Valsusa, affari e manganello

Il governo ha cacciato con la violenza poliziesca il presidio degli
attivisti della Valsusa che vigilavano contro l’inizio dei lavori del
TAV Torino-Lione.

Denunciamo questa grave aggressione ed esprimiamo solidarietà agli attivisti feriti.

Ancora una volta lo Stato mostra il suo carattere repressivo, di
comitato d’affari della classe dominante, e ci conferma nella nostra
lotta per una società senza classi e senza Stato.

La questione TAV Torino-Lione va vista sotto due aspetti
principali: l’utilità dell’opera per il capitalismo italiano, e i
riflessi sulla popolazione locale.

Sul primo aspetto, tecnici che hanno già prestato consulenza
al governo hanno sottolineato l’enorme spreco di risorse costituito
dalla costruzione di questa linea (tra i 13 e i 17 miliardi di euro a
carico dello Stato italiano) dato che la linea attuale è utilizzata
solo per circa un terzo, e il suo eventuale potenziamento coprirebbe il
fabbisogno di trasporto ferroviario per diversi decenni almeno.
La TAV Torino-Lione non corrisponde quindi a un effettivo “interesse
generale” del capitalismo italiano. Certo gran parte dei gruppi
economici italiani, autostrade della regione in testa, vedrebbero
meglio quel denaro speso diversamente, o non prelevato con le tasse, ma
hanno evitato di dare battaglia, avendo evidentemente altri favori da
ottenere.
Vi è una componente di “prestigio nazionale”, emersa nella battaglia in
sede UE per far passare il “Corridoio V” Lisbona-Kiev a sud, anziché a
nord, delle Alpi; dato che la Francia non considerava l’opera
strategica, l’Italia si è offerta di accollarsi anche metà del costo
sul versante francese…
Le decisioni a favore del TAV Torino-Lione sono però mosse
principalmente da interessi particolari, soprattutto quelli legati al
settore delle costruzioni, cui non è estraneo lo stesso ministro Pietro
Lunardi la cui società RockSoil, ora “ceduta” a familiari, ha ottenuto
l’incarico di progettazione dell’opera.
Il fatto che tutti i maggiori partiti nazionali sono a favore della
costruzione della tratta significa solo che questi interessi sono tanto
forti da essersi comperati il loro consenso. Essi sono pronti a gettare
l’equivalente di una legge finanziaria per fare tunnel sotto le Alpi
che rimarranno ampiamente inutilizzati, mentre ogni giorno centinaia di
migliaia di lavoratori sopportano ore di code sulle strade e ritardi
sui treni per mancanza di investimenti su strozzature viarie note da
decenni. I lavoratori sono costretti a pagare tasse che serviranno a
rimpinguare i profitti di gruppi privati, di cui qualche rivolo si
trasformerà in tangenti a pubblici funzionari e politici, ad uno Stato
incapace di garantire loro una mobilità decente.
Tutto questo dimostra solo come lo Stato e il sistema dei partiti
parlamentari siano in mano ai vari gruppi affaristici, e che la
democrazia rappresentativa borghese, lungi dal porvi un argine, è uno
strumento per il loro dominio.

La mobilitazione contro il TAV è nata con i caratteri localistici e
interclassisti tipici di questi casi, in cui interessi legati alle
proprietà immobiliari si mescolano con la protezione di salute e
ambiente.

La popolazione locale ha manifestato una decisa opposizione
per i disagi, i danni economici e i pericoli per la salute che i lavori
(per un decennio almeno) e l’esercizio del TAV comportano e potrebbero
comportare, anche per la presenza di amianto e uranio.
Indipendentemente dalle valutazioni sull’utilità dell’opera, governo,
enti e società promotori e responsabili del progetto anziché affrontare
fino in fondo queste preoccupazioni, valutare i rischi, studiare i
possibili rimedi e indennizzare i danni economici, hanno proceduto per
diktat e con la militarizzazione della valle. In Francia ad esempio la
distanza minima tra la linea ad alta velocità e le case è di 150 metri,
contro i 30 metri dell’Italia.
Il governo ha mostrato il volto della sprezzante tracotanza del
ministro-affarista e alla mobilitazione della popolazione non ha saputo
rispondere con altro strumento che i manganelli. Una ragione in più
perché coloro che si sono mobilitati contro il TAV riflettano sul ruolo
di classe dello Stato e sulla necessità di contrapporre il protagonismo
dei lavoratori all’ingannevole parlamentarismo borghese.
Per questo una lotta che è nata come localistica può contribuire a rafforzare la consapevolezza comunista.

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