Il Chad decreta lo stato di emergenza di fronte alla “gravità” degli attacchi dei ribelli(anche Nyt, 31.10.06, Tschadactuel

Le Monde                061113

Il Chad decreta lo stato di
emergenza di fronte alla “gravità” degli attacchi dei ribelli

 (cfr. anche
Nyt, 31.10.06, Tschadactuel, vari artt)

*        Gli scontri
nell’area di confine tra Sudan e Chad – importante per le rotte petrolifere e
per nuovi giacimenti da sfruttare –

 tra gruppi etnici e
tra alcuni di questi e milizie arabe sono utilizzati di volta in volta dal governo
centrale sudanese, da quello traballante del Chad, a sua volta appoggiato dalla
Francia.

*        Il Sudan ha
respinto l’intervento delle forze ONU in Darfur, in sostituzione di quelle
dell’Unione Africana;

*         intende
rafforzare la propria presenza militare nella regione;

*        la Cina ha
appoggiato finanziariamente la missione della UA in Darfur.

————————

–  
Le Monde: In Chad decretato lo stato d’emergenza per
frenare gli scontri tra le tribù arabe e non arabe che imperversano nell’est da
dieci giorni,

che secondo il governo del Chad farebbero parte di una
strategia del governo sudanese per destabilizzare il Chad.

–  
Tschadactuel: lo stato d’emergenza dovrebbe servire al
presidente chadiano Déby a giustificare l’intervento francese.

Le Monde La maggior parte degli attacchi, dall’inizio
dell’anno non solo ai confini con il Sudan ma anche molto all’interno, sarebbe
opera di gruppi arabi in divisa e fortemente armati a cavallo, scortati da
veicoli, contro popolazione appartenente soprattutto alla tribù Daju;

–  
potrebbero essere i Djandjaweed, i cavalieri arabi
complementari all’esercito regolare sudanese che negli ultimi tre anni hanno
massacrato la popolazione in Darfur, bruciando i villaggi. Attaccano gridando
slogan razzisti (‘zurga,’ negri);

NYT: secondo testimonianze raccolte, gli attacchi sarebbero condotti
da arabi del Chad
, un conflitto interetnico, con 30 000 profughi,
100 vittime.

Storicamente le divisioni razziali hanno avuto scarso peso
nel Darfur ed Est Chad, ma l’ideologia razzista, agitata tra gli arabi nomadi
senza terra del Darfur contro gli agricoltori non arabi negli anni 1980, costituisce
la base dell’attuale conflitto su terra, risorse e identità.

La struttura etnica del Chad orientale è simile a quella del
Darfur, il confine tra le due regioni non ha moto significato pratico per gli
abitanti che vivono, commerciano e si sposano attraverso il confine, e le cui
famiglie e tribù spesso lo attraversano.

Nei primi mesi 2006 i Djandjaweed hanno cacciato circa
50 000 abitanti dai villaggi del Chad al confine con il Sudan.

Le ONG si sono astenute finora dall’accusare il Sudan, ma
hanno rilevato il carattere organizzato dei raid e la somiglianza con quanto
accaduto in Darfur.

Secondo l’alto commissariato ONU per i rifugiati ci
sarebbero stati oltre 300 morti, di cui 220 nel solo settore di Goz Beïda, a
700 km a est della capitale N’Djamena, e migliaia di profughi.

 

—————

Le Monde                061115

Roland Marchal, ricercatore del Centre d’études et de
recherches internationales (CERI) – Centro studi e ricerche internazionali di Parigi

"In Chad é oggi più
elevato il rischio di una destabilizzazione permanente"

Per il ricercatore del CERI

  • –  
    Chad e Repubblica centrafricana rischierebbero la
    destabilizzazione per lo sconfinamento del conflitto in atto nel Darfur.
  • –  
    Incapacità di Francia e occidentali di evitare la
    regionalizzazione della crisi.

Nel quadro complessivo del conflitto in Darfur e della crisi
di regime in Chad

  • La
    Francia sostiene militarmente Chad e Repubblica Centrafricana, si sarebbe resa
    conto in ritardo della regionalizzazione della guerra in Darfur, ha reagito
    solo quando ormai il presidente del Chad era indebolito.
  • Sudan
    e Chad stano facendosi guerra tramite milizie varie e gruppi di ribelli,
  • come
    dimostrato dal tentativo di putsch (aprile 2006, fallito) di un ex ministro del
    Chad,
    [1]
    divenuto capo di un gruppo di ribelli, il Fronte Unito per il cambiamento
    democratico (FUC), autorizzati dall’autunno 2005 dal governo sudanese a usare
    le sue basi in Darfur per attaccare la capitale del Chad.
  • il
    governo sudanese di Kartoum, che prima foraggiava il presidente del Chad, Déby,
    per indebolire i movimenti di opposizione del Darfur ha cambiato strategia
  • perché
    Deby accettava i finanziamenti ma aiutava i movimenti di opposizione al governo
    centrale sudanese.
  • Il
    nuovo gruppo di ribelli del Chad, l’UFDD, che accoglie tre altri gruppi,
    [2]
    è appoggiato da Kartoum.
  • Indifferenza
    totale di USA e ONU per il dramma della popolazione del Centrafrica; nonostante
    la destabilizzazione riguardi anche questo paese, se ne occupa direttamente
    solo la Francia.

—————————

  • alcuni gruppi di ribelli del Chad  hanno stretto alleanze e nel contesto del conflitto del
    Darfur, con il governo o con i ribelli sudanesi
    .
  • alcuni gruppi ribelli nell’Est sono armati dal presidente del
    Chad Idriss Déby, e
  • altri gruppi pensano di poter regolare i conti approfittando
    del fatto che le forze armate governative sono paralizzate dai movimenti
    ribelli;
  • è divenuto più facile e meno costoso armarsi, le armi offerte
    dal Sudan e dal Chad possono essere rivendute;
  • Dall’autunno 2005 il gruppo ribelle Fronte Unito per il
    cambiamento democratico è stato autorizzato da Kartoum ad utilizzare i suoi
    campi nel Darfur per attaccare il Chad. Il suo capo, Mahamat Nouri, nell’aprile
    aveva condotto un’offensiva [respinta] contro N’Djamena, la capitale del Chad.

—————-

Le Monde                061030

Nei recenti attacchi dei
ribelli (sudanesi?) in Chad, che chiedono la dimissione del presidente Déby, è
stato ucciso  il capo stato maggiore
Moussa Seugui, a pochi mesi da quella del generale Ababar Yousouf Mahamat,
nipote di Déby. I ribelli hanno conquistato due città.

Le incursioni degli insorti
sudanesi (?) in Chad sono rivendicate dall’Union des forces pour la démocratie
et le développement (UFDD).

Il governo del Chad accusa
il Sudan di aver bombardato 4 località di confine; il Sudan accusa il Chad di
appoggiare i ribelli del Darfur.

