Wolfowitz: investiamo di più nell'Africa

INTERVISTA • Il presidente della Banca mondiale chiede generosità « Tra
10 20 anni dovrà trasformarsi in un continente a reddito medio »

Ci sono 600 milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al
giorno Pronto un Piano in venti punti per rilanciare l’azione
DAL NOSTRO INVIATO WASHINGTON • Dopo la « full
immersion » in Banca, dopo la partecipazione propedeutica al G 8 di Gleneagles
e al vertice delle Nazioni Unite della settimana scorsa, per Paul Wolfowitz, il
controverso presidente della World Bank, è giunto il momento di presentarsi da
solo al centro dei riflettori. Domani si aprono i lavori annuali del Fondo
monetario Banca mondiale. Ma già oggi Wolfowitz parteciperà alla sua prima
conferenza stampa inaugurale che dedicherà, come ci ha detto in questa
intervista esclusiva concessa a « Il Sole 24 Ore » , alla lotta contro la
povertà, all’emancipazione dell’Africa, alla rivendicazione dei diritti
fondamentali per le donne. Ma anche all’investimento per la pace in Medio
Oriente.
Da sempre questo signore, 61 anni, tono pacato, sguardo mobile, ispiratore dei
neocon e determinante nella decisione per andare in guerra contro l’Irak, ha
teorizzato la necessità di accompagnare alla linea dura sul piano militare e
politico, l’affermazione delle istituzioni democratiche, dello sviluppo
economico, del benessere. Da oggi la sua sfida è quella di chiudere il cerchio.
Dopo aver lavorato dalla parte della politica, prima al dipartimento di Stato e
poi al Pentagono, si misura con l’altra componente della sua equazione per
sicurezza e stabilità: appunto lo sviluppo economico e quello sociale.
Fonti interne alla banca ci dicono che il suo approccio finora è stato morbido.
Ci confermano che quando parla bene, come ha fatto con noi delle condizioni in
cui ha trovato la Banca mondiale, lo fa sinceramente. Ha convocato i
rappresentanti delle Organizzazioni non governative, ha incontrato più volte
Bono degli U2
, crede nell’ecologia. Ma ha lo stesso le idee chiare. A partire
da un ammonimento a Paesi sviluppati, come l’Italia, che debbono dare il buon
esempio nello sfoggiare trasparenza e lotta alla corruzione.
L’Africa sembra essere in testa ai suoi pensieri, perché? Perché in
Africa ci sono 600 milioni di persone che vivono con un dollaro al giorno, in
condizioni di povertà estrema. Anche altri Paesi, come l’India o il Brasile
hanno vaste sacche di povertà, ma sono Paesi emergenti che possiamo classificare
come a medio reddito.
L’Africa no. Gli incontri di questi giorni saranno storici. Vogliamo entrare in
una nuova era: l‘Africa diventerà il continente della speranza. L’obiettivo è
semplice: entro dieci o vent’anni dovrà trasformarsi in un continente a medio
reddito.

