La nuova questione tedesca (I/II/III)

Germania, rapporti di potenza, Ue
Gfp     101102/03/04

La nuova questione tedesca (I/II/III)

●    Da un documento della Think tank European Council on Foreign Relations (ECFR), di Berlino: a Berlino si starebbe affermando l’idea che la Germania non ha più bisogno dell’Europa, che possa avanzare più velocemente e meglio da sola che non nel quadro UE.

o   ECFR afferma che per tutte le future questioni strategiche della politica europea internazionale la Germania ha un ruolo chiave, nulla può essere fatto senza, e tanto meno contro di essa.

o   Le elite industriali tedesche starebbero già da tempo guardando oltre l’Europa, ancora utile come base per le strategie di mercato globali a fronte delle potenze emergenti come Cina, India e Brasile; gli industriali considerano “improduttivi” gli alleati europei, causa di emorragie finanziarie per il bilancio statale tedesco,

– (GFP) senza tuttavia menzionare i vantaggi quasi parassitari che l’export tedesco trae nel mercato interno europeo dalla debolezza di questi paesi europei.

o   Al di là della retorica ufficiale da parte tedesca, starebbe perdendo peso lo schema di politica estera, perseguito dal 1949, dell’integrazione europea.

o   Perdono forza le relazioni transatlantiche, con gli Usa che starebbero ripiegando dall’Europa;

o   osservatori Usa (George Friedman sulla Think tank Stratfor) non escludono il crollo della UE a causa della volontà di potenza tedesca (“la crisi ha confermato che la Germania è il centro di gravitazione dell’Europa” … la Germania è “l’unico paese in Europa in grado di formare coalizioni alternative, potenti e vincolanti”), e il risultato più plausibile dell’uscita dalla UE sarebbe un’alleanza russo-tedesca, economica ma anche militare, un’alternativa storica;

o   i due paesi sono complementari, la Germania necessita di petrolio e gas, la Russia di tecnologia e capitali; a questo lavorano da tempo nel quadro della cosiddetta “Alleanza per la modernizzazione”.

o   Si può assumere che euro e Ue superino la crisi in corso, ma non potranno evitare future crisi, e Bruxelles non dispone di istituzioni in grado di gestirle; difficile pensare ad una veloce ulteriore integrazione delle istituzioni Ue, è più facile prevedere che la UE si trasformi in una debole coalizione.

o   «Per giungere alla formazione di un superstato si impone una delle due: o una guerra per decidere chi comanda, o un accordo politico per elaborare un contratto. … L’Europa evidenzia forti carenze per entrambe le strategie».

o   Data maggiore potenza economica ma anche politica tedesca rispetto alla Francia, per la Germania non sarebbe importante come nel passato legarsi Parigi con il suo potenziale politico-militare.

– In breve, si stanno dissolvendo i due ordinamenti interdipendenti (l’Europa di Maastricht, e quello transatlantico di Jalta) che hanno caratterizzato il XX secolo;

o   fulcro di queste trasformazioni è la aumentata potenza della Germania dal 1990;

o   sui media francesi (Les Echos), britannici (Financial Times, The Economist) ed americani (The New York Times) in particolare si parla di una “nuova questione tedesca” per il 21° secolo, ci si chiede se si debba temere un nuovo nazionalismo tedesco.

o   Per il NYT la crisi ha creato “una nuova gerarchia”, si ha “la forte sensazione di una presunzione tedesca, molto difficile da sopportare, secondo un esperto del ISS.

o   La Germania non ha concorrenti per i suoi rapporti commerciali con potenze emergenti come la Cina, metà delle esportazioni UE in Cina proverrebbero dalla Germania.

o   La Germania può aspirare a posti di prestigio nelle istituzioni UE, come quello di segretario generale del consiglio Ue (ricoperto dal consigliere della Merkel Uwe Corsepius; il capo della Bundesbank, Axel Weber, è il candidato favorito per la presidenza BCE.

– La “autocoscienza europea” della Germania sarebbe in fase di disgregazione già dal tempo della ‘politica di normalizzazione’ del cancelliere Schröder.

o   Nel quarantennio dopo la Seconda guerra mondiale (1949-89) la Germania ha perseguito l’integrazione europea; la sua “generosità finanziaria” è stata ripagata con una “crescita di potenza europea”; la Germania di Bonn è riuscita a conformare il sistema europeo secondo le proprie concezioni socio-economiche e giuridiche, vedi mercato interno e moneta comune, divenendo infine il principale pilastro della Ue.

o   Ora si stanno manifestando con chiarezza le modificazioni avvenute negli ultimi venti anni: divenuta più forte, la Germania sostiene più apertamente nella UE i propri interessi;

o   gli altri paesi Ue l’accusano di agire in modo individuale o di imporre sempre più il proprio diktat dalla crisi di primavera dell’euro (ad es. in occasione della recente introduzione di un meccanismo di crisi per l’area euro concordato con la Francia, cfr. scheda specifica su sito PM).

