Perché in un singolo Paese come il Sudan si concentrano tali e tante rivalità interimperialiste?

PCT Togo, 21/08/2023

I capitalisti si spartiscono il mondo non per la loro speciale malvagità, bensì perché il grado raggiunto dalla concentrazione li costringe a battere questa via, se vogliono ottenere dei profitti.” Questa citazione costituisce la spina dorsale delle idee sviluppate dal rivoluzionario russo Lenin nel suo libro “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”. In quest’opera, Lenin spiega, con precisi fatti economici, che il capitalismo del XIX secolo è caratterizzato dall’esportazione di merci (…) e che quando questo sistema capitalistico raggiunge la fase imperialista, a predominare è l’esportazione di capitali dai Paesi industrializzati che si apprestano a spartirsi il mondo attraverso il dominio coloniale.

Questa breve sintesi dimostra ampiamente che le idee di Lenin sono ancora attuali e ricche di insegnamenti per individuare e comprendere il brigantaggio e la guerra economica che si svolgono sotto i nostri occhi! E questa feroce competizione sta accentuando le secolari rivalità tra le potenze imperialiste nel continente africano, in particolare in Sudan.

– In termini di superficie, il Sudan è il secondo Paese più grande dell’Africa; la sua posizione geografica è uno dei principali fattori di instabilità politica. Il Paese si trova in una regione strategica chiave per i vari poli imperialisti, che lottano aspramente per rafforzare la propria influenza e allo stesso tempo proteggere i propri interessi economici in ogni modo possibile. Sulla mappa del continente, si trova tra il Mar Rosso, il Sahel e il Corno d’Africa. Il Sudan confina anche con il Sud Sudan, la Somalia e la Libia.

– Sul fronte economico. La questione agraria è di fondamentale importanza in Sudan. Come nella maggior parte delle neo-colonie africane, la terra non appartiene ai contadini. È nelle mani di compagnie straniere e di proprietari terrieri semi-feudali o capitalisti. In Sudan, infatti, gli EMIRATI ARABI UNITI e l’ARABIA SAUDITA hanno messo le mani su oltre 500.000 ettari di terreni agricoli. Di questa vasta area, 12.000 ettari sono utilizzati esclusivamente per la coltivazione di mangimi per il bestiame destinato agli Stati del Golfo e al Medio Oriente. Questa confisca di terre da parte delle monarchie ricche di petrolio è un vero e proprio freno all’industrializzazione del Paese.

– Sempre sul fronte economico: a parte lo sfruttamento di gas, petrolio e oro, secondo gli specialisti borghesi: “Circa il 12% del commercio mondiale passa attraverso il Canale di Suez e il 10% attraverso Bab El-Mandeb. Entro il 2050, si prevede che il PIL della regione del Mar Rosso raggiungerà i 6.100 miliardi di dollari, mentre il volume degli scambi commerciali sarà di circa 4.700 miliardi di dollari”. Un altro dato economico riportato dall’Agenzia Ecofin: Nel gennaio 2022, Perseus Mining, un gruppo australiano, ha annunciato l’acquisizione di una partecipazione in Orca Gold, proprietaria del progetto aurifero Block 14 in Sudan (…) Secondo i termini dell’accordo firmato con la società canadese, Perseus dovrà pagare 198 milioni di dollari canadesi (155 milioni di dollari Usa) per rilevare la quota dell’85% che ancora non possiede. Questo corrispettivo, insieme ai 17 milioni di dollari pagati per acquisire una partecipazione nella società, porta il valore di Orca a 215 milioni di dollari (168,5 milioni di dollari).

– In questa incessante guerra economica tra vari gruppi capitalistici, troviamo anche il gruppo marocchino MANAGEM, presente in nove Paesi africani. Tra questi, la RDC, la Costa d’Avorio, l’Etiopia, il Mali e il Burkina Faso. Il gruppo marocchino sta sviluppando diversi progetti nel settore aurifero. In Sudan, MANAGEM è in partnership con la società cinese WANBAO MINING. L’obiettivo di questa partnership è sviluppare un progetto aurifero nel blocco 15 della miniera di Gabgaba. L’obiettivo è produrre quasi 5 tonnellate d’oro all’anno nel medio termine. Per raggiungere questo obiettivo, è stato effettuato un investimento di 250 milioni di dollari per modernizzare gli impianti di produzione.