Come? Al Comitato per lo sviluppo tra un paio di giorni, discuteremo una
proposta d’azione in venti punti, tra questi ci sono il rilancio di progetti
infrastrutturali, di programmi scolastici, del settore privato, c’è una lotta
serrata contro le malattie e le epidemie.
Ma sviluppo e investimenti non
bastano. Ci sono anche altri fattori, come il rispetto della legge e delle
regole, della governance e delle responsabilità, la lotta senza quartiere alla
corruzione. È questo il cambiamento rispetto al passato. Occorre procedere con
obiettivi paralleli. Purtroppo non conosciamo ancora tutto, non abbiamo ancora
una singola unica teoria su cui lavorare, ma sappiamo molto di più rispetto a
40 anni fa.
Ad esempio…
Ad esempio, conosciamo gli errori che abbiamo fatto con alcuni progetti
infrastrutturali.
Sappiamo che lo sviluppo ad ogni costo — lo sviluppo contro l’ambiente, per
intenderci — ha effetti controproducenti. Per questo la Banca lavora con molte
Ong e continuerà a farlo. E voglio dire qualcosa di più: tutto questo lavoro
sarà inutile se non spingeremo per una emancipazione delle donne. Ho viaggiato
molto in questi mesi. Una donna molto povera, che ho incontrato in Pakistan, in
un villaggio remoto mi ha detto: « Lo sviluppo è come una carriola a due ruote.
E le due ruote sono l’uomo e la donna: se non girano insieme lo sviluppo non ci
sarà mai » . Ho incontrato una donna in Ruanda che ha creato una serra per la
coltivazione dei fiori: dà lavoro a duecento ragazze, ma le manca
l’elettricità, le manca l’acqua e il progetto è a rischio. Per questo dobbiamo
pensare in modo intelligente alle infrastrutture. Tutto si intreccia. Qualcuno
teme che dopo Katrina l’America possa fare marcia indietro sugli impegni di
Gleneagles…
Non si può tornare indietro, questo vale per tutti. E Katrina non sarà una
scusa. Gli aiuti per lo sviluppo sono una tale minuscola percentuale del
bilancio federale da non poter consentire una stretta della cinghia.
Nell’interesse stesso dell’Occidente, nell’interesse della pace. Quali sono
altri punti della sua agenda? Aggiungerei il progresso per gli aiuti alle
vittime dello Tsunami e il commercio. La libertà dei commerci, l’impedire
concorrenza sleale a svantaggio dei Paesi emergenti, è una pietra angolare per
i nostri obiettivi. E poi la lotta alla corruzione.
Quando una banca svizzera restituisce alla Nigeria 480 milioni di dollari
trafugati in tangenti vuol dire che stiamo facendo dei passi in avanti.
Cosa pensa della corruzione nei Paesi avanzati? Si dice che in un Paese come
l’Italia stia tornando; abbiamo avuto problemi di trasparenza, anche tra le
massime istituzioni come la Banca d’Italia, di mancanza di responsabilità. Non
sono forse le stesse accuse che facciamo ai Paesi emergenti.
La questione della responsabilità, della trasparenza della lotta frontale alla
corruzione deve essere una bandiera soprattutto nei Paesi avanzati, altrimenti,
come potremo chiedere agli altri che si trovano indietro di essere severi con
se stessi? Il buon esempio deve partire da noi. Senza dimenticare che, tornando
ai Paesi emergenti, la corruzione richiede due parti: il corrotto e il
corruttore. Troppo spesso il corruttore è tra i Paesi avanzati e va perseguito.
L’esempio deve venire anche sul fronte dello sviluppo. Una donna in Pakistan mi
ha detto: « Ce l’hanno fatta la Cina e il Giappone. Ce la faremo anche noi. Il
buon esempio conta » .
Non abbiamo parlato di Medio Oriente, e del mondo islamico. È fuori dal suo
interesse? Assolutamente no. Non possiamo occuparci di 600 milioni di poveri
africani e trascurare 1,2 miliardi di musulmani. Se l’Africa presenta
un’urgenza particolare per le condizioni di estrema povertà, un mancato
appoggio allo sviluppo in Medio Oriente o nel mondo islamico più in genere
presenta sfide dirette per l’Occidente in termini di stabilità. Questo vale per
il Pakistan, ma anche per l’Indonesia. Abbiamo progetti per Gaza, per far sì
che il processo di pace tra israeliani e palestinesi possa poggiare anche sullo
sviluppo.
Lo stesso vale per il Libano, che presenta opportunità diverse da un punto di
vista storico. Per ciò che riguarda l’Irak non siamo ancora nella fase della
ricostruzione postconflitto.
Ha delle riflessioni sull’Irak, un’autocritica? Le cose sarebbero andate
diversamente se la Francia fosse stata schierata al fianco degli Stati Uniti?
Anche se la Francia fosse stata schierata al fianco dell’America gli assassini
giunti dall’estero sarebbero venuti lo stesso. E vengono proprio per rendere
difficile la ricostruzione, per far prevalere l’oscurantismo. Nonostante le
cose siano ancora difficili abbiamo fatto progressi. In Ruanda il tasso di
crescita è del 7% all’anno. E solo pochi anni fa è stato trucidato un milione
di persone.
L’atmosfera è cambiata. L’ottimismo prevale. Lo stesso succederà in
Medio Oriente. E la Banca Mondiale farà la sua parte.
MARIO PLATERO

“Lo sviluppo a ogni costo e contro l’ambiente non ha senso, è controproducente,,
“La trasparenza e la lotta alla corruzione devono essere una bandiera nei Paesi
avanzati,,

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