Lo slancio cubano – I nuovi amici di Fidel Castro

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commercio, Centro America

Lo slancio cubano – I nuovi amici di Fidel Castro

Con il trasferimento “temporaneo” dei poteri di Fidel Castro
al fratello Raùl Castro e ad alcuni fedeli le cose si stanno muovendo.

Nonostante l’embargo americano che continua, grazie agli
accordi con Venezuela, Cina e Iran Cuba può avere capitali e crediti per nuovi
investimenti, con una crescita annuale del PIL prevista del 5%.

Soprattutto grazie all’alleanza con il Venezuela di Hugo
Chávez dal 1999, che svolge un ruolo avuto da Mosca fino alla fine degli anni
’80. Cuba riceve a condizioni preferenziali 98mila b/g di petrolio, un 10% in
più rispetto al 2005, in gran parte pagati con “scambi”.

Il Venezuela può tranquillamente permettersi gli aiuti a
Cuba grazie agli introiti petroliferi, che Chávez controlla tramite il
controllo della holding petrolifera statale PDVSA  e della banca centrale.

“2000 medici ed infermieri cubani lavorano in Venezuela; non
ci sono dati sul numero di consiglieri militari e forze di sicurezza cubani
utilizzati anche da Chávez; i servizi occidentali calcolano possano esere circa
10 000.

Con l’appoggio di PDVSA i cubani sono riusciti ad ampliare
la propria estrazione petrolifera; con il know how venezuelano sarà rimessa in
funzione la raffineria di Cienfuegos, Cuba centrale, aperta in era sovietica e
poi andata in rovina, che fornirà il mercato cubano di benzina, diesel e
cherosene.

Quel che rimane potrebbe poi essere venduto ai paesi
caraibici nel quadro del progetto “Petrocaribe” creato da Chávez, che si sono allineati
con Chávez grazie al prezzo di favore del petrolio venezuelano finora ad essi
garantito.

Cina: intende
cooperare con Cuba per lo sfruttamento del maggior giacimento mondiale di nickel,
nella provincia orientale cubana di Holguin. Intendono estarre 21 000
tonnellate l’anno; nel 2005 Cuba ha già prodotto 76 000 tonnellate. (Degli
investimenti fatti a suo tempo dai russi rimangono solo le rovine.)

Anche la mineraria
canadese Sherrit progetta di
ampliare le sue attività con la joint
venture con la cubana Cubaniquel
, con investimenti di circa $500mn.

L’Iran, in strette relazioni con Cuba, investirà $200 per la
costruzione di un cementificio a Cuba, + una centrale termoelettrica (da 1500
megawatt) con il raddoppio dell’attuale produzione dell’isola. L’inter scambio
complessivo Iran-Cuba dovrebbe balzare dai $20mn. del 2004 a €600mn nel 2007.

Sono riprese i trasferimenti delle “rimesse” degli esuli
cubani, e (nonostante l’embargo) fiorisce anche l’agricoltura americana a Cuba,
che nel 2005 ha venduto prodotti per $540mn, il mercato cubano offre 12 milioni
di clienti. La lobby agraria americana sta spingendo sull’Amministrazione USA
per la revoca dell’embargo, una decisione che dipenderà dall’evoluzione
politica di Cuba.

Sospese su Cuba come una spada di Damocle le rivendicazioni
americane di restituzione (fissate dalla Legge Torricelli del 1992  e poi dalla Helms-Burton), che vieta non solo
il commercio tra USA e Cuba ma anche quello delle filiali di società americane
in paesi terzi con Cuba; inoltre tutte le società attive a Cuba che hanno
ottenuto proprietà americane statalizzate da Cuba dovrebbero attendersi che in
caso di cambio di regime venga loro contesa la proprietà.

Prima della rivoluzione cubana, il 40% della produzione di
zucchero e il 59% delle riserve di nickel e cobalto erano in mano americana, oltre
a 2 delle allora 3 raffinerie, metà della rete ferroviaria e al 90% delle
società di telefonia e di distribuzione elettrica; 1/3 del bilancio  cubano derivava dalle impose pagate dalle
società americane.

Come gli USA, anche la UE motiva la difficoltà a rafforzare
le relazioni con Cuba, con la sua carente democrazia e rispetto dei diritti
umani.