– In sintesi, l’economia sudanese si basa sull’esportazione sistematica di materie prime e prodotti agricoli sul mercato mondiale, il che implica un importante trasferimento di valore, in altre parole un supersfruttamento del Paese a vantaggio dei Paesi industrializzati.

Date queste feroci competizioni economiche in Sudan, si comprende perché l’imperialismo statunitense abbia capito molto presto che la destituzione dell’autocrate Bashir era una vera e propria manna, un’opportunità per migliorare le relazioni con i putschisti e il governo di transizione. Ricordiamo che Hamdok e il suo governo avevano ricevuto un sostegno finanziario d’emergenza di 700 milioni di dollari da parte del governo yankee e, soprattutto, un consistente sostegno finanziario da parte della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale.

– Tutti questi interventi finanziari diretti o indiretti del governo statunitense non hanno alcun carattere filantropico. Piuttosto, sono serviti a svalutare la sterlina sudanese rispetto al dollaro e ad aprire il mercato sudanese alle imprese e alle multinazionali americane.

– Il blocco UE e l’imperialismo tedesco in Sudan. La visita ufficiale del presidente tedesco FRANK WALTER STEINMEIR nel febbraio 2020, in un momento in cui la lotta popolare contro i putschisti era al culmine, tre anni fa’, è stata molto simbolica per l’imperialismo tedesco, che cercava di guadagnare un vantaggio sui suoi rivali britannici e americani! Sebbene la Germania sia uno dei tre Paesi (insieme a Cina e Qatar) che investono di più in Sudan, la sua diplomazia rimane discreta in questa regione del Mar Rosso e del Medio Oriente. Va da sé che questa discrezione non è altro che una manovra per nascondere le incessanti attività della sua industria militare in questa regione del continente africano.

– In effetti, il governo tedesco ha continuato a firmare enormi contratti di armamento con le potenze regionali che operano in Sudan. Si tratta dell’ARABIA SAUDITA, degli EMIRATI ARABI UNITI e dell’EGITTO, che si sono alleati per sabotare la lotta popolare sostenendo fermamente i putschisti. Oggi questi tre paesi, clienti delle fabbriche di armi tedesche, sostengono parti opposte in questa guerra civile reazionaria. Prendiamo il caso dell’Egitto, alleato del generale ABDEL FATTAH AL BURHAN. Questo Paese, guidato dal tiranno AL SISI, ha potuto acquistare dalla Germania diverso materiale bellico (sistemi di difesa con cannoni terra-aria e missili, quattro sottomarini U-209 e quattro corvette Meko) per un valore di oltre 3 miliardi di euro. Otto mesi fa, OLAF SCHOLZ e i dirigenti dell’industria degli armamenti hanno deciso di revocare le sanzioni imposte all’ARABIA SAUDITA e agli EMIRATI ARABI UNITI sulle importazioni di armi dai Paesi UE. Il regno saudita, che sta intervenendo in Sudan, è stato autorizzato ad acquistare dall’industria militare tedesca pezzi di ricambio e armi per gli aerei da combattimento TYPHON e TORNADO per un totale di 36,1 miliardi di euro. La stampa specializzata ha inoltre annunciato la vendita agli EMIRATI ARABI UNITI di sei aerei da trasporto tattico A400M, il cui contratto non è ancora stato convalidato. Un’altra potenza regionale è il Qatar, che nel 2019 ha commissionato all’industria della difesa tedesca equipaggiamenti militari per un valore di 165 milioni di euro. Parallelamente all’intervento della sua industria militare nel Corno d’Africa e con le monarchie del Golfo, l’imperialismo tedesco ha mobilitato la sua cosiddetta “Squadra Europa”, che comprende le istituzioni e gli Stati della Ue, per sbloccare una somma colossale di 770 milioni di euro in aiuti allo sviluppo.

