«Islam e democrazia, le elezioni non bastano»

Amato: amare sorprese se si vota dove non sono radicate la libertà e la
pace
Hamas inserito tra i gruppi terroristici, la sua vittoria favorita da
troppi errori


Le colpe della vittoria di Hamas sono ben distribuite:
ISRAELE ha esasperato la popolazione palestinese con l’occupazione, l’ANP non
ha preparato i servizi necessari a uno stato nonostante i cospicui
finanziamenti, EUROPA e USA hanno favorito l’una l’ANP, gli altri ISRAELE,
senza premere perché cambiassero condotta.

La democrazia non è fatta solo di elezioni, ma anche di
garanzie per le minoranze e le libertà fondamentali e scelta della pace al
posto della violenza.

N.d.R.:
Emerge l’aspirazione intellettuale per una “democrazia ideale”, ma soprattutto
la concezione della democrazia come strumento di controllo delle masse e non
come principio di autogoverno, valido solo finché dà i risultati desiderati.
Presidente Amato, dalla Palestina non giungono buone
notizie.
«No. Si allunga la lista dei Paesi in cui le elezioni, ritenute il
fulcro della democrazia, portano al potere gruppi che democratici non sono,
hanno usato violenza o si dichiarano pronti a usarla. Questa tendenza cominciò
all’inizio del ciclo storico che stiamo vivendo, con il rinvio delle elezioni
algerine
cui seguì il colpo di Stato e la guerra civile. L’Egitto è
stato ed è in ebollizione
, a ogni voto cresce un movimento di cui si teme
l’ascesa al potere, quello dei Fratelli musulmani. Per molti è stato
una sorpresa l’esito delle elezioni iraniane
: si era consapevoli che il
riformismo di Khatami fosse ormai debole, ma si credeva nel successo di una
figura più collaudata e ritenuta più affidabile come Rafsanjani. E ora in
Palestina vince un movimento inserito fin dal 2003 nella lista dei gruppi
terroristici. È giusto chiedersi: che cos’è che non va? Dobbiamo concludere
che ci sono Paesi poco adatti alla democrazia? O dobbiamo piuttosto chiederci,
e chiedere ai nostri amici americani, che cosa intendiamo per democrazia?».
Lei che cosa intende?
«Un grande orientale come Amartya Sen ha messo in dubbio che la democrazia
coincida con un processo elettorale
. Credo abbia ragione. Dovremmo saperlo
bene, visto che ce lo ha ripetuto più volte Norberto Bobbio. Una democrazia
si identifica certo con un sistema elettivo dei dirigenti e con il principio di
maggioranza, ma anche con le garanzie delle minoranze, il radicamento delle
libertà fondamentali e il rispetto della persona, che implica la scelta della
pace in luogo della violenza. Esistono quindi requisiti sostanziali e non solo
processuali
. Noi, che vorremmo che la democrazia prendesse piede ovunque,
dobbiamo chiederci se facciamo abbastanza per garantirne i fondamenti;
altrimenti se ha senso, quando dipende da noi, far avanzare le procedure
elettorali in mancanza delle altre condizioni. Perché in tal caso andremmo incontro
ad altre amare sorprese».
Sta dicendo che, piuttosto che votare in certe condizioni e con certi
risultati, è meglio non votare?
«Lo dico consapevolmente. Spesso è anche una nostra responsabilità
fare il possibile perché esistano le condizioni necessarie. Nel caso
palestinese, il risultato di oggi è stato favorito più che prevenuto».
Favorito?
«I nodi vengono sempre al pettine. La politica d’Israele in tutti questi
anni, pur fortemente motivata dalla difesa della propria sopravvivenza, è
spesso andata oltre il segno
, con dure rappresaglie mai sufficientemente
mirate che hanno portato alla morte di civili e di bambini. Tutto questo lascia
un segno terribile in una popolazione debole e sottoposta a continui choc. Poi
c’è stata la costruzione del muro. A Sharon va giustamente ogni riconoscimento
per aver cominciato a sgomberare i Territori. Ma quanti ettari quadrati dei
Territori sono stati occupati con l’incentivo del governo? E allora cento
ettari occupati pesano più di un ettaro disoccupato».
Tutta colpa di Israele?
«No. L’Autorità palestinese non è stata capace di farsi percepire come
effettiva autorità di governo. Hamas, cui non sono mancate le risorse
finanziarie, ha fornito i servizi che l’Autorità non forniva. Ce ne siamo
preoccupati abbastanza? E ci siamo preoccupati della sorte dei denari che noi