– Data la portata internazionale delle trasformazioni in corso, per ampliarne il dibattito la Think tank ECFR ha dato il via ad un programma “la Germania in Europa”; ECFR accusa i media tedeschi di “autismo”, occupandosi solo di questioni riguardanti Berlino.

– ECFR: per salvare la UE occorre un “nuovo realismo europeo”:

o   Berlino deve valutare quale vantaggio possa trarre dall’Europa, e cosa l’Europa costi;

o   deve decidere se andare da sola, uscendo dall’integrazione europea,

o   o se in qualità di principale protagonista e vincitore possa guidare l’Europa come potenza globale nel XXI secolo.

– ECFR invita i 26 paesi UE a sottomettersi volontariamente alla Germania per facilitarle il compito di creare un’Europa solidale e forte.

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(III)

– Il dibattito tedesco sulla fine di Maastricht e su un’eventuale azione in solitaria di Berlino nella contesa internazionale tra le potenze è accompagnato da riflessioni su radicali trasformazioni interne della Germania, presupposto della proiezione di potenza internazionale.

o   Le dichiarazioni della Cancelliera Merkel in occasione del “Vertice per l’integrazione” (degli immigrati) rappresentano un’ulteriore pressione del governo sugli strati inferiori degli immigrati, oggetto di una campagna razzista (dibattito Sarrazin[1]). Merkel: emettere sanzioni contro gli immigrati che non approfittano delle cosiddette offerte di integrazione (corsi obbligatori di tedesco …)

o   Il “Vertice per l’integrazione” ha introdotto un “Piano d’azione” per l’attuazione del “Piano nazionale di integrazione”;

– Dichiara la Merkel che tra gli immigrati ci sono molti più percettori di sussidi Hartz IV che tra i tedeschi, parlando degli immigrati privi di istruzione accolti in Germania per lavori miserabili alla catena di montaggio, che ora a causa della riduzione di questo tipo di posti di lavoro sono spesso disoccupati e sono divenuti dipendenti dai sussidi statali.

– Merkel : questo deve cambiare; si deve invece incentivare a rimanere in Germania gli immigrati con alto titolo di studi, che spesso se ne vanno.

o   Parte dell’establishment berlinese ritiene che non bastano tutte le misure esplicitamente attuate contro i gruppi di popolazione ritenuti improduttivi; Alexander Rahr, direttore del Centro Berthold Beitz di DGAP[2] (Centro di competenze per Russia, Ucraina, Bielorussia e Centro Asia): contro gli immigrati occorrono misure drastiche, che la attuale generazione di politici non sa accettare. Oggi lo Stato non sa cosa fare dei 5,6 milioni di immigrati ufficiali musulmani in Germania.

o   Da mesi si parla anche di ritorno a pratiche dittatoriali.

– Le parole d’ordine della campagna antirazzista sono fornite da un saggio dell’ex membro del CdA di Bundesbank, Thilo Sarrazin, “La Germania si disfa”, pubblicato in un’edizione di oltre 1 milione di copie, e che secondo un sondaggio trova un consenso del 60-80% della popolazione.

– Le posizioni di Sarrazin sono note da tempo, ma ha scritto il libro su richiesta di una edizione del gruppo Bertelsmann;

o   Sarrazin divide gli immigrati in base alla loro produttività economica; purtroppo i superdotati indiani e cinesi non vengono in Germania: sono economicamente produttivi, superano velocemente gli ostacoli del mercato del lavoro, i loro figli sono tra i migliori a scuola.

o   Gli immigrati turchi e dai paesi arabi incontrano invece difficoltà a scuola e nel mercato del lavoro, ma hanno un numero di figli sopra la media. Data la loro improduttività occorre prendere misure contro di loro, soprattutto quando percepiscono sussidi sociali.

– Sarrazin è evitato dall’establishment ufficiale, contro di lui la SPD ha preso un provvedimento di espulsione;

o   ma ora autorevoli esponenti del governo hanno aderito alla sua agitazione contro gli strati inferiori degli immigrati;

o   il primo ministro bavarese (CSU), Horst Seehofer: «non vogliamo divenire l’assistenza sociale di tutto il mondo»; la Germania deve evitare gli immigrati provenienti dalla Turchia e dai paesi arabi.

o   La stessa posizione è riecheggiata dalla FDP, Assia;

o   la principale candidata CDU alle elezioni regionali in Renania Wesfalia e segretaria di Stato per la tutela dei consumatori: sanzioni o espulsioni per coloro che rifiutano di integrarsi.

L’organizzazione degli anziani dell’Unione Cdu-Csu: dal 2012 devono essere mantenuti gli assegni famigliari solo per le famiglie di cui almeno un genitore era cittadino europeo al 1° gennaio 2000 (cioè niente assegni famigliari alle famiglie extracomunitarie).

