«Niente rinforzi. Spediamo piuttosto l’Onu in Darfur»

ITALIA, SINISTRA, DIFESA

CORRIERE Dom. 11/6/2006   Maurizio Caprara

FRANCO GIORDANO (segr. PRC): meno missioni militari dove è
forte l’interesse USA. Più peso alle missioni ONU, come CONGO, Darfur e Gaza.

ROMA – Nelle missioni di pace,
in futuro, bisognerebbe dare priorità alle ferite delle «guerre dimenticate»,
per esempio in Darfur e in Congo. Se si formassero, l’Italia dovrebbe
contribuire a forze delle Nazioni Unite da mandare tra Israele e palestinesi.
Il segretario di Rifondazione comunista, Franco Giordano, la pensa così

mentre le Camere si preparano a pronunciarsi sulle operazioni all’estero dei
militari italiani. Benché non siano obiettivi realizzabili nelle prossime
settimane, il suo ruolo di socio della maggioranza li rende degni di nota.

Il
segretario generale della Nato chiede di mandare aerei italiani in Afghanistan.
Sostiene che se dovranno bombardare lo faranno nella cornice del mandato
ricevuto dall’Onu. Che ne pensa?

«Il quadro delineato da Jaap de Hoop Scheffer nell’intervista di ieri al Corriere
è quello di un teatro di guerra: con parole crude, parla di un inasprimento
del conflitto, tant’è che chiede aerei per continuare a bombardare
. Come si
vede, lì la guerra non è mai finita. Anzi, la situazione rischia di essere
molto più complessa anche per la sicurezza delle nostre truppe».

Quindi risponderebbe no alla richiesta?
«A me pare che sia improponibile. In fondo la Nato ci chiede di attrezzarci
a un’operazione di guerra in grande stile. E ad affermare con nettezza quanto
dico c’è perfino un ex capo dello Stato che parte da presupposti radicalmente
diversi dai nostri»
.
Francesco Cossiga?
«Sì. Noi abbiamo una cultura della pace, lui rivendica di non averla, ma
crede che la nostra presenza in Afghanistan sia diventata non più gestibile.
Peraltro, la Nato ammette di non tenere sotto controllo il territorio
afghano…».
Infatti: per controllarlo servirebbero più soldati e più mezzi. Non trova?
«Ma sulla guerra in generale, e su quella guerra, io ho un giudizio
diverso».
Che vuol dire?
«Che la guerra non risolve mai i problemi
. Agli alleati dell’Unione
chiedo un confronto: pur partendo da posizioni molto diverse, su quella guerra
facciamo un bilancio».
Per arrivare dove? In termini parlamentari, che cosa significa: sul decreto
di rifinanziamento proporrete di svincolare la missione in Iraq, per la quale è
già previsto il ritiro, da quella in Afghanistan?

«Chiediamo da sempre una discussione di merito su ciascuna missione. E sia
chiaro: noi non siamo contro tutte le missioni, però il dibattito italiano
mette in primo piano soltanto alcuni teatri di guerra».
Quali teatri?
«Quelli nei quali l’interesse geopolitico americano è molto forte. A
dimostrazione che la nostra posizione è assai più articolata di quanto appaia,
ci sono guerre dimenticate sulle quali riteniamo che affidare all’Onu il
comando di truppe per missioni di pace potrebbe essere importante»
.
A quali guerre si riferisce?
«In Darfur, per esempio, va evitato un disastro umanitario. In Congo ci
sono stati quattro milioni di morti negli ultimi 20 anni
. Sarebbe bene
investire l’Onu di operazioni di protezione dei civili. Mi viene in mente,
guardando le immagini dei civili uccisi sulla spiaggia di Gaza, che l’Autorità
palestinese chiese tempo fa un intervento dell’Onu».
Quanto è successo a Gaza è orribile, ma lo sa che Israele non vuole forze
straniere?

«Appunto. La nostra posizione porta a ricostruire un negoziato per la pace».
Israele non vuole truppe straniere perché sa che un’eventuale
internazionalizzazione del conflitto gioverebbe ai palestinesi. E non si
aprirebbe un fronte facile.

«Ciò che mi preme sottolineare ora, però, è che le gerarchie di interessi
vengono decise da interessi strategici, non da necessità».
Se il janjaweed in Darfur è cattivo, il talebano afghano forse lo è meno?
Kabul non fu retroterra per l’attacco alle Torri Gemelle?

«Il nostro contrasto al terrorismo è nettissimo. Il punto è la guerra»
.
Va evitata il più possibile, sì. Ma anche la nostra Repubblica nacque dalla
guerra di Liberazione.

«Cose diverse, non c’è nessuna analogia».
De Hoop Scheffer fa presente che senza l’azione della Nato, in Afghanistan,
due milioni di ragazze non andrebbero a scuola. I talebani lo proibivano.
Ricorda?

«Io credo che la democrazia non vada mai esportata con le armi. Sennò è una
democrazia segnata»
.
Tesi legittimissima. Però lei viene da una tradizione internazionalista.
Una volta non si puntava a esportare il socialismo?
«Infatti quell’esperienza è fallita».
Tra i termini che il segretario di Rifondazione metterebbe in soffitta c’è
anche l’internazionalismo?

«No. Ad essere fallita è l’idea di esportare un modello, e noi non la
condividevamo neppure quando eravamo, in minoranza, la sinistra del Pci.
L’internazionalismo vive anche nella dimensione del movimento no-global,
si alimenta di cultura della non violenza»
.

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