NO AL RAZZISMO – FERMIAMO POGROM E PULIZIA ETNICA!

Gli avvenimenti di Napoli insieme a centinaia di episodi diffusi di aggressione e intolleranza razzista nei confronti della popolazione rom, alimentati da una campagna di stampa rinfocolata dai risultati elettorali e dai proclami del nuovo governo sono segnali d’allarme che non vanno sottovalutati.

Si è passati dal soffiare sul fuoco ad appiccarlo, e solo per caso non si sono ancora avute vittime innocenti. Ma sono state organizzate e continueranno operazioni di vera e propria pulizia etnica contro i rom, ad opera di comuni, forze di polizia oppure folle il cui disagio viene scatenato contro i nuovi arrivati che in quanto troppo poveri non possono permettersi una casa in muratura.

Singoli episodi di delinquenza o presunta tale, amplificati da mass media incendiari pronti a sbattere il mostro straniero in prima pagina, vengono attribuiti a un’intera etnia o nazione, in violazione di ogni criterio di civiltà e di razionalità. Nella percezione di massa, i 12 omicidi commessi da immigrati pesano così più degli 88 omicidi commessi da italiani contro 100 vittime italiane; il 23% di stranieri autori di violenze sessuali su persone italiane suscita più indignazione del 77% di violentatori italiani (se invece consideriamo le vittime straniere, gli autori italiani delle violenze salgono addirittura all’88%). Il reato commesso dallo “straniero”, in quanto diverso, viene generalizzato a tutti i suoi connazionali o a tutti gli stranieri tout court; quello commesso da italiani (spesso da mariti e padri) nella percezione collettiva rimane un caso individuale: l’abbiamo visto coi guidatori ubriachi e lo rivediamo ogni giorno: lo stupro di una donna delle pulizie romena il 15 maggio a Roma ad opera di un italiano è passato pressoché inosservato; quello di una studentessa italiana ad opera di un rom a Milano il giorno successivo ha avuto le prime pagine con dovizie di particolari.

Le tendenze e le azioni xenofobe e razziste vanno contrastate con fermezza, promuovendo la solidarietà tra giovani e tra lavoratori italiani e immigrati, smascherando la falsità delle ideologie razziste, e favorendo l’organizzazione degli immigrati perché possano avere una voce e una difesa.

Va combattuto il razzismo rozzo ma anche quello raffinato che si presenta in veste legalitaria. La distinzione che viene fatta da costoro, quasi a voler dimostrare di “non essere razzisti”, è quella tra immigrati regolari e clandestini. Il Ministero degli Interni (con Amato) ha ammesso che gli immigrati regolari hanno lo stesso tasso di criminalità degli italiani (5-6% della popolazione, 5-6% dei crimini). Il problema quindi sarebbe nei clandestini, e le statistiche mostrano che gli immigrati irregolari hanno un tasso di delinquenza molto superiore alla media. Secondo il precedente governo e ancor più secondo quello attuale la soluzione del problema starebbe quindi nella repressione degli immigrati irregolari, nel dare loro la caccia ed espellerli. Questa tesi è velleitaria, reazionaria, e nasconde una evidente malafede e falsità, scientifica e politica.

È velleitaria perché nessun apparato repressivo è in grado di fermare milioni di uomini disposti spesso a rischiare la vita (si pensi alle migliaia colati a picco sulle carrette del mare e a quelli soffocati dentro camion frigoriferi) per fuggire da condizioni disperate di miseria e di fame sperando di trovare in Europa il modo di guadagnarsi una vita decente.