[1] Thilo Sarrazin (1945 -) dal 1973-74 nella SPD; economista, scrittore, ex senatore di Berlino; funzionario statale 1975-2010; dirigente delle ferrovie tedesche, Deutsche Bahn nel 2000-2001; nel 2002-2009 senatore alle Finanze nel senato di Berlino e fino al 2010 nel C.d.A. di Bundesbank.

[2] Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik, Società tedesca per la politica estera.

Gfp      101102

Die neue deutsche Frage (I)

02.11.2010
BERLIN/WASHINGTON

–   (Eigener Bericht) – Deutsche Außenpolitiker debattieren über ein Ende der "europäische(n) Ordnung von Maastricht".

–   In Berlin gewinne man "zunehmend den Eindruck", Deutschland glaube "alleine schneller, weiter und besser vorwärts kommen" zu können als im europäischen Verbund, heißt es in einem neu veröffentlichten Diskussionspapier aus dem Berliner Büro des Thinktanks European Council on Foreign Relations (ECFR).

–   So wendeten unter anderem die "industriellen Eliten" der alten Bundesrepublik im Kampf um Weltmarktanteile "ihren Blick schon seit langem von Europa ab". "

–   Jenseits der offiziellen Rhetorik" verliere das seit 1949 gültige außenpolitische Paradigma der europäischen Integration mittlerweile deutlich an Gewicht. Im EU-Ausland sei "auch von besonnenen Gesprächspartnern" inzwischen die sorgenvolle Frage zu hören, "ob man Angst vor einem neuen, nationalen Deutschland haben muss".

–   Gleichzeitig büßten die transatlantischen Bindungen ihre vormalige Kraft ein. Damit "verblassen zwei zusammenhängende Friedensordnungen, die das 20. Jahrhundert bestimmt haben", urteilt der ECFR. Im Mittelpunkt der Verschiebungen steht dem Thinktank zufolge der Machtgewinn der Bundesrepublik seit 1990: Es stelle sich "eine neue ‘deutsche Frage’ für das 21. Jahrhundert".

Nach deutschem Modell

–   Wie es in dem Diskussionspapier des ECFR heißt, sei "das europäische Selbstverständnis" der alten Bundesrepublik "spätestens seit der ‘Normalisierungspolitik’ unter Bundeskanzler Gerhard Schröder erodiert".[1]

–   Bonn habe von 1949 bis 1989, "unterstützt von den USA und angetrieben durch die Erblast des Zweiten Weltkriegs", stets die sogenannte europäische Integration gepflegt. Dabei habe sich die deutsche "finanzielle Großzügigkeit" in "europäischem Machtzuwachs" ausgezahlt: Die Bonner Republik habe "das europäische System weitgehend nach (ihren) sozioökonomischen und juristischen Vorstellungen zu gestalten" vermocht – "siehe Binnenmarkt und Euro". Letztlich sei sie auf diese Weise "zum Hauptpfeiler der EU" geworden. Inzwischen jedoch träten "die schleichenden und langsamen Verschiebungen der letzten zwei Jahrzehnte offen zu Tage": "Die Akzente der deutschen Europapolitik haben sich deutlich verschoben."

Jenseits offizieller Rhetorik

–   Dem ECFR zufolge tritt die gestärkte Bundesrepublik in der EU heute offener für ihre "nationalen Interessen" ein. Dabei würfen die EU-Staaten der Bundesregierung "zunehmend Alleingänge oder eine Blockade-Haltung vor"; die Berliner Politik werde im europäischen Ausland sogar "teilweise schon als Diktat empfunden".

–   Zwar habe sich der deutsche Außenminister erst kürzlich erneut zur europäischen Integration bekannt. Doch sei völlig unverkennbar, dass sich "jenseits der offiziellen Rhetorik" das außenpolitische Paradigma Deutschlands verschoben habe. Die Autorin des ECFR-Diskussionspapiers, eine innereuropäisch wie transatlantisch bestens vernetzte Außenpolitikerin, konstatiert ein "unterschwellige(s) Denken der neuen ‘Berliner Republik’, Europa nicht länger zu brauchen".

Alleine schneller

–   Wie es in dem Papier heißt, wendeten die im Kampf um Weltmarktanteile stehenden "industriellen Eliten" der alten Bundesrepublik den "Blick schon seit langem von Europa ab". Die EU gelte ihnen allenfalls noch als nützliche "Basis für globale Marktstrategien" gegenüber aufstrebenden Mächten wie China, Indien und Brasilien.

–   Zugleich beklagten sie sich "über die unproduktiven europäischen Partner", die Abflüsse aus dem deutschen Staatshaushalt verursachten – übersähen aber gewöhnlich die für sie äußerst vorteilhafte, "fast parasitäre Position", welche die aus der anhaltenden Schwäche der Nachbarstaaten resultierende "deutsche Exportdynamik im europäischen Binnenmarkt innehat".