europei abbiamo versato ai palestinesi? Una parte è servita a finanziare un
sistema educativo in cui circola una letteratura pesantemente antiebraica
,
non diversa da quella della Germania anni 30. Questo ci conduce a ripensare
alla figura di Arafat e alla sua ambiguità
. Forse era inevitabile che
l’eroe della guerra non potesse essere l’eroe della pace. Resta il fatto che sotto
di lui sono cresciuti per anni Fatah e Hamas, la mano destra e la mano sinistra
di una Palestina che ha condannato se stessa a dover scegliere tra l’una e
l’altra».
La sinistra italiana non ha forse le sue responsabilità?
«La sinistra italiana ha avuto un rapporto molto stretto con i palestinesi,
anche se certo non da sola: penso in particolare alla Spagna e alla Francia. La
realtà è che l’Europa, più vicina ai palestinesi, e gli Stati Uniti, più vicini
a Israele, non hanno esercitato da un lato e dall’altro l’influenza che
avrebbero dovuto
. Spesso Washington è stata condizionata dalla lobby
ebraica americana più di quanto accadesse nella direzione inversa
: più che
influire su Israele, gli Usa erano influenzati dalle posizioni più estreme
presenti in Israele. Questo non è accaduto con Clinton ma con altre
amministrazioni, compresa questa. Mentre l’Europa finanziava Arafat, che non
organizzava l’Autorità ma ha continuato a usare il contante sino alla sua
morte; per non insistere sulla letteratura antiebraica».
Che cosa accadrà ora? Come deve muoversi l’Europa?
«Già due anni fa una commissione, di cui facevano parte occidentali
illustri come Felipe Gonzalez, auspicava l’ingresso di Hamas nel circuito
democratico. Non sarebbe la prima volta che un movimento armato si purifica
nella democrazia. Sta accadendo agli albanesi in Macedonia, ad esempio».
In Iran la democrazia ha portato al potere un estremista antisemita.
«In Iran, di fronte a un regime già stabilito, era molto meno quello
che potevamo fare. Ma la lezione resta la medesima: c’è un limite
inesorabile alla procedura elettorale
, il che vale anche per un Paese come
l’Iran, che pure ha una élite crescente democratica e filoccidentale. Ma l’estremismo,
che a quanto mi risulta è minoritario tra gli stessi religiosi, fa leva sulle
masse meno preparate dell’elettorato».
Si parla di sanzioni.
«Non credo nello strumento delle sanzioni: hanno sempre rafforzato anziché
indebolire le dittature. Sono fautore di una tesi diversa: noi da tempo avremmo
dovuto offrire all’Iran quegli investimenti stranieri di cui ha bisogno,
condizionandoli come minimo alla chiarezza sul nucleare. Un bastone sotto forma
di ritiro di una grossa carota».
Anche in Iraq si è votato, dopo l’intervento americano. Qualcuno ne ha
visto una conseguenza anche nella riscossa antisiriana del Libano.
«Questo sarebbe accaduto comunque. Il Libano è un Paese
particolarmente evoluto, e i libanesi si sarebbero ribellati in ogni caso al
dominio siriano. Quanto all’Iraq, l’intervento americano fu un errore anche
perché mancò la previsione degli effetti
. Forse è troppo dire che gli
americani si aspettavano di essere accolti come a Roma nel giugno del ’44.
Certo si aspettavano che, rimosso il dittatore, le elezioni avrebbero risolto
il problema. Ma lo dovevano sapere che i sunniti, i quali avevano governato
l’Iraq da soli e per di più attraverso una dittatura, sarebbero divenuti una
minoranza che gli sciiti avrebbero escluso».
A sinistra è in corso un dibattito sulla dottrina dell’esportazione della
democrazia
. Già un anno fa al congresso Ds D’Alema spiegava di preferirla
all’appoggio alle dittature militari, come negli anni 70.

«Questo è giusto. Il paradosso è che sia stata l’amministrazione Bush a farcelo
ricordare. Ma l’autodeterminazione dei popoli è da sempre un tema caro alla
sinistra
; penso a una personalità come Lelio Basso e al suo tribunale
Russell. Un conto però è sostenere l’autodeterminazione dei popoli, un altro
imporla dall’esterno con un intervento militare
. Questo non ci deve
impedire di riconoscere che noi tutti abbiamo sonnecchiato a lungo, mentre
perduravano regimi autoritari sotto cui soffiava la crescita dei fratelli
musulmani e di altri estremisti. Il lavoro che persone come Emma Bonino
facevano, e suggerivano di fare, andava e va preso molto sul serio».

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