—————

Tchadactuel                 061107

Le figure di maggior rilievo
nel governo del Chad:

  • Abbass Tolli, ministro Finanze, si occupa in
    realtà solo degli introiti petroliferi, del loro piazzamento in banche, di
    acquisto di ville in Camerun, Benin, Burkina e Francia, dell’acquisto di armi,
    di mercenari,,,
  • Adoum Younousmi, responsabile per le
    infrastrutture e per tutti gli investimenti (per gli investimenti gli altri ministeri
    esistono solo di nome), incaricato dei fondi occulti e delle relazioni
    equivoche; è il principale finanziere di Déby, gestisce tutti gli affari di
    tutti i ministeri, si occupa della Cina (armi, merci varie), gestisce l’Asecna
    (attività nazionali?) assegna i posti nell’amministrazione a membri dell’etnia
    Gorane (quella del presidente Déby), preprara il dopo-Déby.
  • Bichara Issa, ministro della Difesa, ma ignorante
    di tutto; di fatto il capo di stato maggiore che dirige le operazioni è ancora
    Déby.
  • Rackiss
    Manani, ex capo di impresa ed ex presindete del padronato, fa parte del governo
    ma non se ne è ancor reso conto.
  • Gli altri ministri sono solo dei salariati che
    temono di perdere il loro posto.

—————-

Tchadactuel 
061010

Gli scontri tra ribelli sudanesi – non firmatari
dell’Accordo di Abuja, raggruppati nel Front National de Rédemption (FNR) -, e
l’esercito sudanese del 6-7 ottobre, ha visto la partecipazione dell’esercito
del Chad a fianco dei ribelli sudanesi.

Grazie ai rinforzi del Chad le forze del FNR/ANT hanno
annientato i sudanesi, con molti morti, feriti e prigionieri; molte le vittime
civili degli scontri.

Il presidente chadiano Déby, che ha serie difficoltà nella
gestione delle sue forze armate, ha sfruttato l’occasione per utilizzare le
truppe, obiettivo la presa dela città di confine Tiné, dove i ribelli sudanesi
dovrebbero organizzare la loro base.

Déby propagherebbe informazioni false ad uso interno, sul
presunto appoggio da parte dei gruppi di ribelli del Chad alle forze sudanesi.
Tali informazion sono riprese dalla stanpa franco-africana.

Secondo Tchadactuel nessun gruppo armato di
resistenza chadiana ha partecipato agli scontri in territorio sudanese.

Finora solo la Cina ha appoggiato con $1mn. le operazioni
dell’Unione Africana (UA) per la pace nel Darfur; la missione AMIS della UA è
stata prorogata fino a fine 2006, anziché sostituirla con una missione ONU, per
il rifiuto dal parte del governo sudanese.

Su Le Monde, 2.11.06, Fabrice Weissman, della
fondazione Médicins sans frontières France: la missione ONU è ritenuta da Stati
Uniti, GB, Francia, UE, UA e alti responsabili ONU come il miglior sistema per
soccorrere la popolazione nel Darfur (200 000 vittime di cui 1/3-1/4 per
morte violenta); è però illusorio pensare che con il rifiuto del Sudan, l’ONU
possa “imporre” la pace in Darfur, ed è un inganno farlo credere alla
popolazione della regione.

«La strategia attuale della comunità internazionale non è in
grado di porre freno alla ripresa delle violenze contro i civili, mentre
contribuisce a mettere in pericolo le operazioni di soccorso vitali da cui
dipendono più di 1/3 degli abitanti del Darfur».

Il governo centrale sudanese intende dispiegare 15 000
forze aggiuntive nel Darfur (500mila km2), dove vi è la prospettiva
dello sfruttamento di risorse petrolifere, e i governi locali non sono in grado
di imporre condizioni favorevoli alle multinazionali.

I paesi dell’arco petrolifero africano (dal Golfo di Guinea,
al Chad ai paesi sul Nilo) potrebbero in un prossimo futuro venire coinvolti in
sanguinosi scontri come quelli già in atto per il petrolio e le materie prime.

Al centro della contesa sarebbe la costruzione di oleodotti,
come per quello Chad-Camerun, a cui sono interessate diverse società
petrolifere: la francese Total, la cinese CNPC, la malese Pétronas, la svedese
Lundin, l’austriaca OMV, la canadese Talisman e la statunitense Exxon Mobil.

L’oleodotto
dovrebbe passare per il Darfur
[?? notizia poco chiara perché non
risulta che la rotta debba essere questa, inoltre esiste già un oleodotto
Chad-Camerun – N.d.T.] e dovrebbe cercare di evitare le aree a rischio, in
particolare quelle arabe.

L’India sta pensando ad un oleodotto progettato tra le
società ONGC e Reliance Petroleum in accordo on il governo sudanese;
l’oleodotto dovrebbe passare anch’esso in Darfur.

Gli USA hanno appoggiato quelle milizie del sud Darfur (ce
ne sarebbero una decina, di cui una sola ha firmato il 5 maggio 2006 l’accordo
con il governo centrale) che mirano alla secessione; diverse missioni
cristiane, che beneficiano di consistenti aiuti finanziari negli USA, stanno
alimentando da diversi anni l’odio razziale contro gli arabi. Tra i gruppi cui
gli USA hanno fornito addestramento, armi e denaro l’APLS, il Justice and
Equality Movement, JEM, legato al fondamentalista islamico Al Turabi.


[1] Il generale Mahamat Nouri, ambasciatore del
Chad in Arabia Saudit
a, si è unito ai ribelli nello scorso maggio.
Nouri, uno degli ultimi pilastri del regime di Déby, ha abbandonato la barca.
Per oltre 7 anni ministro dell’Istruzione e della Difesa, Mahamat Nouri, a
abbandonato il governo nel 2004, prima della sua nomina ad ambasciatore. Le sue
dimissioni sono state una sorpresa, in quanto era considerato uno dei papaveri
strettamente legato al regime. Nouri, d’etnia Gorane, molto influente e temuto dalla sua
comunità, è riuscito a cementare questa etnia attorno al presidente Idriss Déby Itno.

Con
i generali Alifa Weddeye e Moussa Sougui Hawar anch’essi Gorane, il generale
Nouri ha salvato finora la poltrona di Déby Itno con la sua tribù dei Gorane,
famosa per la sua combattività nelle forze armate
. Sono stati i due
generali Weddeye e Sougui Hawar a respingere due volte i ribelli del Chad, che
sono riusciti a far saltare  lo
sbarramento strategico dell’importante guarnigione di Adré considerata una
roccaforte imprendibile. Les Gorane ont aussi joué un rôle important dans
la bataille de N’Djamena le 13 avril dernier.