L’ex ambasciatore tedesco a l’Avana, Wulffen, nel suo
recente libro “Eiszeit in den Tropen  –
Era glaciale ai tropici” riferisce come proprio i nuovi paesi UE dell’Est
Europa vogliano condizionare gli aiuti europei a Cuba a maggiori diritti umani,
ma l’appoggio del Venezuela non fa più dipendere Cuba dagli aiuti europei.

Il turismo è uno dei maggiori settori di investimento degli
europei, soprattutto della Spagna, ed era d’importanza vitale fino all’alleanza
con il Venezuela.

L’impegno tedesco a Cuba non è più gravato dalla questione
dei vecchi debiti, nel 2000 la Germania ha rilevato e regolato i vecchi debiti
derivanti dalle relazioni economiche della ex DDR con Cuba.

—————

Abbiamo una buona reputazione a Cuba

Il direttore della
società per il commercio con l’estero Delatrade, da 20 anni in affari con Cuba,
Peter Schirmann, è anche direttore
della Ibero-Amerika-Verein
, la maggiore associazione economica tedesca per
l’America Latina e Caraibi.

Ampie opportunità commerciali perché Cuba ha bisogno di
tutto, il problema sono le garanzie di pagamento. Ma dopo il regolamento dei
vecchi debiti, dal luglio 2000 sono state reintrodotte le garanzie Hermes; il
tetto per i crediti a breve è di €20mn, a medio di €40mn.

Bisogna subito interessarsi
al mercato cubano, in modo da sapere se le cose si muovono e poter avviare affari
.
Spero in una leggera apertura dell’economia con il passaggio di potere da Fidel
Castro al fratello. Sarei contento se avesse più potere Carlos Lage,[1]
che è un riformista pragmatico, a lui risalgono le prime misure di razionalità economica
degli anni ’90.

Ci sono
migliaia di cubani che hanno studiato nella DDR e sono interessati alla
Germania


[1]
Carlos Lage Dávila (1951) pediatra, politico cubano, del Politburo segretario
esecutivo del Consiglio dei ministry di Cuba, descritto come il primo ministro
de facto. Nei primi anni 1990 diventa consigliere di Castro, considerato il “maggiore
riformatore economico”. Responsabile del coordinamento dei settori energia,
commercio e questioni monetarie, ritenuto responsabile del programma di rivoluzione
dell’energia nazionale  e della
cooperazione con altri paesi per questo settore. Nei primi anni 1990, il “Periodo
Speciale”, avviò una serie di riforme economiche che consentirono la creazione
di holding agrarie limitate e piccole iniziative economiche. Ha di recente
negoziato con il Venezuela il rifornimento di petrolio a condizioni speciali…

Die Welt               06-09-09

Kubanischer
Aufschwung – Die neuen Freunde des Fidel Castro

Billiges Öl aus
Venezuela, Investitionen aus China, Iran und Kanada: Kuba versucht, nach Jahren
der Krise wieder auf die Beine zu kommen. Doch die Strategie ist riskant.

Von Hildegard
Stausberg

Berlin – Für den
großen peruanischen Schriftsteller Mario Vargas Llosa steht längst fest, dass
in Kuba nur noch Fidel Castro an den Kommunismus glaubt. Das mag übertrieben
sein. Aber gerade jetzt wird über den Weg der Karibikinsel wieder spekuliert
und das hängt vor allem mit dem Gesundheitszustand des 80 Jahre alten
"Comandante en Jefe" zusammen, der sich gerade von einer Operation
erholt. Durch die als
"vorläufig" bezeichnete Stabsübergabe an seinen Bruder Raúl Castro
und einige wichtige Getreue sind die Dinge zumindest in Bewegung geraten.

Venezuela liefert
billiges Öl

Heute hat Kuba trotz des anhaltenden Embargos der
USA wieder gute Perspektiven
, sehr zum Ärger der mehr als eine Million Exilkubaner in Miami. Das hängt vor allem damit zusammen, dass
Fidel Castro in dem seit 1999 in Venezuela regierenden Ex-Putschisten Hugo
Chávez ein politischer Freund erwachsen
ist: Chávez übt die Rolle aus, die
bis Ende der 80er Jahre Moskau innehatte.