–   Mit Blick auf das politische Establishment urteilt der ECFR, Deutschland verfüge heute "über mehr ökonomische und gleichzeitig politische Macht" als Frankreich;

o    damit sei die Notwendigkeit, Paris mit seinem politisch-militärischen Potenzial sorgsam einzubinden, nicht mehr im selben Maße wie früher gegeben. " "Zusammengefasst", berichtet die Autorin, "gewinnt man in Berlin zunehmend den Eindruck, Deutschland fühle sich von Europa zurückgehalten", es glaube "alleine schneller, weiter und besser vorwärts kommen" zu können.

Das Ende von Maastricht und Jalta

–   Damit "verblassen zwei zusammenhängende Friedensordnungen, die das 20. Jahrhundert bestimmt haben", heißt es beim ECFR – die "europäische Ordnung von Maastricht" und die "transatlantische Ordnung von Jalta". Denn gleichzeitig mit der Abkehr von Teilen der deutschen Eliten von der EU zögen sich "die USA von dem europäischen Kontinent zurück", wohingegen Europa "unterwegs" sei, "eine Partnerschaft ganz neuer Dimension mit Russland anzustreben".

Medialer Autismus

–   Angesichts der weltpolitischen der aktuellen Umbrüche hat das Berliner Büro des ECFR letzte Woche ein Programm "Deutschland in Europa" gestartet, das die in dem vorliegenden Papier umrissenen Entwicklungen zum Gegenstand ausführlicher Diskussionen machen soll. Teile des Programms sind Diskussionsveranstaltungen sowie das aktuelle Diskussionspapier. Eine mediale Grundlage für eine solche Debatte sei in Deutschland derzeit nicht gegeben, meint der ECFR: "Die deutschen Leitmedien drehen sich zunehmend um ‘Berlin’ und entwickeln dabei einen gewissen Autismus", der jegliche "Diskursfähigkeit mit dem europäischen Ausland" zunichte mache. Dabei werde "vor allem in Berlin entschieden, ob Europa sein globales Potential im 21. Jahrhundert voll ausschöpfen will und wird". In der EU könne "nichts ohne, geschweige denn gegen Deutschland" geschehen. "Für alle strategischen Zukunftsfelder einer globalen, europäischen Politik (…) kommt Deutschland daher eine Schlüsselrolle zu!", schreibt die Autorin vom ECFR mit Blick auf die nun angestoßene Debatte.

Hauptgewinner

– Um die EU zu retten, schlägt das ECFR-Diskussionspapier eine "neue europäische Nüchternheit" vor. In Berlin müsse einerseits evaluiert werden, "welchen Vorteil gerade Deutschland von Europa hat", andererseits, "was Europa kosten soll und darf".

–   "Deutschland muss sich entscheiden", heißt es, "ob es im Alleingang aus der Europäischen Integration herauswachsen möchte, oder – als Hauptdarsteller und Hauptgewinner zugleich – ganz Europa in eine neue globale Rolle im 21. Jahrhundert führen möchte." Den 26 weiteren EU-Mitgliedstaaten legt das ECFR-Papier eine freiwillige Unterordnung nahe "Die europäischen Partner", heißt es weiter, "sollten indes alles tun, um Deutschland diesen Schritt zu einem solidarischen und starken (…) Europa zu erleichtern".

Über auswärtige Beobachtungen und Einschätzungen zum deutschen Dominanzstreben in der EU und über die EU hinaus berichtet german-foreign-policy.com am morgigen Mittwoch.

[1] Sämtliche Zitate sind entnommen aus: Ulrike Guérot: Wie viel Europa darf es sein? Überlegungen zu Deutschlands Rolle im Europa des 21. Jahrhunderts. Ein Diskussionspapier, ecfr.eu 28.10.2010

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Gfp      101103

Die neue deutsche Frage (II)

03.11.2010
BERLIN/LONDON/PARIS/WASHINGTON

–   (Eigener Bericht) – Nach den Protesten mehrerer europäischer Regierungschefs gegen das deutsch-französische Diktat bei der Euro-Reform letzte Woche wächst EU-weit der Unmut über die zunehmenden Alleingänge Berlins.

–   Dass die deutsche Kanzlerin sich mit dem Staatspräsidenten Frankreichs auf einen sogenannten Euro-Krisenmechanismus geeinigt habe, ohne die Regierungen aller anderen 25 EU-Staaten einzubeziehen, sei inakzeptabel, heißt es in Brüssel im Rückblick auf den aktuellen EU-Gipfel. Kritische Äußerungen über die deutsche EU-Hegemonialpolitik nehmen zu, seit Berlin während der Euro-Krise im Frühjahr mehr und mehr dazu überging, die Brüsseler Entscheidungen unverhüllt zu dominieren.

–   Seitdem sprechen unter anderem französische, britische und US-amerikanische Medien von einer neuen "deutschen Frage", welche die europäische Politik im 21. Jahrhundert begleiten werde. US-Beobachter schließen einen Zusammenbruch der EU angesichts des deutschen Machtstrebens nicht aus und rechnen für diesen Fall mit einem deutsch-russischen Bündnis zunächst ökonomischer, dann auch militärischer Art.