[2] Da WarNews,
23 ottobre 2006: Secondo Acheikh Ibn Oumar, ex ministro e ambasciatore del
Chad, il 22 ottobre tre gruppi ribelli si sarebbero fusi sotto il nome di
Unione delle Forze per la Democrazia e lo Sviluppo (UFDD, Union des forces pour
la démocratie et le développement): il Consiglio democratico rivoluzionario, comandato da
Ibn Oumar, l’Unione delle
forze per il progresso e la democrazia
dell’ex ministro della difesa Mahamat Nouri, e il Fronte unito per il cambiamento
(FUC). Ai primi di aprile il FUC aveva tentato un colpo di Stato, lanciando
un’offensiva, respinta dall’esercito il 13 aprile alle porte di N’Djamena. In
precedenza i ribelli avevano occupato Goz Beïda obbligando il personale
dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a fuggire. A
seguito del fallimento del putsch il capo del FUC, capitano Mahamat Nour, è stato cacciato dai membri del
gruppo

Le Monde            061113

Le Tchad décrète
l’état d’urgence face à la "gravité" des attaques de rebelles

–    Le
gouvernement tchadien a décrété, lundi 13 novembre, l’état d’urgence sur
l’essentiel de son territoire, y compris la capitale, N’Djamena
.

–    Ces mesures exceptionnelles visent à enrayer les combats
entre tribus arabes et non arabes qui embrasent l’est du pays depuis une
dizaine de jours
, et qui auraient fait plus de trois cents morts, dont deux cent vingt dans le
seul secteur de Goz Beïda
, à sept cents kilomètres à l’est de N’Djamena,
et des milliers de déplacés,
selon un bilan provisoire établi le 9 novembre par le Haut Commissariat des
Nations unies pour les réfugiés
.

Les autorités de
N’Djamena ont décidé, à l’issue d’un conseil des ministres extraordinaire,
d’installer, "compte tenu de la gravité de la situation et de l’ampleur
que prennent ces affrontements", des ministres aux pleins pouvoirs dans
les régions placées sous état d’urgence. En outre, la "censure préalable" a été rétablie
pour les journaux privés du pays
, ainsi que l’interdiction du "traitement par les radios
des questions pouvant porter atteinte à l’ordre public, à l’unité nationale, à
l’intégrité du territoire et au respect des institutions républicaines
".

LE SOUDAN MIS EN
CAUSE

Selon les récits
recueillis, la plupart des attaques sont le fait de groupes arabes en tenues militaires,
lourdement armés, circulant pour la plupart à cheval et escortés de véhicules.
Ceux-ci pourraient bien être des "Djandjawids", ces cavaliers arabes supplétifs de
l’armée du Soudan, qui multiplient depuis trois ans les massacres de populations
africaines dans la région soudanaise voisine, le Darfour
.

–    Les
organisations humanitaires se sont jusque-là gardées de mettre en cause le
Soudan, mais ont relevé le caractère "organisé" des  raids et leur similitude avec les événements
du Darfour
.

–    Le
gouvernement tchadien n’a quant à lui pas hésité à mettre ces violences sur le
compte d’une "stratégie globale élaborée et mise en œuvre par le
gouvernement soudanais pour la déstabilisation du Tchad"
. Il avait déjà accusé le Soudan de
soutenir les rebelles, voilà trois semaines.
Khartoum
avait catégoriquement nié.

 

Fiche pays

Tchad

Chef de l’Etat :
Idriss Déby

Premier ministre :
Pascal Yoadimnadji

Capitale : N’Djamena

Superficie : 1 285
000 km2

Population (hab.) :
9,5 millions

Densité : 7 hab./km2

Monnaie : franc CFA
BEAC (0,001586 €)

—————————

Le Monde            061115

Roland Marchal,
chercheur du Centre d’études et de recherches internationales (CERI) à Paris

"Au Tchad,
les risques d’une déstabilisation durable sont plus élevés aujourd’hui"

Selon le chercheur Roland Marchal, du Centre d’études et
de recherches internationales (CERI) à Paris, le Tchad et le Centrafrique sont
menacés de déstabilisation par un débordement du conflit du Darfour. Il
souligne également l’incapacité de la France et des Occidentaux à prévenir une
régionalisation de la crise.

Les violences dans
l’est du Tchad entre Arabes et non-Arabes sont-elles un signe tangible d’un
débordement du conflit du Darfour ?

–    Il y a déjà eu des affrontements importants dans le passé.
Personne alors ne les avait liés à la situation soudanaise.

–    Ce
qui a changé
avec le conflit au Darfour et la
crise de régime au Tchad
, c’est que certaines populations dans l’Est sont armées par le
président tchadien Idriss Déby
,

–    que certains se disent qu’ils peuvent régler des comptes
maintenant que les forces armées tchadiennes sont tétanisées par les mouvements
rebelles
.

–    Il est aussi devenu très facile et peu onéreux de
s’approvisionner en armes et en munitions
, car celles qui sont offertes
par Khartoum ou N’Djamena peuvent être revendues. Et on peut aussi, pour régler
des rivalités locales, les réinscrire dans le contexte du Darfour pour faire
des alliances.

Peut-on considérer
que les régimes tchadien et soudanais se livrent une guerre par milices et
rebelles interposés ?

–    Oui, et cela depuis l’automne 2005 lorsque Mahamat Nour (le chef du
groupe rebelle du Front uni pour le changement démocratique – FUC –, qui a mené
une offensive ratée contre la capitale tchadienne, N’Djamena, en avril) et ses
amis ont été autorisés à utiliser leurs camps au Darfour pour mener des
attaques contre le Tchad.

–    Cette
décision soudanaise a été prise sur la base d’une réévaluation du rôle de Déby
et de ses proches dans le conflit au Darfour : d’un côté ils recevaient de l’argent
de Khartoum pour affaiblir les mouvements darfouriens, de l’autre ils aidaient
ces derniers ou acceptaient de voir leur territoire utilisé comme sanctuaire
.

Au Tchad, les
risques d’une déstabilisation durable sont plus élevés aujourd’hui.

–    L’UFDD,
l’Union des forces pour la démocratie et le développement (un nouveau groupe
rebelle) ne paraît pas qualitativement mieux préparée que le FUC
, mais ce groupe – évidemment soutenu par
Khartoum – bénéficie du fait que de nombreux partisans du régime tchadien ne
voient plus très bien pourquoi ils combattent, et tendent à monnayer leur
soutien au jour le jour.

–    La
France, qui soutient militairement le Tchad et le Centrafrique
, et la communauté internationale,
ont-elles réagi à temps ?

–    La
France n’a pas voulu voir le caractère régional de la guerre au Darfour. Elle
n’a réagi sur sa gravité qu’au moment où elle a vu Déby déstabilisé
, et s’est mise dans la pire des
situations : crier "Déby ou le chaos" à un moment où le chaos était
là.

–    En Centrafrique, la communauté
internationale, notamment les Etats-Unis, porte une responsabilité très grande
à cause d’une indifférence totale jusqu’en 2006 sur le drame quotidien des
populations. Le comportement de l’ONU a été particulièrement affligeant. Aujourd’hui, on voit une
déstabilisation qui ne peut être réduite simplement au débordement de la crise
au Darfour
, mais il n’y a pas d’action internationale : on laisse le Centrafrique en
tête à tête avec la France et cela ne pourra pas produire une bonne solution
.

