Morte di Chavez e incerto futuro del Venezuela

 
Le Figaro                   130306
 
Morte di Chavez e incerto futuro del Venezuela
 

La morte di Chavez apre un periodo di incertezza per il futuro del Venezuela.

Chavez ha peraltro preparato accuratamente la propria successione.

–       Tre erano i possibili “delfini” all’interno del regime e nel dicembre 2012 Chavez ha designato Nicolas Maduro, vicepresidente dall’ottobre 2012 e dal 2006 ministro degli Esteri.

–       Esclusi invece Elias Jaua, attuale ministro degli esteri e Diosdado Cabello attuale presidente dell’Assemblea Nazionale. Secondo Le Figaro (Patrick Bèle, Hector Lemieux06/03/2013 ) i tre rappresentano le principali correnti dello chavismo.

–       Nicolas Maduro, 51 anni, di provenienza sindacale, rappresenta l’ala cubana; l’investitura del presidente morituro gli dà l’aura di prescelto, nonostante la sua mancanza di carisma personale.

–       Diosdado Cabello, 50 anni, rappresenta l’alleanza fra chavismo e esercito; sconfitto da Henrique Capriles Radonsi nel 2008 quando si ricandidò governatore dello stato di Mirando; accusato di distrarre fondi pubblici per uso personale

 

–       Elias Jaua, 44 anni, professore universitario, esperto di economia, rappresenta la sinistra del movimento.

 

–       A breve i due esclusi non metteranno in discussione la successione, come non lo farà l’unica candidato dell’opposizione Henrique Capriles Radonski, che ha sfidato Chavez nell’ottobre 2012, prendendo il 45% dei voti, ma che ora ha già escluso

–       La stessa Mesa de Unidad Democratica – MUD, l’unione delle correnti di opposizione fondata nel 2008, benché nel 2010 alle politiche abbia raccolto il 47% dei voti, non è pronta a sfidare il chavismo, che “si è fatto Stato” (Ispi 6 marzo 2013), ha assorbito i vertici militari e si è garantito la fedeltà dei dipendenti pubblici e dei manager di stato.

–       A breve quindi l’esercito resterà fedele al regime, che ha inserito molti militari nel governo civile (11 dei 22 governatori regionali sono ex militari); prevarrà la mistica chavista e all’opposizione conviene aspettare che i nodi vengano al pettine. Intanto per spargere discordia nel campo avverso, la MUD ha sottolineato che secondo la Costituzione, l’interim spetterebbe al presidente del Parlamento, cioè , Diosdado Cabello, ma Capriles ha ufficialmente espresso la sua solidarietà alla famiglia di Chavez, chiamando i venezuelani all’unità per il bene del paese.

 

–       Se, come da copione, Maduro verrà eletto, si confermerà l’asse con Cuba. E’ evidente la preoccupazione del regime cubano rispetto al dopo Chavez, temono che se vince l’opposizione , venga interrotta la fornitura di petrolio a Cuba a prezzi di favore (giustificata da Chavez come compenso per il “prestito” al Venezuela di 35 mila medici e infermieri cubani). Una interruzione delle forniture venezuelane porterebbe Cuba alla fame. Maduro ha già mostrato come intende gestire il malcontento: scaricando sugli Usa l’accusa di avere avvelenato Chavez (sic) notoriamente morto di cancro. 

 

–       E’ vero che le sparate anti-Usa di Chavez non gli hanno mai impedito di fare affari con gli Usa, ma a livello di politica estera c’è stata la volontà di accreditare le alleanze che escludessero gli Usa. Ma Maduro per sopravvivere fra le difficoltà economiche ha bisogno dello spettro del “nemico alle porte”.

–       A breve quindi anche il quadro delle alleanze internazionali resterà immutato. Resterà la forte presenza nelle alleanze fra paesi latino-americani, come l’Alba (Alleanza bolivariana per i popoli del nord America), che comprende anche Cuba, Ecuador, Bolivia, Nicaragua, Honduras; l’Unasur (L’unione delle nazioni sud-americane) e il Celac ( Comunità degli stati latinoamericani e dei caraibi). Resterà l’esibita alleanza con l’Iran, l’unica sopravvissuta allo schema degli anni scorsi in cui fra gli alleati comparivano Gheddafi, Mugabe, Saddam Hussein….

 

La valutazione del dopo Chavez all’interno del paese è controversa.