Deutsch-französisches Direktorat

Nach den Protesten mehrerer europäischer Regierungschefs auf dem EU-Gipfel letzte Woche wächst EU-weit der Unmut über die zunehmenden Alleingänge Berlins. Auf dem EU-Gipfel hatten die deutsche Kanzlerin und der französische Staatspräsident Pläne zur Reform des Euro vorgelegt, auf die sie sich alleine bei einem bilateralen Treffen geeinigt hatten.

–   Die Pläne sind überdies höchst umstritten: Sie beinhalten unter anderem die Forderung, EU-Mitgliedern bei gemeinsamen Entscheidungen das Stimmrecht zu entziehen, wenn sie sich den von Berlin oktroyierten Brüsseler Haushaltsregeln nicht beugen wollen oder können. Der deutsch-französische Versuch, die Pläne ohne eine ernsthafte Abstimmung mit den 25 anderen EU-Mitgliedern durchzusetzen, stieß auf heftigen Widerstand. Beschwerden über ein "deutsch-französisches Direktorat" waren zu hören, Eurogruppen-Chef Jean-Claude Juncker sprach von "schlicht schlechtem Stil". Der von Berlin verlangte Entzug der Stimmrechte sei "nicht akzeptabel", erklärte selbst der Deutschland gewöhnlich zugeneigte EU-Kommissionspräsident José Manuel Barroso.[1]

Rücksichtslos

Kritische Äußerungen über die deutsche EU-Hegemonialpolitik nehmen zu, seit Berlin während der Euro-Krise im Frühjahr mehr und mehr dazu überging, die Brüsseler Entscheidungen unverhüllt zu dominieren.

–   Bereits Ende März urteilte die britische Financial Times, die deutsche Kanzlerin habe mit ihrem rücksichtslosen Vorgehen die "deutsche Frage wiedereröffnet".[2] Wenig später schloss sich die französische Wirtschaftspresse dieser Ansicht an; Berlin verlange etwa mehr Stimmrechte, wolle aber gleichzeitig seine Zahlungen an Brüssel möglichst reduzieren, klagte die Tageszeitung Les Echos.[3] Anfang Mai rief auch die Tageszeitung The New York Times eine neue "deutsche Frage" aus.[4] Vor wenigen Tagen schaltete sich schließlich das britische Wirtschaftsmagazin "The Economist" in die Debatte ein – mit Äußerungen, die eine weit verbreitete Unruhe wiedergeben.

Deutsche Selbstgerechtigkeit

–   Wie der "Economist" schreibt, habe die Krise "eine neue Hackordnung" geschaffen: Deutschland stehe mit seinen Exporterfolgen "an der Spitze, der Rest muss sich anpassen, Frankreich inklusive". Man bekomme "ein enormes Gefühl von deutscher Selbstgerechtigkeit , die sehr schwer zu ertragen ist", zitiert das Blatt einen Experten vom International Institute for Strategic Studies.[5] Die deutsche Führung zeige sich deutlich.

–   Deutschland unterhalte konkurrenzlose Handelsbeziehungen zu aufsteigenden Mächten wie China; allein die Hälfte der EU-China-Exporte stamme aus der Bundesrepublik.

–   Berlin könne mit Erfolg führende Positionen in EU-Institutionen beanspruchen: Der Europa-Berater der deutschen Kanzlerin, Uwe Corsepius, werde Generalsekretär des Europäischen Rates, Bundesbank-Chef Axel Weber gelte als Favorit für das Amt des Präsidenten der Europäischen Zentralbank. "Bei europäischen Planungen gibt Deutschland oft den Ton an", urteilt das Blatt – und erinnert exemplarisch daran, dass die europäische Fluthilfe für Pakistan erst starten konnte, als die Bundesregierung sich der Ansicht angeschlossen hatte, die Flutkatastrophe sei wirklich schlimm.

Zusammenbruch nicht ausgeschlossen

–   Angesichts des unverhohlenen deutschen Dominanzstrebens, das immer öfter Widerspruch weckt, schließen US-Beobachter einen Zusammenbruch der EU nicht aus. Gegenwärtig werde diskutiert, was die EU-Staaten einander schuldeten und wieviel Kontrolle über die einzelnen Mitglieder der EU zustehe, heißt es in einer Analyse des US-Thinktanks STRATFOR.

–   Jedoch sei die Bereitschaft, finanziell für andere EU-Staaten einzustehen, ebenso beschränkt wie die Bereitschaft, sich der EU bedingungslos unterzuordnen.

–   Zwar sei damit zu rechnen, dass der Euro und die EU die aktuelle Krise überstünden; doch ließen sich auch in Zukunft Krisen nicht völlig vermeiden, und Brüssel besitze "keine Institutionen, die diese Probleme behandeln könnten".[6] Eine ernsthafte weitere Integration der EU-Institutionen sei schwer vorzustellen; leicht hingegen lasse sich ahnen, wie die EU sich trotz ihrer ambitionierten Visionen in ein kraftloses Bündnis verwandeln könne.