AFP

 

Nyt       061031

Chad
Villages Hit by Echoes of Ethnic War Across Border

By LYDIA
POLGREEN

DJEDIDAH, Chad — The account Halima Sherif
gave of her family’s ordeal was chillingly familiar in this part of the world. Arab men on horseback rode into
her village, shouting racial epithets
over the rat-tat-tat of
Kalashnikov gunfire.

“They shouted ‘zurga,’ ” she said, an Arabic word for black
that carries the connotation of a racial slur. “They told us they would take
our land. They shot many people and burned our houses. We all ran away.”

Scenes like this one have been unfolding in
the war-ravaged Darfur region of western Sudan for more than three years, and since the beginning of this year
Sudanese Arabs have also been attacking Chadian villages just across Sudan’s
porous border
.

But the attacks on Djedidah and nine villages
around it in early October took place not in Darfur, or even on Chad’s violent
border with Sudan. It took
place relatively deep inside Chad, about 60 miles from the border
, a huge distance in a place with
few roads,
where most travel by horse, donkey or foot.

Beyond that, the attack was carried out not by Sudanese raiders from
across the border but by Chadian Arabs, according to victims of the attack.

“They
were our neighbors
,” Ms. Sherif said, as she hurried to
collect a few goats from the charred remains of her family compound. “We know
them. They are Chadian.”

The violence in Darfur has been spilling over
into Chad since at least early this year, when cross-border attacks by Sudanese bandits and militias
chased more than 50,000 Chadians living in villages along the border from their
homes
.

–    But the violence around one of the other interior villages that was
attacked, Kou Kou, is
different and ominous, aid workers and analysts say. It appears to have been
done by Chadian Arabs against non-Arab villages in Chad
, and was
apparently inspired by similar campaigns of violence by Sudanese Arab militias
in Sudan. The villages are inhabited primarily by farmers from the Daju tribe.

–    “This is not a cross-border conflict — it is a local interethnic conflict,” said Musonda
Shikinda, head of the United Nations refugee agency’s office in the area. “The
perpetrators are their neighbors, not people from abroad.”

–    About 3,000 people have fled their homes because of the recent
attacks, and about 100 have been killed, according to United Nations officials.

Accounts of the attacks from displaced people,
most of them living in makeshift camps around Kou Kou, are strikingly similar
to the accounts given by non-Arab Darfurian refugees of attacks on their
villages by Darfur Arabs.

Yusuf Adif, a 29-year-old farmer from
Djedidah, said he heard gunshots while tending his crops in early October. Mr.
Adif was ready with a group of other village men to fight off the attackers.

Grabbing their traditional weapons — spears
with hand-forged blades, bows with poison-tipped arrows — the men ran toward
the gunfire. But they soon fled when they saw dozens of men on horseback with
automatic rifles. Some wore white robes, like almost all Muslim men here do,
while others wore khaki uniforms of a militia he could not identify, Mr. Adif
said.

Abdel Karim Gamer, the sheik of Djimese, a
nearby village, said that 20 people had been killed in the attack, among them
women and children. Five women were abducted, he said, and he feared they had
been raped, as so many women in Darfur have been.

“These are Arabs we know,” he said as he sat
on a mat near the cobbled-together shelter where he and his family have been
living for the past two weeks. “We trade with each other, depend on each other.
We never had any problem in the past.”

–    Racial and ethnic
identity are complex concepts in this region.
The terms
Arab and African or black are often used to signify the deep tribal divisions
that have marked the conflict in Darfur.

–    Historically the
racial divisions had been largely meaningless in the arid scrublands of Darfur
and eastern Chad, but racial ideology, stirred up among landless nomadic Arabs
in Darfur against non-Arab farmers the 1980s, laid the groundwork for the
present grim conflict over land, resources and identity in Darfur.

–    The ethnic makeup of
eastern Chad is similar to that of Darfur. The border between Chad and Sudan
has little practical meaning for the villagers who

live, trade and marry across the border, and whose families and tribes often
span both Chad and Darfur.

The latest violence here raises fears that
Darfur’s troubles could ignite a broader conflict between nomadic Arab tribes
and mostly settled non-Arab tribes across this broad swath of the sub-Saharan
region.

If the racial and ethnic conflict that has
infected Darfur is being copied by Chad’s Arabs, then the violence spreading
beyond Darfur’s borders could presage even further regional conflict, said
David Buchbinder, a researcher for Human Rights Watch who specializes in Chad.

“The racial ideology is spreading, and that is
very dangerous,” Mr. Buchbinder said.

Zachariah Ismael, who fled Ambash, one of the
villages that was attacked, with his wife and six children, said of the
conflict across the border, “Now it has come for us, too.”

He was building a bigger, sturdier shelter to
replace the one he had constructed when they arrived two weeks earlier. His
crop of maize and dura wheat would soon need to be harvested, but he despaired
of being able to reach his fields, half a day’s walk away.

“I think we will be here for a long time,” he
said. “We cannot go home.”

New York Times

Chad, Sudan
guerra

Le Monde            061030

Reprise des
combats entre Tchad et Soudan : un chef d’état-major tué

Le général Moussa Seugui, chef d’état-major interarmes de
l’armée tchadienne, a été tué
dimanche dans des affrontements avec des rebelles près de la frontière
soudanaise, a annoncé le ministre
de la défense, Bichara Issa Djadallah
. Ce dernier a ajouté que trois
autres militaires tchadiens avaient été tués et que les rebelles avaient perdu
plus de 100 hommes.

Après des mois de
trêve, les affrontements ont repris entre les voisins le Tchad et le Soudan,
accusé samedi d’avoir bombardé son voisin.

–    La
mort du général Sougui constitue un grave revers pour le président tchadien
Idriss Déby, quelques mois seulement après la mort en mars du précédent chef
d’état-major interarmes, le général Ababar Youssouf Mahamat, neveu du chef de
l’Etat, tué lui aussi par des rebelles.
Les rebelles, divisés en plusieurs factions ethniques, réclament la
démission de Déby, réélu
pour cinq ans en mai
au terme d’élections boycottées par l’opposition.

"OPÉRATION DE
NETTOYAGE"

Dimanche, des combats ont opposé l’armée
tchadienne à une colonne d’insurgés qui se sont brièvement emparés cette
semaine de deux villes tchadiennes
. Les heurts se sont déroulés à Saraf
Borgou, un village proche de la frontière du Soudan, pays accusé par le
gouvernement Déby de soutenir et d’armer les rebelles. Le Tchad assure que les
rebelles de ce secteur ne résisteront pas à son "opération de
nettoyage".