– Da parte loro, PUTIN e i suoi oligarchi non fanno mistero dei loro obiettivi. La RUSSIA si è posizionata come principale fornitore di armi al governo sudanese. Nel 2019, il Sudan è diventato il secondo acquirente di armi russe in Africa. Le ricche e preziose risorse naturali del Sudan rappresentano un affare ghiotto per gli uomini d’affari russi. Il terzo produttore d’oro del continente, il misterioso gruppo paramilitare Wagner, non ha mai smesso di partecipare al saccheggio tramite la società M Invest di Yevgeny Prigozhin e la sua filiale Meroe Gold, che si è insediata in Sudan nel 2017. La maggior parte delle miniere è nelle mani delle FSR (Forze di Supporto Rapido) di HAMDAN DAGALO alias HEMEDTI. La suddetta filiale di Meroe Gold collabora apertamente con la società ASWAR, gestita dai servizi segreti militari sudanesi. Nonostante il presunto embargo economico nei confronti della RUSSIA, ecco come l’industria dell’oro sudanese sta rafforzando surrettiziamente l’economia russa durante il confronto militare con il blocco NATO in UCRAINA. E non è tutto! Oltre all’addestramento degli ufficiali da parte di istruttori russi, nell’apparato militare sudanese ci sono anche esperti russi che proteggono le comunicazioni e analizzano le e-mail, i siti web di notizie e i social network per conto dello Stato Maggiore del generale ABDEL FATTAH AL BURHAN. Oltre a questi esperti militari, va segnalata la costruzione di una base militare russa a Port Sudan, sul Mar Rosso. Secondo alcuni esperti militari, questa base militare russa può ospitare più di 300 uomini e navi da guerra a propulsione nucleare. Il suo obiettivo principale è quello di tagliare la strada alle flotte americane e francesi, scortando il traffico petrolifero iraniano e siriano.

– Sebbene Cina e Russia abbiano interessi contrastanti nel continente africano, in Sudan le due potenze emergenti sono d’accordo su una cosa: il controllo e lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali del Paese. Nel 2020, il governo cinese ha firmato un accordo con il Sudan. Questo accordo economico dà alle imprese cinesi pieni diritti di esplorazione e sfruttamento di oro, cromite, sabbia nera, marmo e cobalto che abbondano nel sottosuolo sudanese. Oltre alle risorse naturali, le società cinesi sono attive anche nei settori dell’agricoltura, dell’industria, dell’edilizia, dei trasporti e dell’energia. Nel settore energetico, la stampa internazionale ha rivelato che “la Cina, attraverso la sua compagnia nazionale China National Nuclear, ha partecipato alla costruzione di un reattore nucleare” e della diga di Merowe, situata a 350 km a nord di Khartoum. La diga ha una potenza di 1.250 kW. È la seconda diga più grande sul Nilo. Su un altro fronte economico, il totale dei prestiti finanziari concessi al Sudan dal governo cinese per progetti legati all’energia è valutato in oltre 5 miliardi di dollari. Oggi gli investimenti cinesi ammontano a più di 20 miliardi di dollari. Il minimo che si possa dire è che tutti questi investimenti da parte di capitalisti cinesi confermano che il Sudan sarà in passivo per diversi anni a venire! Ecco perché, dall’inizio di questa guerra civile ultra-reazionaria, il governo cinese ha cinicamente tenuto aperte due alternative: finché gli affari sono stabili e positivi, che vinca il migliore – dei due fascisti!