–   "Einen Superstaat zu errichten erfordert eines von zwei Dingen: einen Krieg, um festzustellen, wer der Chef ist, oder politische Einstimmigkeit, um einen Vertrag zu schmieden", urteilt STRATFOR. "Europa demonstriert lebhaft die Beschränkungen der zweiten Strategie."

Die russische Alternative

–   Wie STRATFOR weiter feststellt, habe die Krise bestätigt, dass die Bundesrepublik "eindeutig das Gravitationszentrum Europas" sei: "Wenn Deutschland nicht zustimmt, kann nichts getan werden, und wenn Deutschland es so wünscht, wird etwas getan werden. Deutschland hat eine ungeheuere Macht in Europa". Zugleich sei die Bundesrepublik "das einzige Land in Europa mit der Fähigkeit, alternative Koalitionen zu schaffen, die mächtig und bindend sind".

–   Es lohne daher, "Alternativen zu einem Deutschland in der EU zu erkunden". STRATFOR kommt dabei zu dem Ergebnis: "Die historische Alternative für Deutschland ist Russland gewesen."[7] Die Bundesrepublik brauche Öl und Erdgas, während Russland Technologie und Kapital benötige; die beiden Länder könnten ihre Bedürfnisse gegenseitig decken.

–   Tatsächlich arbeiten Berlin und Moskau schon längst daran – im Rahmen der sogenannten "Modernisierungspartnerschaft" (german-foreign-policy.com berichtete [8]). "Wir würden argumentieren", erklärt der US-Thinktank entsprechend, "dass eine deutsche Koalition mit Russland das einleuchtendste Ergebnis eines Abstiegs der EU wäre" – als zunächst wirtschaftliches, perspektivisch aber auch militärisches Bündnis für einen alternativen deutschen Aufstieg zur Weltmacht.

Bitte lesen Sie auch Die neue deutsche Frage (I).

[1] Wie viel hat Merkel gewonnen? Die Welt 30.10.2010

[2] Merkel’s myopia reopens Europe’s German question; Financial Times 25.03.2010

[3] La question allemande; www.lesechos.fr 30.04.2010

[4] Pondering the German Question; The New York Times 03.05.2010

[5] Will Germany now take centre stage? www.economist.com 21.10.2010

[6], [7] George Friedman: German Options After EU’s Collapse; STRATFOR 25.05.2010

[8] s. dazu s. dazu Natürliche Modernisierungspartner und Die Wirtschaftsachse Berlin-Moskau (III)

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Gfp      101104

Die neue deutsche Frage (III)

04.11.2010
BERLIN

–   (Eigener Bericht) – Weitreichende Überlegungen über eine innere Umgestaltung Deutschlands begleiten die Berliner Debatte über ein Ende der "europäischen Ordnung von Maastricht".

o    Wie die deutsche Kanzlerin vor dem "Integrationsgipfel" am gestrigen Mittwoch ankündigte, müssen Migranten, die sogenannte Integrationsangebote nicht wahrnehmen, künftig Sanktionen in Kauf nehmen. Damit erhöht die Regierung den Druck besonders auf migrantische Unterschichten, die momentan im Mittelpunkt einer rassistisch geprägten Kampagne ("Sarrazin-Debatte") stehen.

–   Mehrere weiterreichende Forderungen werden laut. All diese Schritte, die sich explizit gegen angeblich unproduktive Bevölkerungsgruppen richten, genügten keinesfalls, hört man in Teilen des Berliner Establishments; so wird ein hochrangiger Berater aus der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) mit der Erklärung zitiert, gegen Einwanderer seien "drastische Maßnahmen" erforderlich, die "die jetzige Generation der Politiker nicht akzeptieren" könne.

–   Die Überlegungen, die darauf zielen, die innere Formierung Deutschlands voranzutreiben, gehen mit der Debatte über ein mögliches Ende der Europäischen Union[e] sowie einen eventuellen nationalen Alleingang Berlins im Kampf um globale Macht einher. Im Gespräch ist seit Monaten dabei auch ein Rückgriff auf diktatorische Praktiken.

Messbare Zielvorgaben

–   Wie die deutsche Kanzlerin mitteilt, müssen Migranten, die sogenannte Integrationsangebote des deutschen Staates nicht wahrnehmen, in Zukunft mit Sanktionen rechnen. Dies kündigte Angela Merkel vor dem gestrigen Berliner "Integrationsgipfel" an. Mit dem "Integrationsgipfel" sei ein "Aktionsplan" zur Umsetzung des "Nationalen Integrationsplans" auf den Weg gebracht worden, mit dem "messbare Zielvorgaben für eine verbindliche Integrationspolitik" etabliert würden, teilt die Bundesregierung mit.[1]

–   Es gebe "unter Migranten weitaus mehr Hartz-IV-Bezieher als unter Deutschen", sagte die Kanzlerin über bildungsferne Einwanderer, die meist in die Bundesrepublik geholt worden waren, um unter miserablen Arbeitsbedingungen Fließbandtätigkeiten auszuführen, die aufgrund der Reduzierung dieser Arbeitsplätze jedoch inzwischen oft arbeitslos und damit von staatlichen Sozialleistungen abhängig geworden sind.