–    Les incursions d’insurgés soudanais dans des localités
tchadiennes, revendiquées par l’Union des forces pour la démocratie et le développement (UFDD),
rappellent dans leur mode opératoire le raid éclair lancé en avril par une
colonne rebelle sur la capitale. L’opération avait échoué mais les combats
avaient fait plusieurs centaines de morts et le président Idriss Déby,
dénonçant une ingérence soudanaise, avait rompu tout contact diplomatique avec
Khartoum.

Samedi, le ton est
de nouveau monté entre les deux pays, N’Djamena accusant le Soudan d’avoir
bombardé quatre localités de la zone frontalière, Bahai, Tine, Karyari et
Bamina.

Khartoum, qui accuse
le Tchad de soutenir les rebelles au Darfour, a démenti.

 

Tchadactuel             061107

Qui dirige
réellement le pays aujourd’hui?

Du gouvernement de Pascal,
seuls quelques rares ministres émergent du lot et donnent l’apparence que
l’Etat existe encore:

–    Abbass Tolli, le neveu, Ministre (avec Hinda) des
finances. Et à coup sûr le plus bébête. Entouré d’une cliquaille des novices et
analphabètes, la plupart gorane, il est le gardien de la mallette familiale. Du
ministère, il ne s’occupe
que des recettes pétrolières : placement dans des banques de la sous région et
ailleurs, achat des villas de secours au Cameroun, Bénin, Burkina et en France,
achat des armes, des mercenaires, etc.
Le reste des activités du
Ministère est laissé aux mains des bogo-bogo à la Douane, des novices sans
aucune expérience aux Impôts, des analphabètes à la fiscalité pétrolière. Dans
toutes ces régies financières, c’est l’atmosphère des temps du Gunt qui y
règne: se servir, servir les parents, et le reste (s’il en reste) à la caisse.

–    Adoum Younousmi, personnage très intelligent,
capable de vendre son âme au diable pour ses intérêts personnels (sinon il
n’aurait jamais servi Deby de manière si zélée par ces temps qui courent), est en charge des caisses
occultes et des relations louches
. Il voue une haine viscérale et atavique aux beri, ceci
explique probablement ses amours avec Deby. Il était et demeure le principal financier de Deby. Il
gère tous les marchés de tous les ministères, s’occupe de la Chine (armes,
marchés, etc.), gère l’Asecna (activités nationales), goranise l’administration
et prépare l’après Deby minutieusement et méticuleusement
.

Un article paru dans
le site tchadactuel sur le ministère
des infrastructures
claire d’avantage sur le vrai rôle dévolu à ce
ministère dont le Monsieur a la responsabilité. Pour la partie investissements, les autres ministères
n’existent que de nom.
Ses collègues ministres se perdent en
qualificatif en voulant le désigner : Vice Président, PM bis, Super Ministre,
etc.

– Dr Kassiré, Kascou
broute pour le moment là où il est attaché. Il a la tête complètement enfouie
dans les lotissements et y broute jusqu’à ce qu’on lui donne un coup de pied
aux…

– Le Gl aux trois
étoiles, le Dr, le dauphin de son chef, est malmené pour une histoire de
détournement (40 millions F CFA, une misère chez Deby!) et dont le dossier est
pendant à l’Assemblée. Son patron lui cherche des poux sur la tête. Mais lui,
n’a rien trouvé d’autre que de se présenter en tenue de combat devant le Chef
pour proposer ses services pour aller bombarder les rebelles, comme l’autre, le
gaffeur de la république. A malin, malin et demi, son chef n’a pas répondu. Les
deux se détestent à mort, et chacun attend une occasion pour en découdre avec
l’autre.

Ahmat Alla mi est la
seule étoile un peu fanée. Il est comme un mercenaire : il sert tous les régimes avec la
même fougue sans aucune conviction
. Il est la voix de son maître, à
cette différence près – il est capable de dire en bon français et de façon diplomatique
les conneries et les balbutiements de son chef.

Bichara Issa, celui là,
ce n’est pas la peine ! Il confond les époques : il pense certainement qu’il
est encore combattant alors qu’on dit de lui qu’il est ministre. Il n’est au courant de rien, il
ne connaît rien
, il s’agite et réagit à tout et à rien, il parle le
français à la place de l’arabe et l’arabe à la place du français, il crie
devant le micro comme s’il est derrière les chameaux ! Dans la réalité le vrai ministre de la défense, le
Chef d’état major aux commandes des opérations, c’est Deby
. Mais il est
aussi le plus piètre chef
militaire que le Tchad ait connu
. A Hadjer Marfaïne, c’est contre l’avis
de tous les chefs militaires, que de son lit de sa villa d’Abéché, après un
pilonnage d’une semaine, il a ordonné les militaires de passer à l’attaque, on
connaît les résultats. Comme cela ne suffisait pas, Deby s’est précipité avec
ses éléments de protection pour aller lancer une contre offensive à Hadjer
Marfaïne, et quand il a vu le moral des troupes, il a vite rebroussé chemin
cette fois-ci sur N’Djamena. Avec L’UFDD, c’est pareil, la poursuite des
éléments de l’UFDD dans les buissons du Salamat en cette période de fin de
saison des pluies, c’est encore lui, résultat un véritable hécatombe. Mais pour
endosser la responsabilité de tous ses échecs, on ne se lasse pas d’entendre la
voix du Gl, 3x Dr, le fou fou Bichara.

– Moussa Kadam, cet
ancien censeur du Lycée Félix Eboué, se proclamant chef de file du Guéra
(Maldom doit se retourner dans sa tombe) essaie d’appliquer les vieilles
recettes de son époque à l’école d’aujourd’hui. Pour traduire dans la réalité
le mandat dit « social » de son chef, il n’a rien trouvé de mieux que de
claironner la gratuité de l’école sans traduire dans les faits cette
affirmation. En ce moment, il est plus préoccupé par la finition de ses boutiques
de la rue « contournement » que la scolarisation des enfants tchadiens. Le
gombo ! Quand tu nous tiens !

A la justice, se
trouve le fameux Abderamane Djasnabaille un délinquant notoire, un repris de
justice. Il essayera probablement d’étouffer son dossier, le temps qu’il
passera à ce poste.

Rakhiss Manani, ex chef
d’entreprise et ex président du patronat tchadien
ne s’est pas encore
rendu compte qu’il est membre du gouvernement et doit se poser certainement
mille et une questions de s’être retrouvé dans ce panier à crabes.

Et les autres ministres alors ? En
réalité ce sont des salariés
ayant la peur bleue au ventre de se
retrouver au chômage. Un jour un ministre a dit : « on ne peut même plus
sanctionner le planton, on ne sait jamais, demain il pourrait devenir votre
ministre de tutelle! »

En fait cette
réflexion, est devenue une véritable réalité. Aujourd’hui, n’importe qui, peut
occuper n’importe quel poste de responsabilité.