– Sebbene Cina e Russia abbiano interessi contrastanti nel continente africano, in Sudan le due potenze emergenti sono d’accordo su una cosa: il controllo e lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali del Paese. Nel 2020, il governo cinese ha firmato un accordo con il Sudan. Questo accordo economico dà alle imprese cinesi pieni diritti di esplorazione e sfruttamento di oro, cromite, sabbia nera, marmo e cobalto che abbondano nel sottosuolo sudanese. Oltre alle risorse naturali, le società cinesi sono attive anche nei settori dell’agricoltura, dell’industria, dell’edilizia, dei trasporti e dell’energia. Nel settore energetico, la stampa internazionale ha rivelato che “la Cina, attraverso la sua compagnia nazionale China National Nuclear, ha partecipato alla costruzione di un reattore nucleare” e della diga di Merowe, situata a 350 km a nord di Khartoum. La diga ha una potenza di 1.250 kW. È la seconda diga più grande sul Nilo. Su un altro fronte economico, il totale dei prestiti finanziari concessi al Sudan dal governo cinese per progetti legati all’energia è valutato in oltre 5 miliardi di dollari. Oggi gli investimenti cinesi ammontano a più di 20 miliardi di dollari. Il minimo che si possa dire è che tutti questi investimenti da parte di capitalisti cinesi confermano che il Sudan sarà in passivo per diversi anni a venire! Ecco perché, dall’inizio di questa guerra civile ultra-reazionaria, il governo cinese ha cinicamente tenuto aperte due alternative: finché gli affari sono stabili e positivi, che vinca il migliore – dei due fascisti!

– L’uomo d’affari Oktay Ercan, capo indiscusso della Holding Barer, rappresenta oggi da solo le ambizioni politiche ed economiche della Turchia in Sudan. La sua società, Holding Barer, è attiva in un’ampia gamma di settori, tra cui l’estrazione mineraria, l’aviazione, l’allevamento e il tessile militare e la balistica. Oltre alle attività della sua famosa Holding, Oktay Ercan aveva creato, ovviamente per le esigenze della causa in Sudan, un’altra società internazionale chiamata SUR (International Investment Group). Curiosamente, gli azionisti del SUR sono partner dell’esercito sudanese nella produzione di tessuti militari, un settore vasto e redditizio. A queste attività si aggiungono vari investimenti in infrastrutture sul Mar Rosso e soprattutto la costruzione di un nuovo aeroporto a 40 km da Karthoum. Sempre in tema di infrastrutture, il Qatar, alleato della Turchia in Sudan, ha investito 4 miliardi di dollari nella ristrutturazione del porto di Suakin.

– In ambito militare, l’industria militare tedesca ha fornito alla Turchia i carri armati “Leopard” e l’assistenza tecnica per costruire localmente sei sottomarini U-214. Dal 2014, la Turchia ha organizzato diverse manovre militari in Sudan e navi turche si trovano a Port Sudan, vicino al Mar Rosso. Ecco cosa riporta la stampa turca sulle ambizioni di ERDOGAN in Africa: “Le ambizioni turche in Africa orientale non si limitano al Sudan e al Mar Rosso. La Turchia ha costruito la sua più grande base navale estera in Somalia, per un costo di quasi 50 milioni di dollari, con l’obiettivo di addestrare migliaia di soldati somali e turchi“.

– In questa guerra politica, economica e militare tra le potenze predatrici che governano il Sudan, la Turchia di Erdogan è chiaramente l’anello debole, perché dopo la caduta dell’autocrate Bashir – che era un solido alleato della Turchia – i rapporti di forza sono cambiati con l’arrivo al potere di nuovi attori. Per preparare la loro vendetta, gli scagnozzi legati al vecchio regime sono fuggiti in Turchia per ricompattarsi, organizzarsi e prepararsi a riprendere le redini del potere in Sudan. Questa lotta per riportare al potere gli uomini di Bashir sta ulteriormente esacerbando le contraddizioni politiche tra l’esercito e i paramilitari. Tutto ciò fa da sfondo a questa guerra civile reazionaria.

Per l’inquadramento generale degli eventi in corso in Africa e della contesa interimpeirialistica che ne fa da sfondo segnaliamo l’articolo:

https://www.combat-coc.org/riflessione-sui-colpi-di-stato-militari-in-africa-occidentale/

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