–       Politicamente il paese è polarizzato fra chi venera Chavez come un santo in terra e chi ha festeggiato in pubblico la sua morte. Lettera 43 dell’8 marzo 2013 cita fra i dolenti davanti alle spoglie del defunto” i poveri, gli emarginati i contadini senza terra” e tutti coloro che sono stati beneficati da lui con l’assegnazione delle case popolari, con l’accesso gratuito alla scuola e alla sanità e con la possibilità di acquisti alimentari a prezzi convenzionati.

–       All’opposizione la classe media e le classi medio alte, i proprietari terrieri, gli imprenditori, i professionisti.

–       In particolare gli imprenditori sono stati soggetti a massicci espropri realizzati negli anni dall’esecutivo di Chávez; questo ha frenato gli investimenti, sia nazionali sia esteri, obbligando lo Stato ad aumentare la spesa pubblica per mantenere la crescita economica (+4,3% nel 2012). In questo modo, e compensando con l’enorme potere della holding statale del petrolio, la Pdvsa (che vale il 94% delle esportazioni del Paese), sono state tarpate le ali all’imprenditoria privata del Venezuela. Capriles se ne farà interprete.

–       C’è una terza corrente non ancora concretizzatasi in linea politica che guarda al modello Lula, che vuole che si mantenga il welfare del chavismo ma rivedendo le nazionalizzazioni e liberalizzando l’economia. Chiedono anche più sicurezza (il Venezuela è fra i più violenti fra i violenti stati latino americani: 73 omicidi per 100 mila abitanti) e una nuova politica estera, che rompa con i regimi di Paesi quali Siria, Iran e Russia e riveda i programmi di aiuti economici destinati a Cuba, Bolivia e Nicaragua.

–       Quindi, fra i meriti che vengono ascritti a Chavez è di aver ridotto la povertà e si citano i numeri della Comisión económica para América Latina y el Caribe (Commissione economica dell’America latina e dei Caraibi): tra il 1999 e il 2012 la percentuale di venezuelani sotto la soglia di povertà è passata dal 49,4% al 27,8%. Ma i critici osservano senza tante fanfare anche Perù, Colombia Messico e Brasile hanno ridotto di altrettanto la povertà nei loro paesi. 

–       In cambio l’Ispi del 6 marzo nella sua analisi negativa del chavismo parla di “macerie economiche, rovine istituzionali, abissi d’odio” e anche di “un deficit schizzato al 20% del prodotto nazionale, un debito estero dieci volte maggiore di dieci anni fa, importazioni fuori controllo, la moneta svalutata del 40%, l’inflazione più alta del continente, gli investimenti fermi al palo, la produzione di petrolio inferiore alle quote previste dall’Opec”.

–       Per carenza di manutenzione “la più grande raffineria del paese è esplosa, lasciando sul terreno decine di morti e obbligando a importare benzina da Washington”.

Con le immense risorse date dalle vacche grasse del prezzo del petrolio il governo “ha speso, speso e ancora speso” per acquistare il consenso, “consenso pompando la spesa pubblica e gonfiando l’esercito dei dipendenti statali” “Il consumo ha insomma prevalso sulla produzione, il nazionalismo sulla razionalità, il clientelismo politico sulla buona amministrazione”

–       La polemica su Chavez travalica del resto i confini nazionali, in Italia ad esempio si sottolinea che Chavez fu eletto nel 1998 cavalcando il tema dell’antipolitica, della lotta alla corruzione e chiedendo l’aumento dei salari, facendo neanche tanto nascostamente il parallelo con Grillo.

–       Le Figaro ricorda che quando nel 2002 la Confederazione dei lavoratori del Venezuela lancia lo sciopero nell’industria petrolifera contro il governo Chavez, il presidente licenziò 19 mila quadri tecnici  (6 marzo, titolo “Hugo Chavez, la fin d’un provocateur”); negli ultimi anni teneva per molte ore un programma televisivo, durante il quale nazionalizzava in diretta le imprese. Lo stesso Maduro ha ricevuto la sua investitura durante una trasmissione televisiva in diretta dell’8 dicembre. Anche le Figaro sottolinea che il paese è economicamente indebolito, le industrie dell’alluminio, del cemento, la produzione agroalimentare, un tempo floride, sono diventate del tutto inefficienti dopo la nazionalizzazione, la produzione petrolifera ristagna ai 2,7 milioni di barili al giorno, tanto che il Venezuela è uscito dalle top ten petrolifere. Il paese dipende sempre più dall’importazione per far fronte ai bisogni primari, importa meno dagli Usa ma sempre di più da Cina e Brasile.

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