Et le PM dans tout
ça ? Le plus piètre des tous les Laou que Deby a consommés. Il n’a de PM que
l’habit (et encore !) et le nouveau merco noir dans lequel il circule. Il n’est
au courant de rien. Inaccessible après 21h, car pinté avec son inséparable ami
ministre dit de communication, Moussa Doungourou, l’auteur du « le boulet
tribal » qui passe le clair de son temps à taper sur ses anciens collègues de
la presse. Ayant la mémoire courte, il a tout simplement oublié que la roue de
l’histoire tourne. « La vie est un rond point », disent mes parents Sara.

Le conseil de
cabinet, c’est la cour de récréation de l’école du Centre. Et au conseil des
ministres, on ne fait que regarder les mouvements des lèvres du chef.

Alors tout le monde
se complait à dire : vivotons et accompagnons les (entendez les zaghawa), Habré
aussi, est parti, ils vont aussi partir. Mais en réalité, les zaghawa sont déjà
partis depuis longtemps, non ??

Qui sauvera le Tchad
? A un moment, on avait sérieusement pensé à Hinda, mais la pauvre qui se
démêlait comme un diable dans ses débuts, commence à occuper de plus en plus
l’arrière plan, un an c’est le temps nécessaire et suffisant des amours chez
Deby.

Alors vous aurez
compris que c’est Deby qui dirige le Tchad. Ainsi, il est à la fois tout:
fonctionnaire, Militaire, Directeur, chef d’Etat major, chef d’entreprise,
Ministre, Premier Ministre et enfin Président. Alors il ne sert à rien de
chercher des boucs émissaires pour les malheurs du Tchad.

Beremadji Felix

—————-

Tchadactuel            061010

Appui actif et
intensif de Deby aux rebelles soudanais

La résistance anti Deby suivait de très près l’offensive que ce dernier
voulait lancer contre les positions des éléments du Rdl dans le massif d’Aram Kollé. On se rappelle que
l’aviation franco-tchadienne avait pilonné continuellement pendant 3 jours au
début du mois d’octobre
. Les nouvelles recrues, tout droit sorties des
CI de Koundoul et de Moussoro, ont été acheminées sur ce front, ainsi que des
éléments de la garnison de Bao. Et puis il y a eu les premières escarmouches,
les premiers blessés et c’est le calme plat.

Aujourd’hui, on est
en mesure de révéler le pourquoi
de ce calme plat. En effet, avec l’avancée des troupes gouvernementales
soudanaises vers les positions des rebelles soudanais à la frontière tchadienne
,
Deby a demandé au COM Région Souleymane Dagache, Commandant des opérations à
Aram Kollé de faire mouvement vers Kari-Yari, dans les environs de Bâ-Haye, QG
des rebelles soudanais
.

Mais avant de
faire mouvement vers Bâ-Haye, le Com Région a nettoyé le village Baranga dans
la région d’Aram Kollé. En effet, au cours d’un regroupement des villageois
pour la prière de vendredi, les militaires ont encerclé le village et ouvert le
feu
. Le nombre des morts, nombreux selon les témoins, n’a pas été encore
communiqué, par contre les blessés parmi lesquels des nombreux femmes et
enfants ont été plus tard acheminés par les parents sur Biltine. Sept hommes
arrêtés au cours de ce nettoyage et acheminés sur Biltine, viennent d’être
libérés et remis à leurs parents, le lundi 9 octobre 2006.

–    Les Combats entre les rebelles soudanais,
non signataires de l’Accord d’Abuja, regroupés dans un Front National de
Rédemption (FNR), et l’armée soudanaise ont eu lieu du vendredi jusqu’au samedi
7 octobre 06, avec la participation active de l’armée tchadienne du coté des
rebelles soudanais
.

–    Aux
débuts des combats, l’armée soudanaise a eu le dessus
, mais grâce aux renforts partis d’Abéché avec le Gl Saleh Bakaye et
ceux partis d’Adré avec le Gl Abderahim Bahar, les forces FNR/ANT ont complètement anéanties les forces
soudanaises, faisant des nombreux morts, blessés et prisonniers
. Outre
les armes et les véhicules récupérés, il y a une dizaine des véhicules
soudanais qui ont traversé en différents endroits, dans leur débandade, la
frontière du Tchad et sont présentement entre les mains des autorités tchadiennes.
Deby auraient donné
l’ordre de reconduire les militaires soudanais fuyards à Tiné Soudan et remettre
aux autorités soudanaises tandis que les armes et les véhicules doivent être
urgemment acheminés sur Abéché.

Des nombreux blessés
du coté FNR/ANT sont discrètement évacués à Abéché et dans les environs de Kéoura (Tchad), base arrière des
rebelles soudanais
. Beaucoup des civiles de Bâ-Haye et de Tiné ont été
victimes des combats du vendredi et samedi.

–    Deby
qui a des sérieux problèmes de gestion de son armée
, a vite trouvé une occasion en or pour occuper sa soldatesque.
Selon nos informations, les rebelles soudanais et leur mentor Deby auraient pour prochaine cible la
ville frontière de Tiné, où la rébellion soudanaise doit établir son arrière
base
.

–    Parallèlement à ces préparatifs, Deby propage pour la
consommation locale des informations farfelues et mensongères, selon lesquelles
la rébellion tchadienne a participé aux combats, du coté des forces soudanaises,

informations reprises avec une étonnante précipitation par des organes de
presse de la françafrique, alors que ceux-ci avaient sciemment omis d’informer
leurs auditeurs ou lecteurs, de la débâcle (information véridique) de l’armée
de Deby à Hadjer Marfaïne. Aucun groupe armé de la résistance tchadienne n’a
participé aux combats qui engagent des soudanais à l’intérieur du territoire du
Soudan. C’est une question de principe pour la plupart des groupes armés
tchadiens; par contre, se mêler des affaires des autres, les empêcher de
trouver une solution interne, envoyer les tchadiens mourir pour des causes
étrangères au Tchad et aux tchadiens, sont des exercices naturels de Deby, les
combats de Kari-Yari en sont une preuve palpable.

Beremadji Felix

      webmaster@tchadactuel.com

————–

Tchadactuel            061031

Darfour: il
s’agit bien du pétrole – La Tribune

Les pressions
internationales se multiplient pour contraindre le gouvernement soudanais à
appliquer la résolution du Conseil de sécurité, votée le 30 août, et prévoyant
le déploiement d’une force de l’ONU, en remplacement des troupes africaines. Le
président américain George Bush a renforcé, le 13 octobre, les sanctions contre
Khartoum, par l’interdiction de toute transaction liée aux activités
pétrolières et pétrochimiques.

–    Le président en exercice de l’Union
africaine, Denis Sassou N’Guesso, a qualifié la situation au Darfour de
«préoccupante», alors que le mandat des soldats de l’UA a été prorogé jusqu’à
fin 2006. Si, à Paris, des
personnalités médiatiques dénoncent ce qu’elles définissent déjà comme «le 1er
génocide du XXIe siècle», des voix africaines, et non des moindres, parlent
d’«arabisation forcée au Darfour».
Une lecture délibérément
ethniciste ?