–   "Das muss sich ändern", erklärte Merkel. Es sei jedoch bei alledem auch zu berücksichtigen, dass Migranten mit einem Hochschulabschluss oft die Bundesrepublik verließen. Diese müssten zum Bleiben ermutigt werden: "Uns sollte viel daran liegen, diesen qualifizierten Kräften bei uns eine Chance zu geben."[2]

Migrantische Unterschichten

Mit den Forderungen vom gestrigen Mittwoch erhöht die Bundesregierung den Druck insbesondere auf migrantische Unterschichten, die zur Zeit im Mittelpunkt einer rassistisch geprägten Kampagne stehen.

–   Die zentralen Stichworte der Kampagne finden sich in der Schrift "Deutschland schafft sich ab" des einstigen Bundesbank-Vorstandsmitglieds Thilo Sarrazin, die mittlerweile in einer Auflage von weit über einer Million Exemplaren gedruckt wurde und bei – je nach Umfrage – rund 60 bis 80 Prozent der Bevölkerung Zustimmung findet.

–   Sarrazin, dessen Ansichten schon seit Jahren bekannt sind, hat sein Buch nach eigenem Bekunden nicht aus eigenem Antrieb, sondern auf Anfrage eines Verlages aus dem Bertelsmann-Konzern verfasst.

–   Er unterscheidet Migranten nach ökonomischer Produktivität.

o    So bedauert er, dass etwa "die hochbegabten Inder und Chinesen leider nicht" nach Deutschland kämen: "Sie sind wirtschaftlich leistungsfähig, überwinden Hürden am Arbeitsmarkt schnell, und ihre Kinder zählen in den Schulen zu den Besten."

o    Hingegen hätten Einwanderer aus der Türkei und den arabischen Ländern "Schwierigkeiten im Schulsystem" und "am Arbeitsmarkt"; gerade sie bekämen aber überdurchschnittlich viele Kinder. Wegen ihrer Unproduktivität müssten, insbesondere wenn sie Sozialleistungen bezögen, Maßnahmen gegen sie ergriffen werden.[3]

Kein Weltsozialamt

–   Während Sarrazin vom Berliner Establishment offiziell weithin gemieden wird und sich jetzt auch einem Parteiausschlussverfahren der SPD gegenübersieht, haben sich führende Regierungspolitiker mittlerweile seiner offenen Agitation gegen migrantische Unterschichten angeschlossen.

–   "Wir wollen nicht zum Sozialamt für die ganze Welt werden", ließ etwa der bayerische Ministerpräsident Horst Seehofer (CSU) verlauten [4]; wer "ein Arbeitsplatzangebot oder eine notwendige Qualifizierung ablehnt", dem müssten "die Sozialleistungen gekürzt oder (…) komplett gestrichen werden" [5]. Es sei "klar, dass sich Zuwanderer aus anderen Kulturkreisen wie aus der Türkei und arabischen Ländern insgesamt schwerer tun"; Deutschland solle daher jede Zuwanderung aus den genannten Weltregionen vermeiden. Wer sich "vorsätzlich" der "Integration" verweigere, müsse in Zukunft sanktioniert und gegebenenfalls aus der Bundesrepublik abgeschoben werden, fordert die CDU-Spitzenkandidatin bei den Landtagswahlen 2011 in Rheinland-Pfalz und parlamentarische Staatssekretärin im Bundesministerium für Verbraucherschutz, Julia Klöckner.[6] "Deutschland ist kein Weltsozialamt", heißt es in einem "Integrations- und Zuwanderungskonzept für Deutschland" der FDP in Hessen.[7] Im Leitantrag für den CDU-Vorstand zum Parteitag Mitte November ist die Forderung zu finden: "In Fällen von Integrationsverweigerung darf es keine Toleranz mehr geben."[8]

Drastische Maßnahmen

–   Mittlerweile werden auch in den Regierungsparteien noch weiter reichende Forderungen laut. So verlangt die Senioren-Union, eine Unterorganisation von CDU und CSU, ab 2012 sollten nur noch diejenigen Familien Kindergeld erhalten, "von denen mindestens ein Elternteil vor dem 1. Januar 2000 Euro-Bürger war".[9] Dies läuft auf die komplette Streichung des Kindergeldes für Familien aus Nicht-EU-Staaten hinaus. Wie der stellvertretende Vorsitzende der Senioren-Union, Leonhard Kuckart, einräumt, habe man "hauptsächlich Familien aus dem islamischen Kulturkreis im Blick".

