La Catalogna sempre più autonoma

ALESSANDRO OPPES

Barcellona, successo nonostante la bassa affluenza alle
urne (meno del 50 per cento). Più poteri locali su tasse, lingua, giustizia e
scuole

Trionfo del sì al referendum
sul nuovo statuto della regione più ricca di Spagna

MADRID – Una travolgente vittoria del «sì», con
quasi il 75 per cento dei consensi, anche se la partecipazione al voto non è
stata massiccia, mantenendosi al di sotto del 50 per cento. I catalani hanno
approvato, dopo 27 anni, un nuovo statuto autonomistico che amplia notevolmente
le competenze regionali e apre le porte a importanti cambiamenti politici. Un
testo che riconosce la Catalogna come una «nazione», che concede alle autorità
locali la gestione delle imposte pagate dai cittadini, che dà alla lingua
catalana il carattere di idioma ufficiale, che fornisce al sistema giudiziario
regionale totale indipendenza rispetto allo Stato spagnolo
. Il referendum è
l´atto conclusivo di un lungo e accesissimo dibattito cominciato due anni fa,
culminato con l´approvazione a larghissima maggioranza di un testo da parte del
Parlamento di Barcellona, poi abbondantemente emendato dalle Cortes di Madrid
perché considerato in più punti incostituzionale. Lo statuto che entra in
vigore è così il risultato di un compromesso promosso dai socialisti per
conciliare le esigenze del governo centrale con le aspirazioni dell´autonomismo
locale: uno sforzo negoziale che, alla fine, ha raccolto i consensi
entusiastici dei nazionalisti di Convergencia i Unió (attualmente
all´opposizione dopo i 23 anni passati alla guida della Generalitat catalana
con Jordi Pujol) mentre è stato bocciato in maniera inappellabile dagli
indipendentisti di Esquerra Republicana, che lo hanno considerato un
pastrocchio indigeribile che tradiva le aspettative di una svolta radicale
.
La diretta conseguenza di questa presa di posizione è stata l´espulsione di
Esquerra dalla coalizione tripartita di sinistra che – insieme a socialisti e
verdi – governava la Catalogna.
La scelta degli indipendentisti per il «no» ha creato non pochi imbarazzi
tra parecchi militanti del movimento
, incapaci di comprendere come il loro
voto potesse coincidere con quello, ideologicamente e politicamente opposto,
del Partito Popolare, che ha sempre visto lo statuto catalano come uno
spauracchio, una minaccia incombente sull´unità dello Stato spagnolo. Il
magro risultato del «no» viene letto soprattutto come una cocente sconfitta dei
popolari e del loro progetto di frenare a ogni costo le spinte autonomistiche
delle regioni spagnole.
Ma anche Esquerra Republicana esce indebolita dall´esperienza referendaria. E
questo potrebbe indurre i socialisti, che governano a Barcellona sotto la
leadership di Pasqual Maragall, a ripensare alla possibilità di ricostituire
un´alleanza di sinistra
, nella quale potrebbero avere un ruolo nettamente
preponderante rispetto agli indipendentisti.
Ma questo è solo lo scenario attuale, che si potrebbe modificare presto con la
prossima campagna elettorale: Maragall si prepara a convocare elezioni
anticipate che si svolgeranno entro l´autunno. Un appuntamento per il momento
carico di incertezze. I nazionalisti di Artur Mas, l´erede politico di Pujol,
in perfetta sintonia con il Psoe sul tema dello statuto, si propongono come
nuovo alleato di governo (sia a Barcellona che a Madrid, dove in più occasioni
hanno già garantito a Zapatero un appoggio decisivo su importanti provvedimenti
legislativi).
L´alleanza darebbe stabilità alla coalizione regionale e al governo centrale, e
servirebbe a zittire chi per anni aveva dipinto Esquerra Republicana come un
socio inaffidabile e troppo lontano da una cultura di governo moderata. Ma un
altro punto ancora nebuloso della prossima consultazione elettorale è il nome
del candidato alla presidenza per i socialisti: è all´ordine del giorno la
possibilità che Pasqual Maragall, dopo una lunghissima carriera politica e una
popolarità andata alle stelle negli anni in cui era sindaco di Barcellona –
soprattutto quando la città organizzò i Giochi Olimpici – potrebbe essere
costretto a farsi da parte e sostituito da José Montilla, attuale ministro
dell´Industria nel governo di Madrid.

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