–   
La
volonté de l’administration américaine de remodeler le Soudan ne date pas de la
crise du Darfour qui a éclaté en 2003. Elle remonte à la première guerre du
Golfe en 1991, le Soudan étant ciblé pour ses positions pro-irakiennes et
accusé de détenir des missiles irakiens de longue portée, susceptibles
d’atteindre Israël.

–    Une
usine de lait en poudre infantile sera bombardée au lieu et place d’une
hypothétique fabrique d’armes chimiques
. Ensuite, ce pays fut accusé d’abriter des bases terroristes. Le blocage,
en 1997, de tous les avoirs du gouvernement soudanais aux Etats-Unis ne suffira
pas à faire tomber le régime. Nul n’ignore le prix payé en nombre de morts et
de destructions par l’Irak, simplement soupçonné de détenir d’introuvables
armes de destruction massive. Des morts, qui comme celles du Liban ou de la
Palestine n’ont guère ému certains procureurs du TPI, activant pour traduire en
justice les responsables soudanais.

–    Le
prétexte invoqué aujourd’hui par les faucons de la Maison-Blanche pour étendre
leur influence est évidemment humanitaire
. Un bilan de plus de deux cent mille morts et de deux millions de
réfugiés au Darfour interpelle
, bien sûr, toutes les consciences, à
moins d’être aveugle
.

–    Pourtant, les énormes enjeux stratégiques, pétroliers en particulier,
dans ce pays
, convient à une lecture et des solutions de paix se
préoccupant davantage de l’avenir et de la résolution réelle des conflits.

–    Premier constat : la réunion
extraordinaire du Conseil de paix et de sécurité de l’Union africaine, le 20 septembre, a prorogé le
mandat de la Force africaine (AMIS) jusqu’à la fin de l’année 2006 au Darfour
.

–    Pourquoi la résolution 1706 s’est-elle
empressée de substituer l’UA, plutôt que de la renforcer ?
Et pourquoi des Etats africains ambitionnant un rôle
continental
ne
s’impliquent-ils pas davantage
dans l’appui à la mission au Conseil de
paix africain ?

–    Autre interrogation : comment expliquer les pressions
des ONG dénonçant le plan du gouvernement soudanais qui vise à déployer plus de
15 000 hommes au Darfour ?
Ainsi, ce gouvernement, accusé de laisser les
milices éradiquer la population, est suspecté dès qu’il tente de rétablir un
minimum d’autorité. Donc, ce sont bien les institutions soudanaises qui sont remises
en cause. Or, si le gouvernement soudanais refuse le déploiement des Casques
bleus, il n’a d’autre choix que de prêter son concours ou de se faire assister
par les Forces africaines d’interposition. Et là, le continent africain ferait
preuve, réellement preuve, de sa capacité et volonté politique à gérer ses
conflits, imposer la paix, au lieu des sempiternelles interventions étrangères,
tant dénoncées par les africanistes : des interventions qui, du reste, n’ont
fait qu’exacerber la situation dans les zones de conflit.

La prochaine réunion
du Comité des sages,
regroupant le Sénégal, le Nigeria et le Congo, avec Omar El Bachir sera un
test.

–    Pour
l’heure, seule la Chine a apporté son soutien à l’UA en remettant un chèque
d’un montant de 1 000 000 dollars pour les opérations de maintien de la paix au
Darfour
. Amr Moussa,
secrétaire général de la Ligue arabe, a exhorté les membres de l’organisation à
assumer leurs engagements. La Ligue, pour rappel, s’est abstenue lors du vote
de la résolution 1706. Que des intellectuels africains montent au créneau pour
dénoncer la duplicité de la Ligue, réclamant, comme ils le soulignent, une
intervention de l’ONU en Palestine, et la récusant au Soudan, ne surprend
guère.

Mais la
hiérarchisation des victimes, au nom d’une appartenance, négro-africaine ou
arabo-africaine, n’aide ni la cause humaniste ni le règlement des problèmes. Plus grave, fustiger le Monde
arabe au moment où il subit les pires agressions collectives de son histoire,
et réduire la question du Darfour à une opération d’«arabisation forcée»,

cela revient à entretenir des grilles de lecture raciales confortant le
discours dominant, de ceux précisément qui hiérarchisent les souffrances des
victimes.

A l’exemple des
initiateurs de la manifestation de Paris, qui ont défendu toutes les dernières
guerres américaines au Proche-Orient et souhaitent créer un point de fixation
nouveau anti-arabe en instrumentalisant, hélas, le drame des Soudanais.

–    Qu’on le veuille ou non, les pressions sur le Soudan ont
aussi l’odeur du soufre et du pétrole
. «Le cordon pétrolier africain
aujourd’hui ne s’étend pas seulement du golfe de Guinée aux confins du lac
Tchad. Il a désormais des prolongements nilotiques, le Soudan étant en passe de
devenir un producteur substantiel d’or noir. Il n’est d’ailleurs pas exclu que
le génocide en cours dans le Darfour s’explique lui aussi, en très grande
partie, par la perspective d’exploitation du pétrole dans cette région. En l’absence d’un cadre politique
solide et légitime, et face aux réalités d’une souveraineté fortement limitée,
les gouvernements locaux peinent à imposer des conditions aux multinationales
dans l’exploitation des ressources naturelles locales»
, souligne Achille
Mbembe.

–    Il
n’est pas exclu, rappelle-t-il, que les pays de l’arc pétrolier africain (du
golfe de Guinée aux pays nilotiques) «soient, dans un avenir pas tout à fait
éloigné, petit à petit aspirés par le tourbillon
… Les luttes de pouvoir et les conflits autour de
la captation, du contrôle et de la répartition des ressources rares». En
conclusion de son étude, ce chercheur note aussi : «Comme à l’époque de la traite de l’ivoire et sous
la colonisation, une relation globalement négative existe désormais entre
l’exploitation des matières premières et le développement humain en Afrique
.
Si l’on ne brise pas le lien, assure-t-il, entre corruption, extraction et
militarisation, l’exploitation des richesses africaines sera, de plus en plus, un réel facteur de génocide
Et d’en appeler à un véritable débat sur l’extraction des matières premières.

–    Il s’agit bien d’une guerre pour le contrôle du pétrole, et la
construction d’oléoducs est au cœur de ces enjeux, affirme Elizabeth Struder.
«C’est le cas de l’ouverture de l’oléoduc Tchad-Cameroun, où sont impliqués les
intérêts des firmes transnationales Total, pour la France, CNPC pour la Chine,
Pétronas pour la Malaisie, Lundin pour la Suède, OMV pour l’Autriche, Talisman
pour le Canada et Exxon Mobil pour les Etats-Unis.