È reazionaria innanzitutto perché è la negazione di ogni solidarietà sociale e vuol condannare alla galera o a una vita peggiore della galera nei paesi di provenienza chi ha la sola colpa di essere nato in un paese ad alto tasso di miseria; è inoltre reazionaria anche perché l’economia e la società italiana hanno bisogno di più immigrati se non vogliono declinare. Senza gli immigrati la popolazione italiana sarebbe diminuita di diversi milioni di unità nell’ultimo decennio, e cadrebbe ancora di più nei prossimi, l’Italia diverrebbe un paese di vecchi senza chi li curi e li mantenga; l’economia si avviterebbe su se stessa, non vi sarebbero braccia per edilizia, agricoltura e per molti settori industriali e dei servizi (ristorazione), non vi sarebbe domanda di case, di auto e di ogni bene di consumo.

È in malafede perché molti di coloro che sbraitano contro i clandestini li utilizzano e li sfruttano come badanti, donne delle pulizie, sguatteri, camerieri, manovali, braccianti a prezzi stracciati e senza assicurazione.

La linea dell’espulsione è scientificamente e politicamente falsa perché presenta la clandestinità come la causa della criminalità, nascondendo il fatto che essa è l’effetto della politica dei governi e dei parlamenti passati e presenti, di centro-destra come di centro-sinistra, e non delle scelte dei migranti. I clandestini (chi è entrato in Italia irregolarmente) e gli irregolari (chi è entrato in Italia regolarmente ma non è poi rientrato al paese d’origine alla scadenza del permesso/visto) lo sono contro la propria volontà, perché condannati a questa condizione dallo Stato italiano. Le leggi italiane, dalla Turco-Napolitano alla Bossi-Fini, non permettono di regolarizzarsi a chi vuole lavorare e potrebbe trovare un lavoro regolare, costringendoli all’alternativa tra farsi sfruttare in condizioni spesso disumane da padroni senza scrupoli, e vivere di espedienti e di attività al limite o oltre il limite della legalità. È lo Stato italiano con le sue leggi a creare i clandestini e gli irregolari, a spingere centinaia di migliaia di persone (le stime di circa 700 mila sono quasi certamente delle sottostime) ai margini e nella penombra, a spingerli nelle grinfie della malavita.

È lo Stato italiano, sono i partiti che siedono in parlamento e che promettono la caccia al clandestino i veri responsabili della condizione di irregolarità e clandestinità e della criminalità che ne risulta.

A parte il fatto che una quota rilevante dei reati di cui i clandestini sono incriminati si riferiscono alla violazione delle norme sull’immigrazione, per cui sono l’effetto diretto delle leggi xenofobe italiane, la vera prevenzione della delinquenza sarebbe la regolarizzazione di tutti coloro che lavorano o sono alla ricerca di un lavoro, ma oggi non lo possono trovare perché privi dei documenti. Lo dimostra ad esempio il fatto che “nel 1990 (sanatoria legge Martelli), nel 1995 (sanatoria decreto Dini), nel 1998 (sanatoria legge Turco-Napolitano), nel 2002 (sanatoria legge Bossi-Fini) la percentuale di stranieri denunciati per spaccio di droga è diminuita nettamente, come risulta da uno studio di Marzio Barbagli”.[1]

Questo lo sanno tutti, ma fingono di non saperlo. Tenere nel limbo dell’irregolarità una massa di lavoratori serve a chi li può così sfruttare in nero, senza rispettare tariffe e regole contrattuali, senza pagare contributi, con la possibilità di ricattarli e cacciarli in ogni momento. Serve inoltre ad avere un capro espiatorio contro cui convogliare le frustrazioni e la rabbia soprattutto degli strati più bassi tra i lavoratori italiani, per le difficoltà sul mercato del lavoro, per i bassi salari, per la carenza di servizi sociali, deviandola dai veri responsabili: governi e sistema capitalistico.

Gli stessi fenomeni visti nei decenni passati nelle città del Nord contro gli immigrati dal Sud vengono oggi amplificati nei confronti degli immigrati stranieri con le tinte fosche di xenofobia e razzismo.