   
Das ölreiche Bruderland des Ex-Putschisten
leistet permanente Wirtschaftshilfe.
Kuba erhält zu
Vorzugskonditionen täglich 98.000 Fass Erdöl (ein Fass entspricht 159 Liter)
und damit zehn Prozent mehr als noch 2005. Der größte Teil dieser Lieferungen
wird im "Tauschverfahren" bezahlt.

   
Im Gegenzug arbeiten 20.000 kubanische Ärzte und Krankenschwestern nach
offiziellen Angaben in Venezuela.
Über die Zahl der kubanischen Militärberater und Sicherheitskräfte, die unter
anderem auch Chávez schützen
, gibt es keine Angaben. Westliche Nachrichtendienste
halten eine Zahl von mindestens 10.000
für realistisch
. Für den venezolanischen Präsidenten ist es kein Problem,
seinen Freund zu finanzieren. Die
Einnahmen aus dem Ölgeschäft spülen Milliarden Dollar in die Kassen
.

   
Außerdem
kontrolliert ihn zu Hause niemand mehr.
Er herrscht
über die staatliche Erdölholding PDVSA,
und die Zentralbank untersteht ebenfalls Chávez.

Technologie-Transfer

Mit Hilfe der Ölgesellschaft PDVSA ist es den Kubanern
auch gelungen, ihre eigene Erdölgewinnung auszuweiten
. Außerdem soll mit venezolanischem Know-how die noch von den Sowjets begonnene, aber
dann als Industrieruine dahindümpelnde Raffinerie bei Cienfuegos in
Zentral-Kuba
wieder flott gemacht werden. Sie soll den kubanischen Markt
dann mit Benzin, Diesel und Kerosin bedienen. Was übrig bleibt, könnte im Rahmen des von Chávez ins Leben gerufenen
Erdöl- und Erdgasprojekts "Petrocaribe" in die umliegenden Staaten
der Karibik verkauft werden
, die bisher nur mit venezolanischem Rohöl zu
Vorzugspreisen auf eine Chávez-freundliche Linie gebracht werden.

China will ans
Nickel

Aber nicht nur die
Venezolaner engagieren sich auf Kuba: Auch die rohstoffhungrigen Chinesen haben
längst entdeckt, wie reizvoll eine Zusammenarbeit im Bereich der
Nickelgewinnung ist.

   
Denn Kuba verfügt in der östlichen Provinz Holguin über eine der größten Nickelvorkommen
der Welt.
Schon die Russen hatten in die Gruben investiert.
Aber wie so vieles aus ihrer Zeit, so blieben auch davon nur Industrieruinen
übrig.

   
Nun aber haben die Chinesen das russische Erbe übernommen und wollen
21.000 Tonnen im Jahr fördern. Insgesamt produzierte Kuba schon im vergangenen
Jahr 76.000 Tonnen.

   
Auch
das kanadische Bergbauunternehmen
Sherrit
plant – im Verbund mit der staatlichen kubanischen Gesellschaft
Cubaniquel – eine Ausweitung der Aktivitäten und hat Investitionen in Höhe von
fast 500 Mio.
Dollar (394 Mio. Euro) angekündigt.

   
Der Iran wiederum, zu dem auch Chávez
enge Beziehungen unterhält, will mit 200
Mio. Dollar eine Zementfabrik
in Kuba errichten. Außerdem ist an den Bau
einer thermoelektrischen Anlage gedacht, die 1500 Megawatt Strom produzieren
soll – und damit die bisherige Produktion der Insel verdoppeln würde. Insgesamt
soll das Handelsvolumen mit dem Iran
erheblich ausgeweitet werden: 2004 lag
es bei nur 20 Mio. Dollar; die Zielmarke für die nächsten Jahre lautet 600 Mio.
Euro
.

BIP legt kräftig zu

   
Kuba kann durch die Abkommen mit Caracas, Peking und Teheran wieder
mit dem rechnen, was seit dem Zusammenbruch des Kommunismus fehlte: Kapital und
Kreditlinien für neue Investitionen
. Dies erklärt
auch, warum allenthalben mit einem Anstieg des kubanischen Bruttoinlandsproduktes
gerechnet wird – und zwar durchaus in
einer Größenordnung von bis zu fünf Prozent jährlich
.