–    Ce
pipeline doit passer par le Darfour et entre dans la logique d’éviter les zones
à risques et arabes en particulier. De son côté, l’Inde envisage également un
oléoduc qui passera dans cette région d’Afrique, celui prévu par les firmes
ONGC et Reliance Petroleum en accord avec le Soudan

–    Parmi les différents groupes qui composent les milices du Sud,
«l’administration américaine a particulièrement favorisé ceux qui revendiquent
la sécession
», estime-t-elle. Un certain nombre de «missions chrétiennes», bénéficiant
d’importants soutiens financiers aux Etats-Unis, «s’efforcent depuis plusieurs
années d’alimenter la haine raciale contre les «Arabes
». Non seulement
le gouvernement américain «a fourni entraînement militaire, armes et argent à
l’APLS mais il a aussi accordé son soutien au «Mouvement pour la Justice et
l’Egalité» JEM basé au Darfour.
Le JEM est lié au
fondamentaliste Al Tourabi».

Certes, ces enjeux
et les plans stratégiques ne seraient guère réalisables avec des Etats et des
régimes aptes à gérer leur développement et leur projet d’Etat national, mais
le conflit soudanais, qui ne diffère pas fondamentalement de celui vécu en
Angola, au Congo, en Sierra Leone, interpelle plus que jamais une Afrique et un
Monde arabe soucieux de leur destin futur.

Chabha Bouslimani

Sudan, darfur,
Onu

Le Monde            061102

Point de vue –
Darfour, l’ONU impuissante,

par Fabrice Weissman

Au Darfour, depuis
juillet, menaces de mort, passages à tabac, agressions sexuelles et assassinats
accompagnent avec une intensité croissante le rançonnage des organisations de
secours par les bandits-miliciens opérant dans les villes et sur les routes tenues par le
gouvernement soudanais.

Ce dernier porte une lourde responsabilité dans la montée
de l’insécurité. Tout d’abord parce qu’il est impossible que des agressions
graves et répétées se produisent sans la complicité – au moins passive – de
l’imposant appareil sécuritaire du régime qui quadrille le Darfour
. Ensuite, parce que Khartoum a répondu aux menaces
d’intervention militaire des Nations unies par une propagande xénophobe
assimilant tous les étrangers à de "nouveaux croisés
" animés
par une haine des Arabes et de l’islam. Selon toute vraisemblance, la violence accrue des attaques
contre les humanitaires relève d’une stratégie du gouvernement destinée à
cantonner les organisations d’assistance dans les villes de garnison
,
afin de conduire sa campagne contre-insurrectionnelle sans entrave ni témoin,
mais c’est aussi pour lui une
façon de résister aux menaces d’intervention internationale en prenant les
humanitaires en otage.
Le message des bandits-miliciens opérant avec
l’aval du régime est en substance : si vous persistez à vouloir envoyer des
casques bleus, sachez que ce sera au prix de plusieurs morts parmi les
secouristes.

Hors des zones
contrôlées par Khartoum, les combats ont repris dans l’ouest et le nord du
Darfour.

–    Face
à face, les partisans et les opposants de l’accord de paix pour le Darfour
(DPA), signé sous forte pression internationale, le 5 mai, entre le
gouvernement et une seule faction rebelle
.

–    La fragmentation de l’opposition en une dizaine de factions,
parfois dépourvues de réseaux logistiques et de chaînes de commandement
performants, contraint les organisations de secours à négocier avec un nombre croissant de groupes
armés à l’assise territoriale et militaire fluctuante et plus intéressés par le
pillage des moyens d’intervention que par la mise en place d’opérations de
secours
.

–    Face à ce regain de violence généralisé – soulignons au passage que c’est à une
reprise des hostilités que nous assistons, non à la mise en oeuvre d’un
programme d’extermination systématique d’une partie de la population soudanaise
– les Etats-Unis, la
Grande-Bretagne, la France, l’Union européenne, l’Union africaine, de hauts
responsables des Nations unies ainsi que de nombreux groupes de pression occidentaux,
considèrent l’envoi de troupes onusiennes comme le meilleur moyen de porter
secours aux populations du Darfour
– où la guerre a fait au moins 200 000 victimes
(dont un quart à un tiers
de morts violentes
).

–    Selon la résolution 1706 votée par le Conseil de sécurité le 31 août, les 7 000 soldats actuellement déployés
par l’Union africaine devraient être remplacés par 20 000 casques bleus
.
Ces derniers auront le droit de recourir à la force pour appliquer leur mandat,
à savoir : faire respecter l’accord de paix, protéger les déplacés et le
personnel international et désarmer les belligérants.

Or Khartoum refuse catégoriquement
ce déploiement
. A
ce stade, l’application de la résolution 1706 suppose donc le déclenchement
d’une guerre contre le Soudan et l’invasion militaire de l’ouest de son
territoire – ce qu’aucun Etat ne semble prêt à assumer.
A supposer que
le gouvernement soudanais finisse par accepter les troupes de l’ONU, aucune
puissance n’est aujourd’hui disposée à fournir les 20 000 hommes requis par la
résolution 1706.

–    Mais
surtout, on voit mal comment les casques bleus pourraient remplir leur mission
. Comme le soulignait le 4 octobre
Jean-Marie Guéhenno, secrétaire général adjoint des Nations unies au maintien
de la paix : "Confondre maintien
de la paix et imposition de la paix
, c’est aller au-devant de graves
difficultés (…). Celui qui me dit qu’un territoire de 500 000 kilomètres carrés peut être pacifié
par une force étrangère, que la loi et l’ordre peuvent être ainsi rétablis, est
dans l’erreur." Les Etats en sont bien conscients, qui rechignent à mettre
des troupes à disposition de la mission des Nations unies dont ils ont pourtant
voté le mandat.

–    Ainsi, malgré ses propres doutes, la communauté internationale
continue de faire croire aux populations du Darfour que leur salut viendra
d’une intervention militaire onusienne dont les chances de déploiement et de
succès sont à ce jour minimes
. Certains acteurs humanitaires, comme Jan Egeland,
secrétaire général adjoint aux affaires humanitaires de l’ONU, participent à
cette campagne
. Ce faisant, ils embarquent de surcroît les organismes
d’aide dans le camp de la "guerre juste" et contribuent à les exposer
un peu plus aux représailles de Khartoum et de ses milices.

La neutralité
requise pour intervenir en zone de guerre interdit aux secouristes de juger de
l’opportunité du recours à la force ou de se prononcer sur le type de pressions
internationales susceptibles d’amener les belligérants à se conformer aux
exigences du droit international humanitaire. Reste que la stratégie actuelle de la communauté internationale
n’est pas en mesure d’endiguer le regain de violence contre les civils alors
qu’elle contribue à mettre en péril les opérations de secours vitales dont
dépendent plus d’un habitant sur trois au Darfour
. Ce constat ne saurait
bien entendu exonérer les belligérants de leurs responsabilités premières.

Fabrice Weissman,
chercheur à la Fondation Médecins sans frontières France
.

Article paru dans
l’édition du 03.11.06

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