–   "Wer uns zugewandert ist, unserem Land aber nur auf der Tasche liegen will und es sich zur Lebensaufgabe macht, unsere sozialen Sicherungssysteme zu belasten", heißt es bei der Senioren-Union, "sollte Deutschland wieder verlassen." Vorstellungen, denen zufolge die Regierungspolitik gegenüber den migrantischen Unterschichten noch deutlich radikalisiert werden müsse, sind auch im Berliner Polit-Establishment anzutreffen.

–   Wie Alexander Rahr, der Leiter des "Berthold Beitz-Zentrums" ("Kompetenzzentrum für Russland, Ukraine, Belarus und Zentralasien") der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP), erklärt, wüssten die Behörden zur Zeit nicht, was mit den offiziell 5,6 Millionen muslimischen Migranten in Deutschland geschehen solle. Rahr wird in einem Interview mit der russischen Zeitung "Iswestija" mit den Worten zitiert, es seien "drastische Maßnahmen erforderlich, die die jetzige Generation der Politiker aber nicht akzeptieren könne".[10]

Ein kommissarischer Diktator

–   Der rapide zunehmende Druck auf migrantische Unterschichten soll nicht nur auf lange Sicht den staatlichen Sozialhaushalt entlasten, sondern zudem angeblich unproduktive Bevölkerungsgruppen noch weiter an den Rand der Gesellschaft oder gar zur Rückwanderung drängen. Zugleich wird die "deutsche Leitkultur" zum Maßstab erklärt, um eine weitgehende Formierung der bundesdeutschen Gesellschaft zu erreichen.

–   Die Maßnahmen werden zu einem Zeitpunkt eingeleitet, da Deutschland sich in seinem Streben nach weltweiter Macht auf eine strategische Wegscheide zubewegt. Berliner Außenpolitiker debattieren seit Beginn der Eurokrise im Frühjahr über ein Ende der "europäischen Ordnung von Maastricht".

Wie der European Council on Foreign Relations berichtet, gewinne die Ansicht, Deutschland könne "alleine schneller, weiter und besser vorwärts kommen" als in der EU, in Berlin gegenwärtig an Attraktivität (german-foreign-policy.com berichtete [11]).

–   Ein erneuter Berliner Alleingang freilich setzt eine stark intensivierte Formierung der deutschen Gesellschaft voraus. Der von Teilen des Establishments als unzureichend empfundene gegenwärtige Stand der Formierung ist auch Ursache dafür, dass in der Bundeshauptstadt über die Nutzung diktatorischer Regierungselemente diskutiert wird (german-foreign-policy.com berichtete [12]).

–   So sei zur Zeit "verschiedentlich von diktatorischen Befugnissen und Maßnahmen die Rede", schrieb der Berliner Politik-Professor Herfried Münkler im Frühjahr in der Zeitschrift "Internationale Politik": "Es gibt bloß kein Verfassungsorgan, das sich auf das Risiko der Einsetzung eines kommissarischen Diktators einlassen will."[13] Das Nachdenken über diktatorische Praktiken begleitet ebenso wie das rabiate Vorgehen gegen angeblich unproduktive migrantische Unterschichten die Bemühungen Deutschlands, im Kampf um weltweite Macht voranzuschreiten – mit oder ohne EU.

Weitere Informationen zur Thematik finden Sie hier: Deutschland in Fesseln, Eine neue Ära des Imperialismus, Ein klein wenig Diktatur, Ein Stück Volksverdummung, Herrschaftsreserve, Die neue deutsche Frage (I) und Die neue deutsche Frage (II).

[1] 4. Integrationsgipfel: Messbare Ziele für Integrationspolitik; Presse- und Informationsamt der Bundesregierung 03.11.2010

[2] Merkel: Frachtgutkontrollen weltweit besser abstimmen; Passauer Neue Presse 03.11.2010

[3] Thilo Sarrazin: Deutschland schafft sich ab. Wie wir unser Land aufs Spiel setzen, München 2010 (Deutsche Verlags-Anstalt)

[4] "Wir wollen nicht zum Welt-Sozialamt werden"; www.sueddeutsche.de 16.10.2010

[5] Seehofer wettert zurück; www.mdr.de 11.10.2010

[6] Klöckner fordert härtere Sanktionen gegen integrationsunwillige Ausländer; www.ad-hoc-news.de 22.10.2010

[7] "Deutschland ist kein Weltsozialamt"; www.hr-online.de 25.10.2010

[8] CDU droht Integrationsverweigerern; www.n24.de 20.10.2010

[9] Senioren-Union[e] will Migranten das Kindergeld streichen; Handelsblatt 29.10.2010

[10] Merkel: Multikulti in Deutschland gescheitert – "Iswestija"; de.rian.ru 18.10.2010

[11] s. dazu Die neue deutsche Frage (I)

[12] s. dazu Ein klein wenig Diktatur

[13] Herfried Münkler: Lahme Dame Demokratie; Internationale Politik Mai/Juni 2010

 

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