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Dazu trägt natürlich
auch bei, dass die Exilkubaner ihren
darbenden Verwandten weiterhin mit Überweisungen – "Remesas" – unter
die Arme greifen
. Aber auch die amerikanische Landwirtschaft ist in Kuba –
trotz des Wirtschaftsembargos – gut im Geschäft: Allein im letzten Jahr
verkauften die von Castro so verhassten "Gringos"
Landwirtschaftsprodukte in Höhe von 540 Mio. Dollar. In Washington hält man am
Embargo zwar offiziell fest, aber die
mächtige Agrarlobby drängt. Sie wollen sich zu gern noch intensiver um den
Markt mit den zwölf Millionen Kubanern kümmern.

USA beharren auf
Demokratisierung

Ob dies gelingen
wird, hängt nicht zuletzt davon ab, wie die Amerikaner auf die sich
abzeichnende Entwicklung auf Kuba reagieren werden. Bisher besteht die Regierung
von US-Präsident George W. Bush weiter auf einer Demokratisierung und vor allem
der Achtung der Menschenrechte. Diese
sind übrigens auch der Grund dafür, warum sich die EU so schwer tut mit einer
Vertiefung ihrer Beziehungen zu Havanna.
Darauf weist Bernd Wulffen, von
2000 bis 2005 deutscher Botschafter in Havanna, in seinem gerade erschienenen
Buch "Eiszeit in den Tropen" hin: Gerade die neuen EU-Staaten in
Osteuropa wollen – anders als Madrid – Hilfe an mehr Freiheit für die Menschen
auf Kuba binden. Ein durch Chávez unterstütztes Regime ist allerdings auf
europäische Hilfe überhaupt nicht mehr angewiesen, meint Wulffen.

   
Zu den wichtigsten Investitionsfeldern der Europäer, vor allem der
Spanier, gehört der Tourismus. Er war bis zum venezolanischen Engagement von
Chávez für die Insel überlebenswichtig
.

   
Wie
ein Damoklesschwert schweben allerdings darüber die amerikanischen
Restitutionsansprüche.
Diese wurden im Torricelli-Act
von 1992 und dann im noch erweiterten Helms-Burton Gesetz festgelegt. Danach
ist nicht nur jeglicher Handel zwischen
den USA
und Kuba untersagt, sondern auch Tochterfirmen von US-Firmen in Drittländern
dürfen mit Kuba nicht handeln. Außerdem müssen sich alle in Kuba tätigen
Firmen, die durch Kuba verstaatlichtes amerikanisches Eigentum erworben haben,
darauf einstellen, dass Anwälte ihnen dies streitig machen werden – wenn es zu
einem Regimewechsel kommen sollte
.

   
Und
das amerikanische Engagement auf Kuba war riesig: Vierzig Prozent der
Zuckerproduktion und fünfzig Prozent der Reserven an Nickel und Kobalt waren in
amerikanischer Hand, dazu zwei der damals bestehenden drei Ölraffinerien, die
Hälfte aller Eisenbahnstrecken und neunzig Prozent der Telefon- und
Stromversorgungsunternehmen.
Vor der Revolution machten
die Steuerzahlungen amerikanischer Firmen fast ein Drittel des kubanischen
Staatshaushalts aus.

Kuba zahlt
DDR-Kredite zurück

   
Deutsches Engagement auf Kuba
wird zumindest durch die früher leidige Altschuldenfrage nicht mehr belastet.
Stefan Peters, bei der staatlichen Hermeskreditversicherung zuständig für das
Lateinamerikageschäft sagt: "Im Jahre 2000 wurde die aus den
Wirtschaftsbeziehungen der ehemaligen DDR zu Havanna von der Bundesrepublik
übernommenen Altschulden einvernehmlich geregelt." Die verbesserte Lage
schlägt sich wohl auch in der Zahlungsmoral nieder. Kuba halte sich an die
Abmachungen und bezahle. Den neuen Freunden sei dank.

