damit die eigene Rolle weltpolitisch aufwerten.

Bitte lesen Sie auch Deutschland gegen China (I).

[1], [2] VW in China, die größte Automobilfabrik der Welt; Frankfurter Allgemeine Zeitung 17.06.2010

[3] Interview mit Helmut Schmidt; Die Zeit 26.09.2006

[4], [5] Helmut Schmidt: Tibet als Prüfstein; Die Zeit 15.05.2008

[6] s. dazu Schwächungsstrategien (I), Die Fackellauf-Kampagne und Bündnis gegen Beijing

[7] Helmut Schmidt: Menschenrechte in China? Nicht mien Bier! Die Welt 12.06.2008

[8] DAAD-Magazin "China"; www.daad-magazin.de

[9] Bericht der DAAD-Außenstelle Peking; www.daad.de/berichte/Peking.pdf

[10] s. dazu Schwächungsstrategien (IV) und Die Zukunft Ost-Turkestans

[11] s. dazu Deutschland gegen China (I)

[12] Bericht der DAAD-Außenstelle Peking; www.daad.de/berichte/Peking.pdf

[13] Konrad Seitz: China. Eine Weltmacht kehrt zurück, München 2006

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