Per i rom provenienti dalla Romania va fatto un discorso a parte. Abbiamo già accennato al debito storico dell’Europa nei loro confronti, in quanto questo popolo venne tenuto schiavo per secoli, è stato oggetto di sterminio da parte della Germania nazista, e tuttora porta con sé gli effetti di una storia di discriminazioni. La loro è una fuga a migliaia di famiglie da situazioni insostenibili. Come gli altri romeni, polacchi ecc. essi non sono clandestini e neppure irregolari, perché ora sono “europei”. Ma il governo Prodi ha voluto che fossero europei di serie B, con disposizioni che impediscono ai “neocomunitari” di essere assunti nella maggior parte dei settori di lavoro. Nessuno di loro, che non avesse già ottenuto un permesso di soggiorno prima del 2007, può accedere alle agenzie di lavoro interinale o ai centri provinciali per l’impiego. Queste disposizioni discriminatorie scadevano il 31 dicembre 2007, ma il 9 gennaio 2008 sono state prorogate dal governo per tutto il 2008: né questo provvedimento anti-romeni, né le posizioni anti-rom di Veltroni e di tanti esponenti “democratici” sono serviti a far loro vincere le elezioni, ma in cambio i romeni e i rom in particolare rimangono relegati in un pesante ghetto giuridico che li discrimina accentuando il loro svantaggio in termini di istruzione e impedisce loro di trovare un lavoro e quindi una casa, in un circolo vizioso che fa gonfiare i “campi nomadi” di gente che nomade non è, riedizioni delle baraccopoli che negli anni ’60 e ’70 sono sorte attorno ai grandi centri urbani del Nord e del Centro.

Questa ghettizzazione giuridica dei rom li costringe a offrirsi come manovali per 3-4 euro l’ora in nero o a vivere di espedienti escludendone gran parte dal circuito economico; se fosse loro permesso di trovare un lavoro regolare, sarebbero in grado di procurarsi una casa svuotando le baraccopoli. Se il denaro utilizzato nella repressione e nelle missioni militari, insieme a quello stanziato dalla UE contro le discriminazioni e non utilizzato dall’Italia lo fosse per offrire formazione professionale a coloro che non ne hanno avuto la possibilità (rom per primi), anche la microcriminalità crollerebbe. La “gente perbene” che grida contro l’uso di fondi pubblici per l’inserimento degli immigrati (scuole materne, scuole e corsi professionali, sanità, case popolari) non disdegna di sfruttare manodopera qualificata immigrata, i cui costi di formazione sono stati sostenuti dalle comunità di provenienza.

Gli immigrati non “rubano” il lavoro agli italiani, non solo perché occupano in gran parte lavori pesanti e disagiati che questi rifiutano, ma perché è il lavoro che crea lavoro (e crea anche il capitale in mano alla borghesia). Occorre contrastare con decisione la campagna che contrappone lavoratori italiani ai lavoratori stranieri: è interesse anche dei lavoratori italiani che i loro compagni immigrati abbiano parità di diritti, e possano organizzarsi e lottare insieme a loro per difendere le comuni condizioni di lavoro e il salario; se vengono tenuti nell’irregolarità essi sono costretti a far loro concorrenza accettando condizioni peggiori.

Sul territorio, nei luoghi di lavoro, nelle organizzazioni sindacali l’impegno dei comunisti deve essere per l’unità proletaria e internazionalista tra i lavoratori italiani e immigrati, e per contrastare ogni forma di discriminazione e razzismo.

Il capitalismo ha fatto della classe lavoratrice una classe internazionale, ma ha generato profonde differenze al suo interno. Solo il superamento di queste differenze nella lotta comune potrà permetterle di ingaggiare la battaglia contro il dominio del capitale, per una società solidale.

 
Pagine Marxiste
 

Leggi l’appello [che sottoscriviamo] del
Comitato antirazzista milanese
per una mobilitazione il 13 e 14 giugno a Milano

[1] Marco Rovelli, Clandestino e criminale. Dati, assiomi, corollari, http://www.carmillaonline.com/archives/2007/11/002452.html

Leave a Reply