Artikel erschienen
am 09.09.2006 WELT.de 1995 – 2006


Die Welt                06-09-09

"Wir
haben in Kuba einen guten Ruf"

Peter Schirmann
ist Generaldirektor
der Hamburger
Außenhandelsfirma Delatrade, die seit mehr als 20 Jahren mit Kuba Geschäfte
macht
.

   
Zudem
leitet er die Kuba-Sektion des Ibero-Amerika-Vereins
, der wichtigsten deutschen Wirtschaftsvereinigung
für Lateinamerika und die Karibik.

Hildegard Stausberg
sprach mit ihm über die Tücken des Kuba-Handels und warum die Deutschen sich
großer Beliebtheit auf der Karibikinsel erfreuen.

Von Hildegard
Stausberg

WELT.de: Sie werben
seit vielen Jahren schon für ein deutsches Engagement auf Kuba: Wer kann da was
verkaufen?

Peter Schirmann: Verkaufen
können sie alles auf Kuba, denn auf der Insel wird eigentlich alles gebraucht.

Entscheidend ist aber, dass man sich vorher überlegt, wie man später an sein
Geld kommt.

WELT.de: Kann man
bei schlechter Zahlungsmoral ein solches Engagement empfehlen?

Schirmann: Nach der
Regelung der Altschulden, die in den Neunzigerjahren alles belasteten, gibt
es seit Juli 2000 wieder Hermesbürgschaften
. Der Plafond für
kurzfristige Kredite hat ein Volumen von 20 Millionen, der für mittelfristige
40 Millionen Euro.
Aber die Kubaner bestimmen bisher, was unter der Hermesdeckung
läuft. Ich nehme außerdem an, dass da auch Sonderregelungen möglich wären,
sollte es zu Bewegungen kommen in Kuba.

WELT.de: Bewegung in
Richtung Demokratie und mehr wirtschaftliche Freiheit?

Schirmann: Wie es in
Kuba weitergehen wird, weiß niemand. Aber ich hoffe, dass durch den jetzt
durch Fidel Castro selbst eingeleiteten Übergang an seinen Bruder doch eine
leichte Öffnung der Wirtschaft stattfinden wird.
Ich würde mich freuen,
wenn Carlos Lage mehr Einfluss bekommt, er steht – anders als Raúl
Castro und Außenminister Felipe Pérez Roque – für pragmatische Reformbereitschaft.
Die ersten zarten Ansätze zu mehr wirtschaftlicher Vernunft in den
Neunzigerjahren gehen auf sein Konto
.

WELT.de: Was
wollen die Exilkubaner in Miami?

Schirmann: Viele
träumen von einem Kuba, dass es nie wieder geben wird, und werden auf
Forderungen zur Rückerstattung ihres Eigentums bestehen. Da könnte Kuba zu
einem Schlachtfeld amerikanisch-kubanischer Anwälte
werden mit langwierigen juristischen
Auseinandersetzungen, die vieles blockieren dürften. Entscheidend wird sein, ob
und wie kühle Köpfe in Washington das Heft in der Hand behalten: Die Amerikaner
sollten sich flexibel zeigen und nicht auf Maximalforderungen bestehen. Ich
glaube immer noch, dass, sollte es Zeichen des Entgegenkommens aus Havanna
geben, die Amerikaner sich darauf einstellen und auch ihrerseits Entgegenkommen
signalisieren.

   
Im
Übrigen gibt es ja auch in den USA einen wachsenden Kreis von Unternehmern
und vor allem auch Landwirten
, die sich nichts so sehnlich wünschen wie eine
Möglichkeit, diesen kubanischen Markt endlich wieder zurückzuerobern
.

WELT.de: Was sollten
denn nun deutsche Unternehmer tun?

Schirmann: Wir
haben in Kuba einen guten Ruf, außerdem gibt es Zigtausende von Kubanern, die
in der Zeit der DDR Deutsch gelernt haben und an Deutschland interessiert sind.

Da ist ein Pfund, mit dem man wuchern muss.

   
Wer
Weitsicht hat, sollte sich diesen kubanischen Markt schleunigst einmal ansehen.
Wenn die Dinge dann in Bewegung kommen sollten, weiß man Bescheid und kann
losstarten
.

Artikel erschienen
am 09.09.2006 WELT.de 1995 – 2006

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